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Napoli: morti ammazzati a ricordarci che la Camorra è una questione di classe

Ma che poi, se Gennaro fosse stato un pregiudicato, a 17 anni, non era anche in quel caso la vittima di un contesto sociale che ti stritola? La vittima di quartieri che sembrano non lasciare via di fuga tra povertà e assenza totale di servizi? Eventualmente è in un diciasettenne che andrebbero ricercate le responsabilità? Suvvia, non siate stolti!
Ma come dicevamo Genny non era questo. Siamo ancora una volta dinanzi ad una vittima innocente. Ancora una volta un ragazzino morto ammazzato per una guerra che non aveva scelto di combattere. Ucciso, probabilmente, da altri ragazzini come lui in quella che, da una parte e dall’altra, è una vera e propria mattanza.

 

Ma da quanto apprendiamo sembra si possa dire ancora di più. Il padre di Genny è un compagno che da anni si batte nel movimento dei disoccupati napoletani. In prima fila per la dignità e il riscatto sociale, in prima fila proprio contro quelle logiche che hanno ammazzato suo figlio, non ancora maggiorenne, poco più che un bambino. O forse bambino non lo era, in quartieri in cui sei costretto a crescere prima del tempo.

 

Un padre che chissà quante volte è stato vittima di quella stessa repressione che oggi, come dopo ogni grave episodio, dai salotti buoni della città, dai giustizialisti e dai “savianisti” sentiamo invocare. Eppure anche quando aumentano i sequestri di droga, i blitz delle forze dell’ordine e la loro presenza nei quartieri i morti ammazzati non diminuiscono. Anzi, spesso è proprio la loro presenza ad alimentarli. Basta ricordare il giovane Davide Bifolco, ammazzato senza alcun motivo dalla mano infame dello stato e poi, anche lui, descritto come il peggio camorrista dai pennivendoli di mezza Italia.

 

Lo abbiamo ribadito più volte, quando abbiamo commentato altri morti ammazzati o le porcate di Saviano e del brand Gomorra: questa è una questione di classe. Una generazione che sembra non trovare via d’uscita. Una generazione che o sceglie di combattere delle guerre per fare arricchire il potente di turno o si ritrova ad arrangiarsi in un deserto desolante, fatto di precarietà, povertà e assenza di reddito, e con lo stesso rischio di morire ammazzati, freddati da pallottole vaganti sparate da ragazzini come loro che hanno scelto di arruolarsi.

 

Ma se le loro guerre non le abbiamo scelte, c’è una lotta che invece ci appartiene. E’ la lotta di classe. L’unica via d’uscita possibile. L’unica guerra che vale la pena di combattere. L’unica alternativa all’arruolamento, che sia nelle fila di qualche cartello criminale o in quelle dello stato. Due facce della stessa medaglia, le due facce dello sfruttamento capitalistico sulle nostre vite e sui nostri quartieri.

 

La guerra dobbiamo cominciare a farla noi. A partire da un dato: la camorra non difende i figli dei suoi quartieri, ma li ammazza!

 

Fuje Gennà, Fuje!

 

 

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