
Asl di Torino: un sistema di favori al servizio della politica?
L’Italia è un paese anziano e in calo demografico ma gli investimenti nel comparto sanitario e socio-assistenziale sono sempre meno.
La manovrina di quest’autunno, la terza per il governo Meloni, propaganda di avere dato centralità alla sanità per fare fronte alle liste d’attesa e ai disagi che, sempre più spesso, portano la popolazione italiana a decidere di non curarsi per l’inaccessibilità alla salute. Eppure sembra chiaro che i pochi soldi stanziati non copriranno nemmeno un’unghia del reale fabbisogno per un intervento strutturale nel comparto. Infatti le priorità del governo sono dichiaratamente altre, il riarmo, la spesa bellica, attenersi alle indicazioni dell’Europa.. alla faccia del governo sovranista!
Una delle regioni che sta subendo una maggior regressione in termini di accessibilità e qualità del servizio è il Piemonte. In queste settimane sono scoppiati non pochi bubboni tra le mani di chi intende gestire l’ambito sanitario come il proprio cortile di casa. Se da un lato soffia il vento dello scandalo per le vicende legate all’Asl To4 e alla cricca di Agostino Ghiglia – agli onori delle cronache per diversi argomenti in questi giorni – dall’altro lato le amicizie di alcuni personaggi con la Questura e la Procura fanno capolino per strumentalizzare vicende che riguardano i movimenti sociali, sperimentando l’uso amministrativo della repressione.
Ma andiamo con ordine.
“Quegli annosi problemi”
Basta scorrere le pagine dei quotidiani dell’ultimo anno per accorgersi che i problemi che riguardano la sanità pubblica nella città di Torino e nella regione Piemonte sono molteplici. Partiamo dalle questioni strutturali: ricordiamo la caduta del controsoffitto delle Molinette, uno dei maggiori e importanti ospedali della città. Solo un segnale del graduale degrado delle condizioni delle strutture: davanti all’evidenza l’assessore alla sanità Federico Riboldi in quota FdI rispose “l’ospedale è vecchio ed è quindi chiaro che si corra un maggior rischio”. Quando piove poi chi si trova ai piani inferiori rischia l’allagamento, come successo sia alle Molinette che al Mauriziano qualche settimana fa. Invece di preoccuparsi di attuare un piano di ristrutturazione e manutenzione la Regione Piemonte guarda però verso altri lidi, sicuramente più convenienti: risale a giugno la firma per l’intesa con l’Inail per la costruzione di 7 nuovi ospedali in tutta la regione per la cifra stanziata di 2,257 miliardi di euro. Tra questi è previsto anche quello di Torino Nord, ossia un nuovo ospedale che andrebbe a cementificare il parco pubblico della Pellerina, per il quale il comitato che da tempo segue la vicenda ha scritto molte pagine in un dossier con l’aiuto di esperti quali medici, tecnici urbanisti, geologi, studiosi della mobilità per denunciare le numerose criticità del progetto quali consumo di suolo, rischio di esondazioni, assenza di pianificazione sanitaria, cementificazione.
Occorre poi sottolineare le difficoltà che incontra il personale sanitario nel dover lavorare a determinate condizioni, a tal proposito nel 2024 si è registrato un picco di dimissioni di medici, infermieri e oss, una sorta di onda lunga del periodo Covid che ha sicuramente avuto il “pregio” di svelare la maschera dei problemi cronici in ambito sanitario per poi anche dimostrare come non si facesse nulla per intervenire. Lo dicono i dati: a Torino servirebbero almeno 500 medici in più, questo significa che un medico lavora 594 ore l’anno in più del dovuto, come se dovesse lavorare 16 mesi invece di 12 l’anno. Rispetto poi ai medici di famiglia la situazione è disastrosa, in overbooking da anni, messi nelle condizioni di non poter svolgere il loro servizio in maniera seria, costretti a svolgere diagnosi per telefono e a sacrificare la prevenzione. Ampliando lo sguardo ai vari ambiti della salute possiamo sottolineare le difficoltà riscontrate nella presa in carico della salute mentale, risale infatti a poco tempo fa la denuncia dei familiari e delle associazioni che supportano i pazienti psichiatrici in città, che riguarda l’esigenza di ottenere investimenti (si parla di 125 milioni di euro) per aumentare il personale dato che i tempi per le visite sono lunghissimi e le risposte sono principalmente farmaci non accompagnati da un lavoro complessivo sulla persona. La Regione spende 62 milioni in antidepressivi e antipsicotici ma la spesa a persona per il servizio si attesta a meno 8 punti percentuali rispetto alla media nazionale riservata alla categoria.
A questo punto occorrerebbe aprire il capitolo “prevenzione” che in ogni settore sanitario, Covid docet, dovrebbe essere la priorità assoluta. Eppure continua ad essere carente e la vicenda che andremo a raccontare più avanti e che riguarda lo Spazio Popolare Neruda è soltanto uno degli esempi in questo senso. Il buco nero in cui sono caduti i progetti delle famose “case di comunità” che dovrebbero assolvere il ruolo di assistenza territoriale al di fuori dell’ospedale, potenziare la medicina di prossimità, migliorare il rapporto medico-paziente, è un esempio. Sono ancora una chimera e oggetto di servizi giornalistici che ne dimostrano la truffa. Il dato che registriamo è che al posto di prevenire si continua a privatizzare. In merito allo stato dell’arte della sanità andrebbe approfondito il nuovo piano socio-sanitario presentato da Riboldi e Marrone bocciato dall’Ordine dei Medici in quanto vago e illeggibile. Si denuncia l’assenza di un piano serio rispetto alla mancanza di personale, alle mancanze nel settore epidemiologico, al mancato rilievo dei temi ambientali, all’inesistenza di indicazioni sulle case di comunità, sul rapporto tra sanità territoriale e ospedale. Nella nota dell’OMCeO vengono dettagliati tutti i punti sui quali si evidenziano importanti criticità.
Rispetto alla privatizzazione innanzitutto vanno spese due parole sul tema dell’intramoenia, attività libero professionale svolta dai medici dipendenti all’interno degli ospedali pubblici, al di fuori dell’orario di servizio. A Città della Salute, nonostante il termine intramoenia intenda letteralmente “ dentro le mura” , ben l 86% di questa attività è svolta fuori dall’ospedale, in centri privati. Dato nettamente oltre la media nazionale: la Regione con maggiore Intramoenia svolta all’esterno è infatti la Calabria, ma con una percentuale di circa il 40% , meno della metà di quella svolta in CDSS. Nei conti che non tornano del bilancio della Città della Salute si è infatti aperta una questione sul disavanzo relativo all’attività intramoenia, ossia nel 2024 l’attività libero-professionale dei medici dell’ospedale avrebbe comportato costi superiori agli introiti. Ciò significa che l’attività privata, svolta all’interno o all’esterno dell’ospedale pubblico, andrebbe a gravare sul bilancio della sanità pubblica. Proprio su questo tema si è consumata la vicenda che ha visto il neo eletto commissario della Città della Salute di Torino Thomas Schael (nominato commissario data l’opposizione alla sua nomina da parte dell’ex rettore dell’Università Geuna), prima chiamato a svolgere il ruolo di revisore dei conti (con sulle spalle un buco di milioni di euro su cui torneremo dopo) dall’assessore Riboldi e poi, dopo pochissimo tempo, sfiduciato da Alberto Cirio. E’ un dato che le attività in intramoenia svolte all’esterno dell’ospedale finiscono per finanziare la sanità privata, in particolare cliniche quali Humanitas, sulla quale è stata aperta un’inchiesta, che reggono buona parte dei loro introiti e del loro prestigio sull’ attività svolta da medici, spesso primari o professori, assunti dal SSN. Tra gli obiettivi di Schael, pare da fonti interne, vi sarebbe stato anche quello di portare sotto la gestione dell’Azienda Ospedaliera le convenzioni con le compagnie assicurative, sottraendole alle cliniche private e riducendo così il rischio di accordi indiretti tra strutture private e assicurazioni per i rimborsi. In ogni caso, il progetto di Schael di riportare all’interno delle mura dell’ospedale l’attività di intramoenia è probabilmente stata una delle cause del suo addio forzato.
Andiamo a rimettere ordine nelle vicende che riguardano la Città della Salute, i conti in rosso, dirigenti amici dei provita, le carriere truccate.
“Città della Salute o città del magna magna?”
Pochi mesi fa, a giugno 2025, veniva avviato il processo a seguito dell’inchiesta per sedici dirigenti sotto accusa per i bilanci truccati per una cifra che si aggira intorno ai 120 milioni di euro. I conti di dieci anni sono stati truccati in favore della salvaguardia di determinati personaggi e un certo tipo di gestione. Tra gli imputati Giovanni La Valle, in quota PD, ex direttore generale della Città della Salute e Beatrice Borghese, già direttrice amministrativa, accusati di aver coperto le operazioni causando un buco di bilancio di oltre 10 milioni di euro che, secondo l’accusa, potrebbe arrivare a 120 milioni.
Qui Chiara Rivetti del sindacato Anaao racconta l’origine della vicenda a partire dal 2024
E’ interessante fare un focus sulla figura di La Valle, già al centro di scandali in passato per le sue nomine e i suoi passi di lato per poi ritornare sul centro della scena in piena pandemia, momento perfetto per farsi passare inosservati. La Valle è lo stesso personaggio che ha presieduto la sottoscrizione del patto tra ospedale pubblico e associazione Movimento per La Vita insieme all’assessore per le Politiche Sociali Maurizio Marrone, FdI, il direttore sanitario dell’ospedale Sant’Anna Roberto Fiandra e il Presidente regionale del Movimento per la Vita Claudio Larocca per l’apertura della “stanza dell’ascolto” all’Ospedale Sant’Anna di Torino. Un bel quartetto di uomini in giacca e cravatta al quale spetterebbe il diritto di scelta di una donna che vorrebbe interrompere una gravidanza per qualsivoglia motivo. Una scena raccapricciante. Grazie alla mobilitazione che in città ha visto la partecipazione di tantissime persone anche tramite l’occupazione dell’ospedale per contrapporsi all’apertura della stanza dell’ascolto e alla presenza di associazioni provita all’interno della sanità pubblica e grazie all’accoglimento del ricorso presentato al TAR da CGIL Torino e Se Non Ora Quando, la convenzione tra Città della Salute e movimento antiabortista è stata considerata illegittima.
Consigliamo l’ascolto di questa intervista con Non Una di Meno Torino che riassume le tappe della lotta.
Arriviamo dunque alle notizie di questi giorni. Il primo scandalo riguarda l’Asl To4 e, in particolare, l’ospedale di Settimo Torinese. L’accusa riguarda il maltrattamento di alcuni pazienti e concorsi truccati. Si parla di oltre 30 persone indagate tra dirigenti, medici, infermieri, referenti di cooperative esterne per truffa, corruzione e esercizio abusivo della professione. Non vogliamo addentrarci nei dettagli giudiziari ma ciò che ci sembra rilevante è il coinvolgimento dell’organo per la prevenzione delle malattie e degli infortuni sul lavoro, ossia lo Spresal, all’interno di queste indagini. A quanto pare la dirigente di Asl To4 Carla Fasson (amica dell’ex pm antinotav Antonio Rinaudo) al centro della bufera avrebbe incitato il coordinatore dello Spresal di Ivrea a dissuadere una candidata dal presentare trasferimento. Lo Spresal è a processo anche per centinaia di fascicoli sugli infortuni del Canavese mai arrivati in Procura. Anche in altre occasioni lo Spresal non si è risparmiato dallo svolgere ruoli al limite della propria missione professionale, come nel caso Askatasuna, in quel caso però in accordo con la Procura.
L’altro elemento interessante della questione riguarda il caso Agostino Ghiglia, componente del Collegio del Garante della Privacy in quota FdI, nonché cugino di Carla Fasson al centro dell’inchiesta dell’Asl To4, personaggio controverso salito agli onori della cronaca in questi giorni per aver commisurato una sanzione a Report dopo una visita alla sede di FdI. Al primo la multa è di 150 mila euro per il servizio incriminato su Boccia e Corsini sotto suggerimento dell’ex ministro Sangiuliano, per la cugina è stata assicurata una multa non superiore a 5 mila euro. Le indagini riguardano infatti la richiesta da parte di Carla Fasson di non essere troppo severo in merito alla vicenda risalente al novembre 2022 quando l’AslTo4 avrebbe inviato 45 mail a pazienti fragili del reparto di neurologia di Cirié senza nascondere gli indirizzi, andando dunque a contravvenire alla privacy su dati sensibili. Sui quotidiani del 29 ottobre viene raccontata la storia in merito all’indagine che riguarda Carla Fasson e suo cugino: emergono favori anche nei confronti dell’ex pm Rinaudo, all’epoca commissario dell’Unità di Crisi regionale per i vaccini del covid, il quale, mentre dichiarava che sarebbero stati perseguitati tutti i “furbetti”, telefonava all’amico per fare vaccinare un “soggetto che deve lavorare” chiedendo di farlo in fretta e dando anche le proprie preferenze sul vaccino da fare, non Moderna ma Pfizer. Sui giornali non ne viene dato grande risalto ma a noi sembra piuttosto significativo che l’avvocata di Carla Fasson per questa vicenda sia proprio Beatrice Rinaudo, oggi Vicesegretario cittadino e Responsabile del dipartimento Legalità e Giustizia di Forza Italia Torino, nonché figlia del ex pm Antonio.
“Dove c’è Ghiglia, c’è destra” era lo slogan dei suoi manifesti elettorali, infatti la carriera di Agostino è lunga e, tralasciando i vari tentativi alle elezioni prima con Fini poi con FdI, senza mai essere eletto, arriva a sedere all’Autorità per nomina politica. Ma è soprattutto interessante sottolineare le origini della sua carriera: giovane del Fronte della Gioventù, nel 2019 quando presentò le liste del FUAN in Università rivendicò in alcuni suoi post Facebook l’aver “combattuto la sinistra comunista e la sua ideologia assassina”. Consigliere comunale e poi regionale del MSI viene ricordato nei titoli de La Stampa del 1986 per aver picchiato insieme ad altri due aderenti al Fronte uno studente del liceo Volta che aveva strappato un manifesto del MSI.
L’uso amministrativo della sanità e della sicurezza per attaccare le realtà sociali e di movimento
La privatizzazione rampante della sanità, il disinvestimento nel pubblico e l’ “amichettismo” sembrano essere la cifra della destra al governo nell’ambito della salute a livello nazionale. Questo quadro, già ributtante, in Piemonte si arricchisce di ulteriori dettagli, infatti si ha la sensazione sempre più chiara che questa rete di potere incistata nel sistema sanitario faccia un uso politico spregiudicato delle istituzioni dedicate alla salute per attaccare i movimenti sociali.
Gli esempi che si affastellano in questi anni sono molti e differenti: dal ruolo dell’Asl nel tentativo di sgombero dell’Askatasuna, fino alle vicende più recenti che riguardano lo Spazio Popolare Neruda.
Iniziamo dalla fine: il 22 ottobre La Stampa pubblica un articolo riguardo alla presenza di alcuni casi di tubercolosi all’interno dello Spazio Popolare Neruda. Immediatamente si è scatenato un polverone alimentato da alcuni media e dai politicanti di destra con in testa il solito Maurizio Marrone. Niente di nuovo: la destra piemontese è ossessionata dai movimenti sociali e su una vicenda del genere può ricamare le sue velleità. L’aspetto più preoccupante di questa vicenda, che si lega al metodo già sperimentato con il tentativo di sgombero di Askatasuna, è che a sedere negli uffici del Dipartimento Prevenzione dell’Asl di Torino è Roberto Testi, medico legale già noto per le sue amicizie in Procura, in particolare con l’ex pm Antonio Rinaudo e per scandali vari per negligenza e scarico di responsabilità durante la pandemia da Covid19. “Gli anziani nelle RSA? Non prendiamoci la responsabilità diretta”, diceva quando sedeva a fianco di Rinaudo nell’Unità di Crisi per la gestione dell’emergenza Covid.
Come sottolineato a gran voce dal comunicato scritto dallo Spazio Popolare Neruda
la questione che ha fatto scatenare i giornali, ossia il caso di Tbc già gestito e messo in sicurezza verificatosi tra le persone che abitano lo spazio, rivela questioni ben più profonde che hanno a che fare con la prevenzione, l’accesso alla salute, il razzismo istituzionale anche in ambito sanitario. Ne riportiamo alcuni passaggi che ricostruiscono quanto avvenuto e il perchè chi ha avuto a cuore la salute collettiva all’interno e all’esterno dello Spazio Popolare Neruda si sia dovuto confrontare proprio con un personaggio come Testi.
“Ci teniamo a precisare che fin dal primo momento in cui abbiamo saputo che una persona che viveva qui era affetta da tubercolosi con il rischio di contagio ci siamo attivati per la tutela della salute dell3 abitatnt3 dello spazio, di chi lo frequenta e del quartiere; siamo stati presi in carico comunità dalla ASL e la situazione dal punto di vista sanitario e del rischio contagio è stato messo sotto controllo. Quello che ci sembra invece fuori controllo sono le strumentalizzazioni politiche da parte della destra regionale sulla salute delle persone in condizione di precarietà abitativa e con background migratorio.”
A seguito della necessità di garantire la salute e di contenere il rischio epidemiologico la risposta da parte di chi siede a capo degli uffici preposti è stata invece quella di aprire un caso che va nella direzione di criminalizzare chi lotta per la questione abitativa e l’accesso ai servizi, chi è di origine straniera e dunque stigmatizzabile soprattutto quando si tratta di un certo tipo di malattia, di strumentalizzare questo evento per creare le condizioni e il terreno per eventuali sgomberi giustificati da problemi inerenti alla sicurezza pubblica e l’agibilità dello stabile. Ancora non è noto quali saranno le conseguenze di questi passaggi ma è fondamentale evidenziare i nodi politici che emergono dalle dinamiche che intrecciano in maniera incontrovertibile Asl di Torino, Procura, Questura e istituzioni regionali. In questa intervista viene raccontata la vicenda, le modalità di gestione dell’emergenza, i ragionamenti che hanno spinto ad agire nell’ottica di garantire la salute collettiva da parte delle persone che vivono e rendono vivo lo Spazio Popolare Neruda. E’ importante anche sottolineare come questo fatto abbia aperto delle contraddizioni interne alla sfera istituzionale facendo schierare professionisti della salute dalla parte del Neruda, come si evince dal Comunicato del Comitato per il diritto alla tutela della salute e alle cure e che si può leggere anche qui, del quale vogliamo sottolineare questo passaggio:
“Quando emergono casi di malattia, il compito delle istituzioni e dei servizi è quello di informare correttamente la popolazione, non di alimentare paure o pregiudizi. Il Centro Neruda, che diversi membri del nostro Comitato frequentano come volontari, è uno spazio sociale della città che ha permesso a tante persone e famiglie di trovare una casa e una rete di sostegno.
Nel recente caso di tubercolosi, è probabile che proprio la vita comunitaria all’interno del Neruda, e il fatto che la paziente vivesse insieme alla propria famiglia in un contesto organizzato, abbia consentito una diagnosi più tempestiva e una gestione più efficace della situazione.Tutte le famiglie residenti nel centro hanno collaborato con piena disponibilità ai controlli sanitari: questo è verosimilmente stato possibile grazie al clima di fiducia costruito nel tempo all’interno del Neruda.”
E’ significativo che venga riconosciuto il tema della fiducia costruita nel tempo e che si voglia valorizzare proprio il contesto in cui le famiglie senza accesso alla casa hanno costruito negli anni un esempio di vita basata su legami di solidarietà e un modo di vivere la collettività, con tutte le sue difficoltà, meritevole e capace di poter intervenire in maniera coordinata e collettiva in casi come questo. Non è stato dello stesso parere Roberto Testi che, come accennavamo prima, ha già dato prova della sua ostilità nei confronti dei movimenti sociali. In questo lungo articolo, a seguito del suo coinvolgimento nell’operazione che causò la dichiarazione di “inagibilità” del centro sociale Askatasuna e l’ispezione di Asl, Spresal e Vigili del Fuoco, viene raccontato il curriculum del personaggio. Non solo incuria e presa di distanza dalle sue responsabilità nel momento di maggior emergenza attraversato negli ultimi anni, ma anche perizie che, guarda caso, arrivano sempre firmate al momento giusto e per colpire chi non va a genio. E’ infatti questo il caso delle conseguenze dovute alla violenza della polizia durante lo sgombero del presidio di San Didero dell’aprile 2021 quando una compagna notav viene colpita all’occhio da un lacrimogeno lanciato ad altezza uomo causandole gravi danni e diversi interventi maxillo-facciali. Come scrivevamo nell’articolo, “Pochi mesi dopo, a seguito della visita dell’ex ministra degli Interni, Vittoria Lamorgese, del Capo della Polizia, del Questore e del Prefetto per parlare di “violenze in Val di Susa” il quotidiano torinese La Stampa pubblica un articolo in cui viene data notizia che la consulenza medica, effettuata per conto della Procura sulla compagna No Tav neghi che sia stata colpita da un lacrimogeno, presentandola come fosse una verità assoluta e strategicamente data in pasto ai giornali compiacenti ancor prima di informare i suoi legali. Guarda caso il dottore che firmò la perizia era proprio Roberto Testi”. Ma è importante anche riportare che “Il dottor Testi ritorna anche in un altro caso importante a Torino, ossia il decesso di Andrea Soldi, malato di schizofrenia morto a seguito di un TSO. Secondo Roberto Testi “La causa del decesso del paziente non può essere stata la presa per il collo. In nessun caso. Se strangoli qualcuno, la morte è immediata. Altro che venti o trenta minuti”. Testi in questo caso è il consulente tecnico di una delle quattro persone coinvolte nella morte di Soldi (lo psichiatra Pier Carlo Della Porta) indagato per la fine di Andrea Soldi, come viene riportato in un articolo su LaVoce. Dopo 7 anni si è chiusa la vicenda giudiziaria con quattro condanne per la morte di Andrea Soldi. La Cassazione ha respinto i ricorsi degli avvocati difensori, confermando così la colpevolezza dei tre agenti di polizia municipale (Manuel Vair, Stefano Del Monaco ed Enri Botturi) che materialmente eseguirono il Tso e del medico psichiatra Pier Carlo Della Porta che aveva in cura Andrea. A voi le conclusioni.”
Conclusioni
In un Paese in cui la priorità è il riarmo, l’investimento pubblico nelle aziende belliche e la tutela di un generale atteggiamento di “copertura” dell’enorme voragine di soldi pubblici dalla quale bene o male tutti hanno beneficiato se passati a ricoprire ruoli istituzionali, le dinamiche della città di Torino e della Regione Piemonte sono soltanto un esempio. Al Sud del nostro Paese i rifiuti tossici vengono lasciati marcire e bruciare sotto e sopra la terra, innalzando senza limiti i dati del registro tumori regionale. Se il registro tumori nemmeno c’è, come in Sardegna, chissà quando si potranno verificare le conseguenze sulla salute delle esercitazioni militari sul proprio territorio o degli impianti di Portovesme o dei miasmi della Saras, come viene riportato dal documento del GrIG (Gruppo d’Intervento Giuridico). Secondo il Report della Fondazione GIMBE, a un anno dalla pubblicazione del DL Liste d’Attesa, a giugno del 2025 ben 6 milioni di italiani rinunciano alle cure: secondo l’ISTAT, nel 2024 una persona su dieci ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, il 6,8% a causa delle lunghe liste di attesa e il 5,3% per ragioni economiche. E la motivazione relativa alle liste di attesa è cresciuta del 51% rispetto al 2023. Nel frattempo però il Governo produce in maniera sistematica decreti che delegano a se stesso pieno margine di manovra su materie delicate e prioritarie: è il caso del Dl sugli Sfratti e del Ddl sul Nucleare per entrambi i casi le parole d’ordine sono snellire e accelerare le procedure, istituire Autorità ad hoc per gestire questi ambiti scavalcando Tribunali ordinari da una parte e Comuni e Regioni dall’altra. Entrambe le questioni riguardano pienamente la salute collettiva, la possibilità di vivere bene sul proprio territorio, garantendo il diritto di una casa, di un ambiente sano e salubre.
La gravità di quanto accade tra gli uffici torinesi, gli interessi che vengono tutelati e garantiti per colpire chi propone un’opzione diversa e indica le responsabilità di inadempienze pubbliche, si inserisce in un quadro disastroso rendendo il tutto ancor più preoccupante e soprattutto rendendo ancora più forte il desiderio di riscatto.
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