
Botulismo in Calabria: come la sanità privata ci lascia morire per strada
Sarebbero quattordici i ricoveri e due i morti a causa delle intossicazioni da botulino in Calabria. A quanto si apprende dai giornali vi sarebbero anche due medici indagati. La vicenda però non riguarda solo le intossicazioni, ma l’intero sistema sanitario calabrese ed il ruolo delle cliniche private.
Di seguito alcune riflessioni di La Base – Cosenza
L’emergenza da botulismo che in queste ore sta preoccupando la Calabria – e che ha già provocato due vittime – scoperchia, con la banalità del male, la drammatica carenza strutturale della rete ospedaliera nella nostra regione.
I fatti sono ancora da chiarire nei dettagli, ma al momento sappiamo con certezza che almeno una persona, quella che purtroppo è deceduta, dopo la comparsa dei sintomi si è rivolta al Tirrenia Hospital, clinica privata della famiglia Crispino.
La sorella della vittima racconta in un’intervista come Luigi Di Sarno si sia recato nella clinica almeno due volte, già con sintomi molto gravi (difficoltà respiratorie e visive, tipiche del botulismo), e sia stato dimesso. L’ANSA riporta persino che al Tirrenia Hospital gli sia stato consigliato di recarsi in una struttura più attrezzata.
L’uomo è morto poco dopo, sull’autostrada, mentre cercava di tornare a casa in Campania.
Quando, al posto di un ospedale pubblico con pronto soccorso, c’è una clinica privata, questo è ciò che accade: i cittadini muoiono.
E mentre gran parte della classe politica – Roberto Occhiuto compreso – spinge per la costruzione della grande opera inutile del Ponte sullo Stretto, calabresi e turisti continuano a morire come mosche davanti a guardie mediche chiuse, respinti dalle cliniche private e in attesa di una risonanza che, senza esenzione, costa 400 euro.
In Calabria non serve un ponte per attraversare lo Stretto: serve una sanità che non lasci morire la gente per strada.
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