Fuga dall’Italia del jobs act
Ieri sono stati pubblicati su Migrantes i rapporti in merito alla migrazione degli italiani nei paesi europei. La lettura di questi non ha causato, ovviamente, stupore ma, al contrario ci da la misura reale di quanto le conseguenze di anni di riforme contro i giovani e i diritti sul lavoro, stiano effettivamente dando i risultati sperati dai loro ideatori. Oltre ad un aumento generale delle fughe di Italiani, infatti, si riscontra subito la specificità che anche in questo caso contraddistingue le fasce giovanili e il Meridione del nostro paese.
Parliamo di risultati sperati dagli ideatori delle riforme perché, nonostante tutte le belle parole su quanto queste siano state ragionate nella direzione del progresso, della crescita, dello sviluppo, e della diminuzione della disoccupazione è chiaro che il filo che lega “Buona Scuola” e Job’s act – come anche quelle precedenti come la riforma Gelmini, Moratti, Treu ecc. – è la costruzione di un presente di precarietà dovuto alla sempre maggiore inaccessibilità al mondo della formazione e all’aumento dell’impossibilità di trovare una stabilità economica attraverso un lavoro dignitoso e a tempo indeterminato. A questo viene affiancata la costruzione ideologica che costringe migliaia di giovani a lasciare il deserto che avanza alla ricerca di un futuro migliore lontani dai luoghi in cui si nasce e si cresce.
Tutto questo, all’interno delle dinamiche economiche a più velocità che caratterizzano l’Italia, genera una straordinarietà delle condizioni nelle regioni del meridione che fanno i conti, nel 2017, con precise scelte politiche che danno continuità al ruolo storico del Sud di enorme bacino di forza lavoro a basso costo da deportare in giro per l’Italia e per l’Europa.
I dati infatti parlano chiaro: al primo gennaio 2017 sono 4.973.942 gli Italiani all’estero in crescita rispetto al 2006 quando se ne contavano poco più di tre milioni, in aumento del 60,1%. Più della metà di questo provengono dalle regioni del Sud. Un altro dato significativo invece e rispetto agli Italiani che solo nel 2016 hanno deciso di andare a vivere altrove. Di 124mila in 39% sono tra i 18 e 34 anni, oltre 9mila in più rispetto all’anno precedente quindi registrando un aumento solo nel biennio 2015-2016 del 23%.
L’unico argine a questi fenomeni può essere l’inversione di questa tendenza, la costruzione di un contro-immaginario che si può dare e alimentare solo attraverso percorsi di lotta che riescano a fare esplodere le contraddizioni dentro il sempre più cristallizzato esistente di precarietà e di disciplinamento al lavoro flessibile e gratuito. Lo sciopero studentesco che ha visto scendere in piazza decine di miglia di studenti in tutta Italia contro l’alternanza scuola-lavoro, ha dato rappresentazione di una soggettività variegata, e forse ancora minoritaria, ma vogliosa di prendere parola, anche con radicalità, contro i tentativi di assoggettamento e annichilimento che le governance portano avanti.
Il rifiuto dello sfruttamento spacciato per formazione, il rifiuto quindi di un modello che viene dalla necessita di produrre a costi bassissimi per garantire guadagni a multinazionali come McDonald, può essere la leva attraverso cui poter aprire critica ampia ad un modello di sviluppo criminale. Quella leva che ci può avvicinare alla costruzione di un immaginario di possibilità che può invertire la tendenza scagliandola in senso antagonista contro la pacificazione dilagante.
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