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La proprietà privata come modello di espulsione in campagna o in città

Abbiamo tradotto questo interessante articolo sulla sacralizzazione della proprietà privata per quanto riguarda l’abitare e i territori. L’articolo fa riferimento alla situazione argentina, ma si possono trovare molti punti in comune con il modo in cui questo paradigma viene applicato anche in Europa. Buona lettura!

di Betiana Cáceres, Michelle Cañas Comas, Luna Miguens, Federico Orchani, María José Venancio, Leandro Vera Belli (*)

A quarant’anni dal ritorno alla democrazia, lo Stato scoraggia i modi di vita dei contadini e degli indigeni e premia la logica del mercato, nonostante la crisi degli alloggi nelle città. Il capitolo “Proprietà privata, proprietà sacra”, nel libro “Più che mai” del CELS (Siglo XXI), ci invita a partire da un altro principio: la “funzione sociale della proprietà”, riconosciuta dalla Costituzione.

La proprietà privata intesa come assoluta, esclusiva e perpetua sembra essere un valore sacro e immutabile della nostra democrazia, impossibile da regolamentare o relativizzare. Questa situazione è verificabile nel fatto che, a livello giuridico, sono state riconosciute figure e principi che la limitano in termini di bene comune, ma che raramente sono state messe in gioco nelle decisioni pubbliche.

L’esempio più evidente è quello della proprietà immobiliare: essa appare oggi come un’istituzione intoccabile, come il limite invalicabile dell’azione statale, la sua frontiera, dove vige la libertà assoluta. I tentativi di regolamentarlo vengono rapidamente respinti come se fossero una minaccia totale all’ordine del diritto. Questa sacralizzazione ostacola il riconoscimento di altri modi di relazionarsi. Ad esempio, coloro che organizzano la vita e la produzione collettivamente nelle aree rurali incontrano enormi difficoltà nel far riconoscere e legittimare dalle autorità pubbliche questi modi alternativi di rapportarsi alla terra, alternativi al paradigma liberale classico.

Guernica: la proprietà intoccabile

Nel luglio 2020, centinaia di famiglie che avevano perso il loro reddito durante il lockdown e non essendo in grado di pagare l’affitto o di sostenersi in situazioni abitative già precarie si sono insediate in un terreno a Guernica, nel quartiere Presidente Perón, nella provincia di Buenos Aires. L’occupazione si è conclusa tre mesi dopo con uno sgombero estremamente violento.

La difesa chiusa e assoluta del diritto alla proprietà privata, prima e durante il sequestro, ha ostacolato la risoluzione del conflitto: in nome del rispetto della proprietà privata, lo Stato ha rinunciato a utilizzare strumenti legali che avrebbero potuto essere efficaci.

Il principale ostacolo che il governo ha presentato alle organizzazioni è stato l’impossibilità di offrire terreni per il trasferimento delle famiglie. La posizione degli occupanti era ferma: “terra per terra”. In altre parole, erano disposti a lasciare la terra purché fosse garantito loro un altro posto dove vivere. Tuttavia, né la provincia né il comune avevano terreni pubblici da offrire. Questa limitazione è stata fondamentale per lo sviluppo del conflitto.

Presidente Perón sta vivendo una crescente domanda di immobili ad alto potere d’acquisto da quando l’ampliamento dell’autostrada Perón ha reso il comune più accessibile dalla Città Autonoma di Buenos Aires (CABA). Questo aumento di valore rende la zona sempre più escludente rispetto ai settori popolari.

Nel dicembre 2015, il Comune ha approvato l’ordinanza n. 1082, che obbliga i grandi insediamenti immobiliari a cedere il 10% dei terreni interessati dal progetto, o il suo equivalente in denaro, una volta che il Comune lo abbia approvato. Il ricavato dovrà essere destinato a un fondo per finanziare “il miglioramento dell’abitare del quartiere Presidente Perón”. Questa ordinanza è il regolamento comunale della partecipazione alle valutazioni immobiliari, uno strumento creato dalla legge provinciale sull’accesso equo all’abitare. Dall’approvazione dell’ordinanza fino all’acquisizione di Guernica, nel comune sono state costruite almeno cinque gated community (quartieri esclusivi per ricchi circondati da muri e sorveglianza per impedire l’ingresso degli indesiderati ndt); tuttavia, il comune ha deciso di non richiedere la cessione del 10% in nessuno dei casi.

I 60 ettari occupati a Guernica facevano parte dei 360 ettari su cui era previsto lo sviluppo del San Cirano Country & Club, una gated community di lusso con campi da rugby, hockey, tennis e calcio.

Durante il conflitto, le organizzazioni hanno presentato al Comune, al Governo provinciale e al giudice della causa una proposta concreta: applicare l’ordinanza 1082 allo sviluppo di San Cirano e destinare il 10% del terreno alla costruzione di un quartiere per le famiglie che vivono nel sito. La proposta comprendeva anche un progetto urbanistico con spazi verdi, centri di assistenza sanitaria primaria, servizi di assistenza e altri servizi comuni.

Tuttavia, i media tradizionali e gli attori legali e politici hanno sostenuto che l’occupazione minacciava il diritto alla proprietà privata. I vicini che si oppongono all’occupazione hanno fatto la stessa affermazione. Il governo provinciale ha assicurato che la risoluzione del conflitto non avrebbe intaccato il diritto di proprietà.

Se il Comune avesse applicato l’ordinanza, avrebbe avuto a disposizione il terreno per fornire una soluzione abitativa. D’altra parte, il governo provinciale e la magistratura hanno ritenuto politicamente sconveniente chiedere all’azienda di cedere parte dei suoi terreni per costruire un quartiere per le famiglie dell’occupazione, e hanno abbandonato la proposta.

Dopo tre mesi, la logica criminale ha prevalso e il giudice ha ordinato lo sgombero: 1400 famiglie sono state represse in un’operazione notturna molto violenta, che ha incluso l’incendio di baracche e beni.

L’assessore provinciale alla Sicurezza, Sergio Berni, ha presentato esplicitamente lo sgombero come un trionfo dei diritti di proprietà privata. In uno spot ufficiale che sembrava una scena di guerra, ha dichiarato: “Il diritto alla vita, il diritto alla libertà e il diritto alla proprietà privata non sono negoziabili”.

Dieci mesi dopo lo sfratto, il governatore Axel Kicillof ha annunciato la decisione di procedere lungo il percorso proposto dalle organizzazioni. Ha chiesto all’azienda di cedere parte del terreno di Presidente Perón, attraverso l’applicazione della partecipazione comunale alle valutazioni immobiliari. Secondo l’annuncio ufficiale, questo terreno sarebbe stato utilizzato per la costruzione di oltre 850 case per le famiglie di Guernica. Tuttavia, a più di due anni dallo sgombero, le persone che lo avevano occupato non hanno ancora un posto decente dove vivere.

Desalojo de Guernica | Foto: Juan Pablo Barrientos

Comunità contadine e indigene: esiste già un altro modello di proprietà

La sacralizzazione della proprietà privata è anche in gioco nella difficoltà di riconoscere modalità di relazione con la terra che non implichino un uso esclusivo ed escludente, tipico del paradigma liberale. In generale, il sistema giudiziario adotta questo approccio e tende a negare le forme di possesso e proprietà collettiva delle comunità contadine e indigene.

È quanto è accaduto nel conflitto per la fattoria La Libertad a Córdoba, che si estende per circa 13.000 ettari. Vi abitano trenta famiglie, organizzate nel Movimiento Campesino de Córdoba, che si dedicano alla produzione di miele e di carne di maiale e di pecora. Nell’ambito dell’avanzamento della produzione agricola e zootecnica su larga scala nella zona, La Libertad è stata acquistata da un’azienda senza alcuna considerazione per le famiglie che vi abitavano e producevano. Quando l’azienda fallì, un gruppo di creditori volle che i debiti fossero pagati con i campi abitati ancestralmente dalla comunità. Da allora, la disputa su queste terre è proseguita in tribunale.

Nel 2014, i creditori sono riusciti a far vendere all’asta più della metà dei terreni. Nel maggio 2019, l’11° Tribunale civile di Córdoba ha ordinato la vendita all’asta di altri 2.700 ettari, sostenendo che le famiglie rivendicavano una quantità di terra sproporzionata, senza tenere conto della superficie necessaria per il tipo di produzione estensiva svolta dai contadini. La pressione politica del movimento contadino ha impedito ulteriori espropriazioni.

La magistratura tende a non considerare i modi di vita e di produzione contadini, caratterizzati dall’uso comune del territorio abitato dalle famiglie, dal pascolo e dallo spostamento degli animali attraverso gli abbeveratoi e i boschi secondo le condizioni della natura e dalla produzione di cibo per la sussistenza. Ciò che accade è che riconosce il possesso delle case e degli edifici in cui le persone vivono, ma non della terra comune su cui i contadini producono. Poiché non presentano i segni tipici del possesso agro-alimentare, come recinzioni e dissodamenti, lo Stato non riconosce queste terre come produttive. Ad esempio, gli operatori giudiziari ignorano la transumanza come metodo di allevamento del bestiame su vaste aree (argini dei fiumi, montagne, saline, ecc.). Questa pratica consiste nello spostarsi con gli animali attraverso grandi aree di uso comune, al pascolo, attraverso foreste e luoghi di abbeveraggio. Il pascolo si adatta ai cicli naturali e ai cambiamenti del terreno. L’allevamento si adatta quindi alla terra, e non la terra alla produzione. Il disconoscimento, per ignoranza o per ideologia, di queste pratiche da parte di chi deve risolvere i casi che coinvolgono le comunità contadine porta a mettere in discussione per via giudiziaria il possesso e l’estensione del territorio che esse abitano.

Di fronte a questa invisibilizzazione, il Movimento Nazionale Indigeno Contadino Somos Tierra propone la creazione di uno “spazio contadino per la sovranità alimentare”. L’obiettivo è identificare e proteggere i territori abitati da comunità contadine, con modi di vita e di produzione diversi da quelli dell’agrobusiness. Territori in cui la produzione avviene in campi aperti, con l’utilizzo di recinzioni metalliche solo per la gestione del bestiame, o territori in cui si pratica la transumanza, che combina la produzione in campi individuali (o in abitazioni nel villaggio) con il trasferimento degli animali in campi comunitari. Il movimento propone anche l’identificazione di questi territori per avanzare nella concessione di titoli e nell’attuazione di politiche per rafforzare la produzione contadina e migliorare l’accesso all’acqua.

Affitti: il canone insormontabile

Anche la rendita derivante dalla proprietà privata si è rivelata un limite insormontabile, persino in un contesto eccezionale. Nel marzo 2020, all’inizio della pandemia, il governo nazionale ha ordinato l’isolamento sociale preventivo e obbligatorio (ASPO) in tutto il Paese. Ciò implicava che tutte le persone, ad eccezione di quelle che svolgevano mansioni “essenziali”, dovevano rimanere a casa, anche se ciò significava sospendere il lavoro, l’istruzione o le attività sanitarie. Milioni di persone hanno perso il loro reddito da un giorno all’altro. Particolarmente difficile è stata la situazione delle famiglie di inquilini, che oltre a necessitare di un reddito per il cibo e i beni di prima necessità, hanno dovuto coprire il costo mensile dell’alloggio.

Alla fine di marzo, il presidente Alberto Fernández ha firmato il decreto 320, che ha stabilito un quadro di protezione speciale per gli inquilini: i contratti sono stati prorogati automaticamente, sono stati vietati gli sfratti per mancato pagamento e si è stabilito che gli aumenti previsti dai contratti potevano essere pagati solo alla scadenza del termine del decreto. Tuttavia, l’obbligo di pagare l’affitto non è stato né sospeso né ridotto. L’affitto dei beni immobili dei proprietari rimaneva intoccabile. In pratica, lo Stato riconosceva agli inquilini il diritto di indebitarsi, senza essere sfrattati immediatamente. Agli inquilini che avevano perso il loro reddito durante il lockdown fu permesso di rimanere nelle loro case in cambio dell’accumulo di debiti. Sebbene il decreto coprisse tutti i rapporti di locazione, in pratica per coloro che non avevano un contratto scritto (più della metà delle famiglie di inquilini) è stato più difficile applicare queste misure di protezione e molti sono stati costretti a lasciare le loro case.

Nel contesto della pandemia, l’abitazione ha svolto un ruolo centrale nella prevenzione del contagio di massa: “Restate a casa” è stato lo slogan ripetuto dal governo. Tuttavia, nonostante l’assoluta eccezionalità della pandemia e nonostante siano state adottate misure estreme come il divieto di uscire di casa per mesi o l’impedimento delle cure mediche, non si è mai presa in considerazione la possibilità di incidere sulla rendita immobiliare. In altre parole, sono state prese decisioni senza precedenti riguardo al diritto di movimento, alla salute, all’istruzione, alla possibilità di viaggiare all’estero e di entrare nel Paese, ma l’obbligo di pagare l’affitto mese per mese è rimasto invariato. Chi non era in grado di farlo, all’entrata in vigore del decreto si è trovato con un debito accumulato, che ha dovuto pagare con gli interessi. Secondo l’indagine telefonica sulle famiglie dell’Area Metropolitana di Buenos Aires, condotta dal CELS e dalla Scuola Interdisciplinare di Alti Studi Sociali dell’Università Nazionale di San Martín (Escuela Idaes-Unsam) nell’ottobre 2021, il 65% degli inquilini era indebitato e il 43% doveva pagare mesi di affitto. Inoltre, il 67% ha dichiarato di aver perso il proprio reddito.

Foto: Matías Sarlo

Limitazione dell’accesso ai diritti

La decisione di non intaccare gli interessi dei grandi immobiliaristi, il mancato riconoscimento dei modi di vita e di produzione collettivi e la non incidenza degli affitti immobiliari in un contesto eccezionale come quello della pandemia sono diverse manifestazioni del posto sacro che la proprietà privata ha in questo momento storico e che si è consolidato in questi quattro decenni di democrazia. Questa sacralizzazione, tuttavia, non è in linea con il quadro normativo. La legislazione argentina stabilisce che la proprietà privata non è un diritto assoluto: è soggetta alle esigenze del bene comune. La Costituzione nazionale riconosce la funzione sociale della proprietà. Questo principio giuridico limita la natura assoluta della proprietà privata e afferma che essa non deve essere in contrasto con il bene comune. Il principio è riconosciuto dalla Convención Americana sobre Derechos Humanos ed è quindi un concetto costituzionale anche per la legislazione nazionale dal 1994.

Nel 2014, durante la discussione sulla riforma del Código Civil y Comercial, si è tentato senza successo di incorporare la funzione sociale della proprietà nel nuovo testo. Tuttavia, vent’anni dopo la sua incorporazione nella Costituzione, non è stato raggiunto alcun accordo per integrarla nel Código Civil y Comercial.

La riforma costituzionale del 1994 ha anche riconosciuto “il possesso e la proprietà comunitaria delle terre tradizionalmente occupate dai popoli indigeni argentini”. In altre parole, ha ammesso che il modo di essere legati alla terra può essere diverso dal possesso individuale ed esclusivo della visione liberale del mondo. Questo riconoscimento è stato un primo passo affinché il quadro normativo argentino riflettesse altri modi di rapportarsi alla terra in cui prevale la logica del collettivo e della comunità. A distanza di quasi trent’anni, le comunità indigene non sono ancora in grado di esercitare pienamente questo diritto perché non esiste una legge specifica che lo renda operativo.

Fino a che punto è legittimo regolare l’esercizio della proprietà privata e fino a che punto è legittimo far prevalere l’interesse comune? In questo gioco di tensioni, la funzione sociale della proprietà privata si è ridotta negli ultimi quarant’anni. Il consolidamento dell’idea di proprietà privata come valore assoluto, come limite ultimo dell’azione statale, priva chi progetta le politiche pubbliche di strumenti fondamentali per risolvere i conflitti, garantire i diritti e generare uguaglianza. Il consolidamento della proprietà privata come istituzione intoccabile che non può essere regolata o relativizzata indebolisce la democrazia.

(*) Gli autori hanno scritto questo capitolo per il libro Más que nunca, 12 debates necesarios para construir la democracia del futuro (CELS). Scarica il libro dal seguente link: https://cels.org.ar/masquenunca/

Pubblicato originariamente da Agencia Tierra Viva

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