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Colombia e droghe, stereotipi e realtà

Ma la funzione statunitense non si limita ad essere la principale destinazione degli stupefacenti colombiani. Quello che i mass media ovviamente non ci mostrano è che la genesi e le responsabilità del narcotraffico sono in larga misura ascrivibili alle strutture di intelligence militari nordamericane operanti nel quadro di una precisa dottrina politica.

Le leggi di mercato, se da un lato incentivano le più diverse forme di accumulazione di capitale, lecite o illecite, dall’altro rinsaldano la commistione del potere politico con i vertici delle organizzazioni criminali dedite al commercio di droga. La CIA e i servizi segreti di vari paesi hanno spesso finanziato le loro operazioni coperte mediante la commercializzazione delle droghe: il caso dello scandalo Iran-Contras ne è un esempio lampante.

Fra i tre e i cinque punti del PIL mondiale sono il frutto della produzione e del traffico delle varie sostanze. Gestire questo affare è importantissimo dal punto di vista politico e da quello economico. Per questa ragione la DEA statunitense, che sarebbe la struttura governativa adibita alla lotta contro il narcotraffico si comporta come il più grande dei cartelli narcotrafficanti, lottando contro i propri concorrenti o stipulando patti di reciproca convenienza a seconda del luogo e della fase.

Siamo davvero sicuri che il sistema capitalista, già messo in crisi dalla fase recessiva, sia interessato a tutelare la salute di fasce minoritarie della propria popolazione a scapito dei giganteschi profitti che ne può trarre? Chi sono dunque le vittime e chi i carnefici?

Le masse contadine impoverite dal neoliberismo, costrette a coltivare coca per mera sopravvivenza, non possono che far parte della prima categoria. Così come gli strati sottoproletari di latinos e neri, che costituiscono una fetta importante della popolazione carceraria statunitense. A livello interno, nei paesi occidentali, la diffusione delle droghe tra milioni di consumatori, verso i quali si applicano politiche di persecuzione e di criminalizzazione, completamente inutili, piuttosto che indirizzare le risorse in piani strategici di prevenzione e riduzione del danno, permette di aprire uno spazio di repressione finalizzato al rafforzamento del controllo sulle classi subalterne.

Ma torniamo alle vittime principali, il popolo colombiano. Con il pretesto di addestrare e formare il personale antidroga vengono introdotti nel paese, attraverso il Plan Colombia e i suoi derivati, agenti e personale militare nordamericano atto a intensificare la guerra interna contro-insorgente, cercando di rinsaldare l’oligarchia narco-paramilitare. Con tale appoggio viene tutelato il latifondo, impedita una riforma agraria reale e mantenuta la dipendenza dall’estero per quanto riguarda il settore delle importazioni alimentari. Così si chiude il circuito di neo-colonizzazione e di dipendenza.

Questa strategia della dominazione conta su un apparato mediatico di tutto rispetto, univocamente orientato alla manipolazione e alla propaganda. In questo caso, nella fase storica seguita alla disgregazione del blocco sovietico, abbiamo assistito ad un cambio di semantica da parte dell’imperialismo nella rappresentazione del nemico. In particolare nella raffigurazione mediatica delle insorgenze si è dato il via a un processo di criminalizzazione teso a negare o sminuire il carattere politico delle stesse e di conseguenza del conflitto sociale e armato, cercando di presentarlo come un problema di ordine pubblico.

Questo processo avviene in Colombia con il tentativo maldestro di accostare le organizzazioni guerrigliere ai gruppi della criminalità organizzata. L’ex presidente Uribe, che la stessa DEA statunitense inserì all’ottantaduesimo posto nella sua lista dei maggiori narcotrafficanti, fu uno dei più strenui assertori di queste menzogne. Il classico meccanismo propagandistico di rovesciare sul nemico le accuse che possono infangare proprio chi le pronuncia.

Le organizzazioni insorgenti non hanno certo la vocazione a opporsi o a reprimere le istanze popolari, ancor meno quando si tratta di sopravvivenza.

Il conflitto in Colombia non è circoscritto all’ambito militare, ma riguarda milioni e milioni di colombiani più poveri, stanziati nelle zone rurali e nei barrios, spogliati dei propri mezzi di sussistenza.

Eppure la Colombia è un paese estremamente fertile, con un potenziale agricolo molto pronunciato e un clima che consentirebbe uno spettro colturale particolarmente ampio e significativo. Ma anche un paese di selve e di montagne, verso cui contadini e coloni sono stati spinti dalle ondate successive di violenza latifondista. Strette fra i soprusi dei proprietari terrieri e l’abbandono di uno Stato che gli è nemico, molti campesinos vengono costretti ad affidare la propria fragile sussistenza alle coltivazioni per uso illecito. Schiacciati in queste aree marginali, vengono ulteriormente perseguitati con il bombardamento indiscriminato e con la fumigazione delle coltivazioni, sui villaggi e sulle persone.

Nessuno si illude che siano misure utili a fare un solo passo verso una Colombia libera dalla droga. Quel che importa è l’impressione di efficienza che questi palliativi danno, mentre i giganteschi profitti originati dalla commercializzazione della droga riempiono le tasche di mafiosi, politici, militari e uomini d’affari in Colombia e nel mondo.

Il tema del narcotraffico è uno dei punti dell’Accordo Generale che vede impegnate al Tavolo dei Dialoghi che si sta svolgendo all’Avana i rappresentanti dello Stato Colombiano e della delegazione delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo, Farc-Ep.

Il 16 maggio scorso le due parti hanno raggiunto un accordo parziale sul terzo punto in discussione denominato “ Soluzione al problema delle droghe illecite”.

La produzione delle droghe illecite in Colombia ha origine nel peggioramento progressivo delle condizioni di vita di ampi settori della popolazione rurale colombiana, conseguenza delle politiche di apertura economica che hanno azzerato le possibilità di sussistenza contadina tradizionale, non nel conflitto interno che da vari decenni la Colombia vive e che a sua volta ha le sue cause nell’assenza di spazi democratici, nella violenza istituzionale, nelle politiche terroristiche e criminali attuate anche per garantire i massimi profitti derivanti dallo sfruttamento della terra e delle ricchezze del sottosuolo colombiano.

Nel Programma Nazionale di sostituzione delle coltivazioni ad uso illecito presentato all’Avana dalla delegazione di pace fariana, si promuove un intervento che capovolge completamente le attuali modalità di trattamento del fenomeno da parte dello Stato colombiano. Le fumigazioni, utilizzate come armi chimiche contro la popolazione e che non hanno minimamente ottenuto l’effetto di ridurre le produzioni di coca, papavero e marijuana, hanno invece provocato enormi danni ambientali e alle persone che sono state oggetto di questi attacchi.

Già dal 2000 le Farc hanno avanzato concrete proposte di soluzione del problema delle coltivazioni a uso illecito, come l’ eradicazione manuale concordata con le comunità, concretizzatasi nel progetto pilota di Cartagena del Chairá, accompagnata dalla restituzione delle terre sottratte dai latifondisti, dall’elargizione di crediti e dalla realizzazione di servizi e infrastrutture in modo da eliminare le condizioni e le cause materiali che avevano costretto le popolazioni rurali a dedicarsi a tali coltivazioni.

Il problema deve infatti essere inserito in un contesto di trasformazione strutturale della società colombiana all’interno di un programma di riforma agraria integrale, che con strumenti democratici e partecipativi coinvolga le comunità contadine coinvolte.

A questo proposito è stata confermata l’importanza della protezione e del coinvolgimento delle Zonas de Reserva Campesinas e della necessità di creare Assemblee e Consigli Locali che discutano e avanzino proposte nell’ambito del Programma Nazionale.

Inoltre le Farc, attraverso la propria Delegazione all’Avana, hanno ribadito come la ricerca di una soluzione al fenomeno globale del narcotraffico non può ricadere solo sulle spalle del popolo colombiano ma debba coinvolgere la comunità internazionale in merito agli enormi flussi di denaro che questo produce e che vengono ripuliti nelle grandi banche dei principali paesi occidentali.

Per la guerriglia si può risolvere il problema delle coltivazioni ad uso illecito se si perseguono i principali beneficiari del traffico. Se si interrompono le fumigazioni, vere e proprie armi chimiche e agenti di devastazione ambientale, se si concorda con le comunità locali e con la società civile un nuovo piano di sviluppo agricolo, dove la priorità sia la sovranità alimentare prima delle stesse aree rurali e poi dell’intero paese e se si colpisce la scandalosa connivenza fra istituzioni pubbliche e criminalità organizzata. Nel congresso, nel governo, nei mille gangli del potere politico, a tutti i livelli, in cui siedono i referenti di paramilitari e mafiosi.

Sicuramente non è possibile ipotizzare una soluzione realistica senza andare a colpire chi realmente intasca questi enormi profitti, continuando a sbandierare spettacolari sequestri od operazioni in grande stile contro questo o quel cartello, che fino ad allora era complice ma che l’ingordigia ha poi trasformato in pericoloso concorrente.

Certamente la questione del narcotraffico, strutturale e interna al sistema capitalista, non potrà che essere risolta se non col superamento definitivo di tale modello produttivo. Ma la soluzione piena non può che passare per una Colombia libera e indipendente. Una paese dove il processo di conquista della seconda e definitiva indipendenza sia completato con successo, e dove gli interessi geopolitici del governo nordamericano siano rifiutati dal potere politico come già lo sono dalle masse popolari.

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