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Il Fentanyl e la dolorosa condizione umana

Zombie, zombie, zombie. What’s in your head,
in your head, Zombie, zombie, zombie.
(The Cranberries).

dal blog di Sebastiano Isaia

Il dilagante consumo di fentanyl negli Stati Uniti rappresenta certamente «un dramma americano», come si legge negli ultimi due anni sui quotidiani e sulle riviste di tutto il mondo, ma questo sconvolgente fenomeno ci dice molto di più, ci costringe cioè a riflettere su una realtà che chiama in causa la società capitalistica nella sua dimensione mondiale. E non a caso i governi europei si stanno preparando a fronteggiare una possibile «invasione di fentanyl», perché il disagio sociale, come il capitale, non conosce frontiere. «Siamo fieri che l’Italia sia una delle primissime Nazioni in Europa ad adottare un piano molto articolato di prevenzione contro l’uso improprio del fentanyl e degli altri oppioidi sintetici. Il fentanyl, nota come “droga degli zombie”, la cui diffusione ha provocato negli Stati Uniti una vera e propria emergenza, è un analgesico molto potente che può avere effetti devastanti su chi lo assume per scopi diversi da quelli sanitari. Sono sufficienti, infatti, appena 3 milligrammi della sostanza per uccidere una persona. La parola d’ordine del Governo è prevenzione. La lotta alla droga e a tutte le dipendenze patologiche è una priorità assoluta di questo Governo e in questa direzione continueremo a lavorare, senza sosta e con determinazione» (Presidenza del Consiglio dei Ministri). La «lotta alla droga» ovviamente si risolve puntualmente nella lotta ai “drogati”, cosa che aggiunge sofferenza alla sofferenza e lascia intatte le cause sociali del fenomeno in questione. Si tratta della famigerata illusione autoritaria che immagina possibile la gestione delle contraddizioni sociali (ad esempio quelle relative agli abusi di ogni tipo) attraverso la repressione delle pratiche e delle sostanze dichiarate illegali. Che si tratti di “utero in affitto”, di “carne sintetica” o di uso di droghe, la risposta è sempre la stessa: più controlli, più repressione, più carcere.

Illusione autoritaria: è una merce particolarmente escrementizia che la classe dirigente spaccia con successo a un’”opinione pubblica” sempre ben disposta quando si tratta di mandar giù facili spiegazioni (che non spiegano niente) e facili soluzioni (che risolvono solo i problemi dei governanti).

Proprio oggi ho ascoltato su Radio radicale quanto segue: «Il fentanyl è un prodotto di sintesi creato nel 1960; si tratta di un potente anestetico usato nel trattamento del dolore, specialmente quello di natura oncologica. È molto più potente della morfina e viene usato illegalmente come sostituto dell’eroina, come sostanza da taglio di altre sostanze e come materia prima per altre sostanze di sintesi ancora più potenti e pericolose. Negli Stati Uniti l’uso del fentanyl ha dato vita a una vera e propria epidemia che causa ogni anno più di diecimila morti. Le cause sono diverse, alcune legate alla particolare situazione sociale americana. La grande industria farmaceutica ha ricavato enormi profitti medicalizzando lo stress sociale della classe media in declino, e soprattutto della classe lavoratrice bianca travolta dai processi di deindustrializzazione, dalla perdita di posti di lavoro e dal collasso delle comunità locali, in particolare nelle aree rurali bianche. Ai problemi sociali ed economici e alla disillusione politica si è risposto con pillole di oppioidi. Una strategia che è stata avallata dalle grandi compagnie di assicurazione che finanziano il settore sanitario, perché le pillole hanno rappresentato la soluzione meno costosa a tanti problemi di assistenza sanitaria. Questo mentre in parallelo veniva combattuta una guerra alle droghe illegali usate dalla popolazione non bianca e dai poveri, nel corso della quale neri e latinos residenti nelle grandi aree urbane sono stati le principali vittime sia per le morti di overdose, sia per la repressione della polizia e per l’incarcerazione di massa» (Roberto Spagnoli).

A dimostrazione di come il proibizionismo in materia di sostanze “droganti” sia, in ogni parte del mondo, il miglior alleato del narcotraffico c’è da dire che negli Stati Uniti il mercato illegale di oppioidi gestito manu militari dai narcotrafficanti è diventato molto più florido proprio quando il legislatore ha cercato di correre ai ripari, rendendo maggiormente controllata la prescrizione e l’uso legale del fentanyl. Alla fine del 2023 Biden si è visto costretto a chiedere a Xi Jinping di dare un giro di vite alla produzione e all’esportazione del fentanyl e di reprimere le aziende cinesi che esportano i componenti chimici necessari ai cartelli messicani per produrre clandestinamente l’oppiaceo, che poi fanno entrare negli Stati Uniti. Il Caro Leader ha acconsentito alla richiesta del Presidente americano, ma in cambio ha preteso «una contropartita significativa per Pechino: la revoca delle sanzioni contro l’Istituto di medicina forense del ministero della pubblica sicurezza cinese, accusato di complicità nella copertura degli abusi dei diritti umani nella regione dello Xinjiang» (Asianews).

Scriveva Enrico Bucci sul Foglio dello scorso 27 novembre: «Su Netflix, una serie di grande successo di pubblico, Painkiller, racconta in sei episodi un nuovo dramma americano: quello dell’abuso da oppioidi, responsabile ormai di una media di oltre 200 morti al giorno di overdose. La serie, definita “un medical-legal-thriller dalla potenza emotiva devastante”, imputa la crisi da oppioidi negli Usa soprattutto alle derive di un capitalismo farmaceutico senza regole». Si tratta di una tesi che mi sembra quantomeno riduttiva. Attribuire tutta la responsabilità del fenomeno sociale qui indagato al «capitalismo farmaceutico senza regole» significa metterne in ombra la causa principale, che va ricercata nella società capitalistica in quanto tale. I capitalisti della droga, esattamente come i capitalisti delle armi, producono e vendono una merce richiesta dal mercato, e ovviamente hanno tutto l’interesse a “curare” quel mercato, a espanderlo, magari proponendo ai clienti nuovi prodotti – ad esempio, facendo scomparire dalla circolazione quelli vecchi: via l’eroina e vai con il fentanyl. Ma il punto di partenza è sempre «il bisogno in grado di pagare», per dirla con il solito Marx. Questa società produce negli esseri umani dolore e sofferenze esistenziali di varia natura che diventano eccellenti occasioni di profitto per chi ha capitali e capacità professionali da investire in un business che le politiche proibizioniste degli Stati non solo non riescono a eliminare, ma che anzi rendono molto più profittevole perché fanno salire alle stelle il prezzo delle “sostanze droganti”. A tal proposito è sufficiente pensare al ricco mercato delle cosiddette droghe leggere, le cui materie prime all’origine hanno un bassissimo costo, come sanno bene i contadini che le producono: loro fanno la fame mentre i narcotrafficanti si abboffano di profitti. La bestiale violenza che caratterizza il mercato della droga, specialmente nei Paesi che producono la materia prima “drogante”, ci racconta della gigantesca massa di denaro che circola in quel mercato: il gioco vale i rischi che si corrono a praticarlo!

Nel contesto della società che ha nella ricerca del profitto il suo cuore pulsante (tanto è vero che senza profitto le aziende chiudono), parlare di «amorale spinta del marketing per incentivare le prescrizioni e il consumo di oppioidi» significa dare un moralistico buffetto a un Moloch che conosce una sola morale: divorare profitti, anche se questo significa sfruttare la gente, distruggere la natura, creare dolore e malessere d’ogni genere e perfino uccidere. Droghe e armi: queste due merci imbarazzano particolarmente le classi dominanti perché la loro esistenza la dice lunga sulla vera natura di una società che ama rappresentarsi come civile, pacifica, umana, comprensiva, mentre nei fatti si dimostra essere tutt’altro: violenta, competitiva, divisiva, in una sola parola disumana. Il fentanyl è insomma il dito che indica la Luna, cioè la società capitalistica – che ha nel «capitalismo farmaceutico senza regole» la sua regola, non la sua eccezione.

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