25 denunce contro i manifestanti che avevano sfidato la Leopolda di Renzi
A più di un anno di distanza dal corteo, la vendetta della procura di Firenze contro la manifestazione che aveva avuto l’ardire di sfidare la kermesse referendaria di Renzi. Il comunicato dalla pagina FB della rete C’è chi dice NO.
A più di un anno di distanza, la Procura di Firenze ha notificato venticinque denunce ad altrettanti compagni e compagne per il corteo di contestazione alla Leopolda di Matteo Renzi, organizzata il 5 novembre 2016 da C’è chi dice NO, una rete che ha messo insieme tantissime realtà di base, percorsi di resistenza e mutualismo, esperienze di difesa del territorio di tutto il Paese, uniti per contrastare dal basso il referendum costituzionale proposto dal governo Renzi. Un tentativo di riforma della costituzione largamente sconfitto alle urne, anche grazie a chi è sceso in piazza quel giorno a Firenze, nelle tante città in cui l’allora premier è stato contestato e, soprattutto, il 27 novembre 2016, quando cinquantamila persone provenienti da tutta Italia hanno sfilato nelle strade di Roma esprimendo le tante voci di un No Sociale alle riforme costituzionali e all’intero operato di un governo, responsabile di un impoverimento di massa senza precedenti nel nostro Paese.
Quel giorno si svolgeva la kermesse renziana per il SÌ al referendum, alla Leopolda di Firenze, e in molti e molte si erano ritrovati in piazza San Marco per dare ragione e forza al No Sociale.
Il corteo, formato in gran parte da giovani, lavoratori, precari e studenti aveva provato più volte, con determinazione, a raggiungere la Leopolda, resistendo alle numerose cariche della polizia. Nonostante il tentativo di vietare il corteo e provare a bloccare la conferenza stampa, la Questura fiorentina e il Ministero degli Interni non erano riusciti a zittire la voce della piazza, e delle tante istanza che questa ha espresso.
Il 5 novembre, infatti, piazza San Marco era riuscita a incarnare e rappresentare un rifiuto sociale diffuso all’arroganza di Renzi e, più in generale, al decisionismo istituzionale di chi immaginava non solo di poter stravolgere la carta costituzionale, ma addirittura di farlo senza dover fare i conti con il dissenso. La forza di quella giornata, che non può essere cancellata dalle denunce, sta allora proprio nell’aver saputo incarnare un rifiuto trasversale al tentativo di riforma che avrebbe portato ad un’inibizione ancora più grande degli spazi di democrazia riconosciuti ai territori, a una centralizzazione ancora più marcata del potere decisionale e, come inevitabile conseguenza, ad un generalizzato peggioramento delle condizioni di vita.
Quel giorno è stato evidente il maldestro tentativo dei media mainstream di criminalizzare la manifestazione, ma era ancora più chiaro, invece, come la narrazione dal basso della contestazione avesse avuto la capacità di andare oltre: l’osceno teatrino della Leopolda, tra i più eminenti sintomi dell’ormai totale autoreferenzialità del Partito Democratico, non era davvero in grado di parlare con nessuno. Molto più comprensibile, invece, il gesto di chi – nonostante i divieti, le minacce, il terrorismo mediatico – quel giorno aveva sfidato la kermesse del centrosinistra, trovando ampio consenso in tutti i segmenti sociali attraversati dalla mobilitazione quotidiana.
In questi mesi di campagna elettorale, le denunce della Procura di Firenze si affermano come una vera e propria vendetta nei confronti di è stato in prima linea a combattere una battaglia sostenuta da milioni di italiani.
Tante realtà politiche e sociali si sono fregiate della vittoria del NO: per questo sono ora chiamate a prendere posizione e sostenere chi ha saputo costruire quel NO nelle piazze, al di fuori di opportunismi e strategie elettoraliste.
Ma queste denunce ci ricordano anche come solo la possibilità di intrecciare le lotte e i tanti soggetti che quotidianamente subiscono sfruttamento, contrazione di diritti, devastazioni ambientali, sia l’unica forza reale a nostra disposizione per organizzare forme generalizzate di conflitto e provare a modificare lo status quo.
C’è (ancora) chi dice NO
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