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Nuovo Pignone a Massa: il lavoro ideale o lo sfruttamento più duro?

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Riportiamo dal profilo di Casa Rossa Occupata queste riflessioni sulle condizioni di lavoro in uno dei principali stabilimenti produttivi del massese.

Il Nuovo Pignone è un luogo di lavoro prestigioso, una vera e propria aspirazione in un territorio socialmente devastato come il nostro. Ed anche se c’è la consapevolezza che fra esserne un dipendente diretto e, al contrario, lavorare per una ditta esterna, c’è una notevole differenza, tuttavia la grande fame di lavoro porta a considerare la semplice possibilità di entrare nella grande famiglia “Nuovo Pignone” come un vero e proprio terno al lotto. Ma è davvero così?

In questi giorni ci è capitato di parlare con alcuni dipendenti di una ditta esterna e i racconti ci parlano di un livello di sfruttamento enorme, di mancato rispetto dei diritti più elementari, di rapporti lavorativi all’insegna dello schiavismo. Sono le relazioni industriali di oggi, si dirà, ma sono anche i livelli minimi dai quali può ripartire o rilanciarsi la lotta di classe, aggiungiamo noi.

Ma entriamo nel dettaglio.
Intanto i rapporti con i delegati sindacali: in varie situazioni si assiste a un vero e proprio mancato rispetto dei ruoli dei rappresentanti, con RSU buttati fuori dall’ufficio del capo (“te devi prendere un appuntamento per parlare con me”), minacciati, praticamente impossibilitati a svolgere la propria funzione.
Dopodichè le vere e proprie condizioni di lavoro e di vita all’interno della fabbrica: riduzione delle pause per andare a dissetarsi, vera e propria assenza di acqua in alcuni momenti, orari modificati al di fuori del contratto nazionale senza alcun avviso, impossibilità di andare in bagno durante il turno ma prima o dopo per non interrompere il lavoro, mancanza del materiale idoneo (tute di lavoro non sufficienti o usate da altri), mancanza di un vero e proprio luogo fisico dove mangiare (gli operai sono costretti a mangiare nel piazzale in terra), carenza di docce e bagni (che quando ci sono, sono quelli chimici, e provate ad avere queste condizioni quando si lavora a 40°..). Ma non è finita qui perchè anche sul piano meramente tecnico del contratto ci sono notevoli mancanze: da ferie e permessi negati in alcuni mesi di maggior produzione, agli spostamenti degli operai non comunicati con sufficiente anticipo e mai per iscritto, per arrivare ad accordi fatti privatamente con alcuni operai non rispettosi del contratto nazionale e concludere con casi di trasferte non pagate. Inoltre, dulcis in fundo, non esiste un luogo idoneo per i lavoratori per riunirsi e sono costretti a farlo al bar.

Insomma evidentemente un inferno. Reso possibile dal consueto perverso ricatto:” O lavori alle mie condizioni o ci sono centinaia di persone in attesa pronte a sostituirti”. E’ il mondo di oggi. Quello cioè che per essere concorrenziali, intende scaricare gli effetti della crisi riducendo il costo del lavoro, in barba a qualsiasi legge. Molti purtroppo sono costretti supinamente ad accettare, altri però cominciano ad essere stanchi. Con alcuni di loro abbiamo parlato ed è venuto fuori questo scenario disastroso, che necessita prima di una presa di coscienza collettiva e poi di una lotta, dura, quotidiana, determinata, una lotta che i nostri interlocutori si sono detti disposti (ed anzi obbligati) ad intraprendere. A coloro che vogliono cambiare il mondo e che per farlo pensano che sia fondamentale partire dal lavoro, il compito di sostenerli.

 

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