Piacenza: governo di unità nazionale contro i lavoratori
Lunedì mattina oltre cinquecento operai di Piacenza, stufi della retorica con cui i funzionari Cgil tentano di ammantare il loro operato opportunista e la loro aperta connivenza coi padroni, hanno invaso l’area antistante il palazzone della camera del lavoro per manifestare la propria indignazione e la propria rabbia contro un apparato che si dimostra ogni giorno di più estraneo ed ostile agli interessi della classe lavoratrice: in loro sostegno delegazioni di lavoratori e solidali provenienti dai distretti produttivi contigui, gruppi di solidali e persino singoli lavoratori aderenti a Cgil e Cisl.
Nelle ore precedenti alla manifestazione, i bonzi sindacali, pur di esorcizzare il clima di isolamento e di autoreferenzialità a cui già da diversi anni si sono (auto)condannati, hanno giocato la carta dell’”orgoglio”, facendo appello ai loro iscritti affinchè si precipitassero a difendere la sede da un presunto “assalto dei barbari del SI Cobas”, sciorinando i soliti luoghi comuni sulla Cgil “baluardo di democrazia”, utili nei giorni di festa per vantare una presunta continuità col sindacato di classe di un secolo fa a cui oramai non crede più nessuno, e peraltro senza disdegnare una buona dose di razzismo nei confronti dei lavoratori immigrati scesi a manifestare.
Lo scenario che si è presentato agli occhi di chiunque era in piazza a Piacenza è al tempo stesso eloquente e impietoso: da un lato la forza e le ragioni di centinaia di lavoratori che non ne possono più delle manovre e delle mistificazioni con cui la burocrazia Cgil tenta di giustificare l’ingiustificabile, a partire dalla loro chiara ed evidente complicità con i padroni di Fedex nella chiusura del sito piacentino e nel licenziamento di fatto di oltre 300 lavoratori; dall’altro poco più di una cinquantina di funzionari e pensionati, in gran parte giunti da altre città a seguito di una chiamata delle segreterie nazionali a presidio di una Camera del lavoro… senza lavoratori!
La manifestazione di Piacenza ha definitivamente messo a nudo ciò che come SI Cobas sosteniamo da tempo: gli apparati del sindacalismo confederale sono oramai un corpo estraneo alla classe lavoratrice; la Cgil, non solo in Emilia ma quasi ovunque, è un pachiderma capace di tenersi in vita solo attraverso l’integrazione organica delle sue burocrazie nello stato borghese e in quelle istituzioni che li proteggono, li foraggiano in chiave antiproletaria e che, non a caso, negli ultimi decenni hanno varato leggi e protocolli sulla rappresentanza cuciti su misura dei confederali per blindarne il monopolio, estromettere a tavolino ogni forma di sindacalismo conflittuale e occultare la perdita rovinosa di consensi e di credibilità registrata da Cgil-Cisl-Uil in gran parte dei luoghi di lavoro: una crisi verticale che è attestata dagli stessi organi di stampa ufficiali, e da cui emerge come i milioni di iscritti ancora vantati dai confederali siano in realtà in larga parte composti da
pensionati o dagli arruolamenti coatti operati grazie all’enorme giro d’affari legato al sistema dei CAF, dei Patronati e degli enti bilaterali…
Piacenza, da questo punto di vista, è la punta dell’iceberg di un processo di dimensioni nazionali e di lungo periodo: negli ultimi anni, di pari passo con l’inasprirsi della crisi capitalistica, ha iniziato a prendere piede, prima nella logistica, poi anche in altre categorie, un nuovo movimento operaio, che ha come suo principale punto di forza quelle migliaia di lavoratrici e lavoratori immigrati, spinti alla lotta dalle condizioni di lavoro schiavistiche imposte dai padroni con la complicità di Cgil-Cisl-Uil, e suprattutto liberi da quei tarli della paura, della passività e della
rassegnazione che i sindacati di stato hanno alimentato e inculcato per decenni nelle coscienze di migliaia di lavoratori italiani.
La precipitazione della crisi dovuta all’impatto drammatico della pandemia sta svelando in maniera ancor più nitida il ruolo svolto da Cgil-Cisl-Uil a difesa dei padroni e dei loro profitti.
In questi mesi la Cgil, con a capo il parolaio Landini, non ha saputo far altro che assecondare ogni appetito delle aziende, sponsorizzando ovunque l’utilizzo della Cig-Covid e rendendosi complice sia dell’abuso indiscriminato degli ammortizzatori sociali operato dai padroni (spesso con finalità discriminatorie e ritorsive), sia, di converso, del dimezzamento dei livelli salariali; non ha proclamato una sola ora di sciopero per la tutela della salute e della sicurezza e per la prevenzione dei contagi sui luoghi di lavoro (che per INPS e Istat hanno costituito, e continuano a costituire, il principale vettore pandemico), voltando le spalle ai loro stessi iscritti metalmeccanici che nella primavera scorsa dettero vita a una serie di scioperi spontanei; ha boicottato apertamente la giornata di lotta e di sciopero lanciata lo scorso 8 marzo dalle lavoratrici e dal movimento femminista; ha spalleggiato il salvacondotto per i padroni di Arcelor Mittal a Taranto, rendendosi dunque complice della devastazione ambientale di un intero territorio; ha dato la propria adesione ai protocolli e alle circolari con cui si attacca e si restringe ulteriormente l’esercizio e la libertà di sciopero nella pubblica amministrazione…
E l’elenco potrebbe proseguire a lungo!
Oggi la Cgil, assieme a Cisl e Uil, hanno siglato un patto d’acciaio col governo Draghi con lo scopo di frenare e reprimere ogni spinta conflittuale sui luoghi di lavoro: non è un caso se Fedex ha utilizzato le confederazioni per ridimensionare il peso del SI Cobas ed dell’Adl, e non è un caso che la ristrutturazione è stata annunciata con un accordo di internalizzazione nei magazzini del Veneto.
Da quando Fedex è uscita dalla Fedit per aderire a Confindustria il suo unico obbiettivo è quello di rafforzare il rapporto con CGIL, benché il SI Cobas è l’Adl abbiano il 75% degli iscritti nella filiera.
D’altronde, sarebbe il caso di chiedersi come mai solo oggi i confederali chiedono di avere un piano industriale mentre sottobanco, se non fosse stato per l’iniziativa del SI Cobas, avevano già dato l’avallo (in fretta e furia entro il 15 aprile) all’internalizzazione del sito di Padova alle condizioni poste da Fedex, la quale ha imposto che l’entrata avverrà sulla base di “colloqui personali”, quindi senza nessuna reale tutela sindacale.
Quel che è accaduto a Piacenza è un fatto di portata epocale: i lavoratori di Fedex, di Leroy Merlin e di tante altre aziende hanno fatto cadere definitivamente il velo di ipocrisia sul ruolo e sulla funzione svolta dalla burocrazia Cgil e, dato ancor più significativo, hanno trovato in piazza al loro fianco numerosi iscritti di quello stesso sindacato.
La vicenda Fedex è stata dunque solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
A Piacenza all’unanimità il consiglio comunale ha espresso il disappunto di fronte alla protesta nostra contro la CGIL e addirittura il PD ha mandato dei propri scagnozzi in soccorso alla settantina di persone in presidio davanti alla camera del lavoro: una “santa alleanza” in chiara contraddizione con le posizioni assunte la scorsa settimana dal sindaco e dal Prefetto di Piacenza, che condannavano senza mezzi termini la chiusura del magazzino e che avevano contribuito a smascherare il carrozzone burocratico della CGIL (piacentina e non), ricoprendola di disonore e di
vergogna.
Evidentemente poi il clima di unità nazionale ha portato le istituzioni piacentine a più miti consigli, e quindi a ergersi in difesa del “sindacato amico”.
Il silenzio tombale dei vertici Cgil sull’utilizzo da parte di Fedex di bodyguard e squadracce fasciste fuori ai cancelli di San Giuliano Milanese è a tal riguardo quantomai eloquente…
Hanno fatto una figuraccia e adesso vorrebbero essere interlocutori dell’azienda al ministero?
Fin dalla nascita della nostra organizzazione, abbiamo imparato sulla nostra pelle quanto sia difficile costruire un sindacato degno di questo nome sui luoghi di lavoro: oltre alle minacce, alle rappresaglie e alle ritorsioni padronali, abbiamo sempre dovuto fare i conti con lo scetticismo di migliaia di lavoratori, i quali spesso solo a sentir pronunciare la parola “sindacato” inorridiscono sostenendo (riferendosi ai confederali) che “i sindacati sono tutti venduti e parassiti”.
A Piacenza centinaia di lavoratori non solo hanno dato voce alla rabbia e all’indignazione silenziosa di milioni di proletari; hanno anche dimostrato con i fatti, con l’esempio concreto delle loro lotte e del loro protagonismo, che esiste un alternativa, reale e concreta: un modo di fare sindacato che restituisce centralità agli interessi dei lavoratori, non alle manovre dei padroni e/o di qualche grigio burocrate.
Nel mentre i tre porcellini fanno chiacchiere contro la chiusura ma non hanno proclamato neanche un’ora di sciopero, il SI Cobas venerdì si recherà fin sotto i palazzi del ministero, avendo da tempo chiesto una interlocuzione per discutere il piano industriale della Fedex, forti del sostegno di tutti i magazzini della filiera che scioperano a sostegno di Piacenza e per il loro futuro salariale e lavorativo.
Intanto ancora in queste ore, dopo due settimane di sciopero ad oltranza, il SI Cobas è impegnato a proseguire lo sciopero su tutta la filiera nazionale.
Solo la lotta paga!
Toccano uno – toccano tutti!
SI Cobas nazionale
Qui sotto, alcuni video di interventi dei lavoratori nelle ultime iniziative di lotta:
https://www.facebook.com/TNT.FEDEX/videos/484166659694148
https://www.facebook.com/mimo.ali.9484/videos/5639399799434434
https://www.facebook.com/verusca.barbieri/videos/4206375149381280
https://www.facebook.com/TNT.FEDEX/videos/484166659694148
https://www.facebook.com/watch/live/?v=786385711982892&ref=watch_permalink
Da SI Cobas
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