Giggino, Nicola e noi. Considerazioni a freddo sul mancato arresto del politico casalese
Con buona pace dei soliti commentatori distratti, di quelli che dicono “l’aria sta cambiando” che confondono e si confondono ed invocano la giustizia dello Stato come medicina sociale che sani le storture di un Paese malato. Il medico ed il paziente, il tecnico ed il Governo. Ma le cose nella realtà non funzionano così. Così come non esiste un Governo neutrale, che non operi scelte politiche che rispondano a logiche che siano espressione, a loro volta, di interessi precisi, è difficile immaginare che la trama di relazioni economiche, clientelari e politiche incarnata da quelle che taluni chiamano “le storture della nostra società”, possa essere messa in discussione dallo stesso potere che se ne serve.
Detta così può sembrare una semplificazione, ma il concetto sarebbe stato valido anche nel caso in cui Nicola Cosentino sarebbe finito in carcere. Se è per questo, un potere che pretende di essere esercitato in nome dell’interesse generale non può spendere tempo e denaro per stabilire se il noto politico di Casal di Principe sia o non sia un perseguitato politico. La questione ci sembra assolutamente ridicola! Un perseguitato politico è colui il quale subisce una serie di iniziative repressive da parte delle autorità a causa delle proprie idee politiche. Per esempio, vieni denunciato e costretto ad affrontare diversi interminabili processi per poi, eventualmente, venire sempre assolto (o magari condannato ma per reati politici, non certo per riciclaggio). Nonostante ciò, la Commissione Giustizia si è riunita ed ha stabilito che Cosentino non è un perseguitato politico. Il Parlamento ha poi detto il contrario. E molti sono rimasti delusi.
Noi, che conosciamo Nicola Cosentino da molti anni, abbiamo le idee più chiare delle massime istituzioni di questo Paese. Noi, che viviamo nella terra delle centrali turbogas, delle discariche abusive e delle grandi aziende del cemento, del movimento terra, delle bufale e dei centri commerciali, non abbiamo a disposizione il tempo, elefantiaco, delle Giustizia (borghese) italiana. Andiamo di fretta. Sarà l’esigenza di restare vivi, di sopravvivere al deserto culturale, allo schiavismo dello sfruttamento in salsa casalese (ma anche non). Nostro malgrado, abbiamo avuto ed abbiamo bisogno di giungere ad una conclusione precisa, frutto di una valutazione ponderata seppur rapida: Cosentino è un nostro nemico. E non aspetteremo nessuna sentenza, nessuna autorizzazione a procedere attenderemo per continuare a contrastare i progetti di questa paranza predatoria che spreme la nostra gente e la nostra vita. In simbiosi con lo Stato, fino al cambio di guardia, fanno affari legalmente e non, ma con la stessa prepotenza. Coperti e garantiti da un sistema che ha bisogno di loro e dei loro soldi, da quello stesso sistema che crea la crisi e la scarica sulla moltitudine proletaria in Terra di Lavoro come altrove.
Non invochiamo le manette, non lo abbiamo fatto mai. Non siamo rimasti delusi, avevamo poca fiducia negli interpreti di questa vicenda. Chiamiamo alla lotta sociale, semmai. Invochiamo un cambio di rotta che parta dalle strade delle nostre città, dei nostri paesi, dai luoghi dello sfruttamento nei quali produciamo per il loro tornaconto. In provincia qualcosa si muove. Ci sono realtà radicate da anni e movimenti, comitati, gente comune che prende parola e combatte. Sono le lotte per la difesa dei beni comuni, dei diritti calpestati degli immigrati, del grido di rabbia di chi, lavoratore e già precario, è sfruttato. È questa la strada da percorrere per non avere mai più un Cosentino a decidere delle nostre sorti. È la strada che seguiremo.
Assemblea Autonoma Terra di Lavoro
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