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Qui, dove è svanito ‘el sueño americano’

Reportage di Mike Davis

Una mobilitazione che cerca di collegare i grandi temi dell’economia globale con la situazione locale L’aria tossica, l’acqua inquinata del fiume Colorado il Salton Sea si prosciuga: ambiente e lavoro sono legati.

La mia autoradio riferisce di una bufera artica su Wall Street, ma Main Street a El Centro cuoce tranquillamente in un caldo autunnale da 90 gradi farenheit. Nella Imperial Valley califoniana, dove l’acqua del fiume Colorado sovvenzionata dal governo federale ha irrigato i profitti di latifondisti anglosassoni per oltre un secolo e dove i contadini muoiono troppo spesso a causa di colpi di sole e disidratazione a 120 gradi farenheit ad agosto, questo è il clima adatto per protestare.

Quaranta o cinquanta residenti della Valley marciano lungo la Main, passano davanti a facciate di negozi tappezzate di manifesti, negozietti ormai chiusi un tempo gestiti da famiglie, si fermano di fronte a varie sedi bancarie e a un McDonald’s cantando: «Basta, basta oppressione. Il 99% non ne può più dello sfruttamento».

La protesta parte da due iniziative – Occupy El Centro e Occupy Imperial County – ma entrambe si sono ormai unite in un unica rete emergente di attivisti (il nome in spagnolo, che preferisco, è l’audace Tome el Valle, Prendi la Valley).

Dopo alcune vigorose scansioni di El pueblo unido jamas sera vencido («lo slogan migliore da sempre» mi dice un allievo di terza media) i manifestanti convergono verso una tenda a Adams Park, dove un altare del Giorno del giudizio drappeggiato con delle coperte messicane è stato eretto in memoria del «Sogno americano».

Ci sono delle scritte di disperazione fatte con lo spray, dei teschi dipinti in cartapesta, il ritratto di un santo (Cesar Chàvez), foglie di pannocchia, semi di zucca, pan de muertos, piccole bandiere americane, amuleti, una targa con i nomi dei morti in guerra locali e una copia del Trattato di Guadalupe Hidalgo del 1848. Sopra l’altare c’è una grande scritta: «99%».

Capitale della disoccupazione Usa

Avremmo anche potuto leggere «32%» – il tasso ufficiale di disoccupazione nell’Imperial County all’inizio di settembre. Secondo i dati dell’Ufficio delle statistiche sul lavoro, El Centro e le città dei sobborghi sono in testa per la disoccupazione nelle aree metropolitane.

Stessa cosa per il reddito pro capite (sugli 11mila dollari) che oggi è circa il 10% in meno di dieci ani fa. Insediamenti costruiti a metà – che erano destinati a pendolari di lunga distanza che lavorano a San Diego – stanno diventando polverose città fantasma e corre persino voce che anche il cimitero locale verrà ipotecato.

In altri termini, statisticamente il sueño americano (sogno americano) nell’Imperial Valley è quasi senza fiato. E il mondo esterno si compiace a mettere sale sulla piaga.

Un sito sullo stile di vita yuppy, per esempio, ha votato El Centro come «la peggiore città» degli Stati uniti, mentre William Vollman, il Forrest Gump del giornalismo letterario americano, ha descritto l’Imperial County come il cuore dei limiti dell’oscurità – se non addirittura come l’inferno stesso – in un immenso e interminabile libro solipsistico (il suo Imperial, pubblicato nel 2009 è di 1344 pagine, la mia edizione di Guerra e Pace di Tolstoj ne fa 1296).

Dopo la marcia, mentre gli organizzatori stavano smantellando l’altare, ho parlato con un certo numero di manifestanti a proposito dell’immagine che la Valley ha all’esterno. Un adolescente pensava che lo prendessi in giro quando gli ho descritto la grande opera di Vollman: «È sul El Centro? Davvero? Perché? Questo non è altro che un posto normale».

Un’altra persona di origine latino-americana ricorda il brutale e straordinario passato anti-Union della Valley, ma nello stesso tempo chiede anche rispetto per il suo ricco nocciolo culturale di vita familiare, attività ricreative all’aperto, ed eredità messicana. «Se i nostri figli se ne vanno – sottolinea – non è perché odiano il deserto, ma perché non ci sono posti di lavoro decenti».

I venti della morte

Più tardi, di fronte a una torta di mele e a dei nachos (dolci messicani) lì vicino da Denny’s, ho avuto l’opportunità di intervistare sei degli occupanti. Sono particolarmente interessato a come collegano i più ampi temi dell’avidità e dell’ineguaglianza allo loro situazione locale.

Ho soprannominato Imperial la contea più «reazionaria» in California. Susan Massey, una maestra in pensione della vicina Holtville, per lungo tempo militante per la pace, è scettica. «Forse i più poveri», ma sottolinea il rinnovamento (80% della popolazione è oggi di latinos) che ha messo fine a un lungo periodo di aperto fascismo rurale, quando gridare degli slogan anti-plutocrazia in Main Street portava in carcere o addirittura al linciaggio. Elettoralmente, Imperial è ora una terra democratica sicura (rappresentata al Congresso dal liberal Bob Filner di San Diego) anche se gli elettori respingono decisamente ancora i matrimoni gay. Ma tutti attorno alla tavola sono d’accordo sul fatto che l’ampiezza del problema della disoccupazione nella Valley è troppo grande per le magre risorse del governo locale. Come nella Louisiana del sud, lavoro e ambiente sono strettamente legati, poiché la regione sta avvicinandosi a un punto di non ritorno.

Anita Nicklen, avvocata che si occupa dei migranti e madre di due giovani manifestanti, spiega questi legami in termini di una catena fatale. «I contadini sono messi sotto una fortissima pressione per lasciare la terra a riposo e per vendere i loro diritti all’acqua ai sobborghi di San Diego. Meno raccolti significano meno contadini e meno dollari che circolano nell’economia locale». «C’è anche meno acqua per l’irrigazione proveniente dal Salton Sea, che si sta asciugando. I pesci muoiono, gli uccelli migratori se ne vanno, i turisti restano a casa. E a misura che il Sea si asciuga, i suoi residui tossici sono esposti al vento».

(In seguito, un mio amico scienziato ha suggerito una ricetta per fronteggiare i fanghi sul fondale del Sea: «Aggiungere sali alcalini, residuati di pesticidi e scorie industriali cancerogene alle ampie quantità di fertilizzatori e prodotti dell’agricoltura industriale. Lasciar asciugare. Lasciare che si disperda nell’aria. Chiudere i finestrini della macchina e partire il più in fretta possibile il più lontano possibile».)

Un deserto alla Chernobyl?

Il rischio non è teorico. Los Angeles spende centinaia di milioni di dollari per recuperare parti del lago Owen, le cui riserve d’acqua sono state deviate verso l’acquedotto di Los Angeles nel 1910, per ridurre le tempeste di polvere alcalina che per anni hanno causato gravi problemi respiratori nelle comunità dell’alto deserto. Ma la morte del Salton Sea, un enorme serbatoio di sinistri prodotti chimici, significherebbe aprire il vaso di Pandora. Uno strisciante Chernobyl di malattie respiratorie e cancro. Può seguire un parziale spopolamento delle valli di Imperial e Coachella.

Per evitare questa Apocalisse, Sacramento ha proposto un piano di recupero di 9 miliardi di dollari per il Sea, ma l’ente che doveva appropriarsi della zona è stato bloccato da una sentenza giudiziaria e il piano deve ora far fronte alle drastiche scelte imposte dalla crisi del debito dello stato. Tuttavia, il cambiamento climatico e la siccità del Colorado Basin aumentano la pressione politica per permettere maggiori trasferimenti d’acqua dall’Imperial Valley alla costa.

Il Nafta non deve sgocciolare

Cambio la mia linea di inchiesta. «D’accordo, l’agricoltura dovrà declinare, ma cosa dire sull’economia di frontiera?» L’Imperial Valley sorge lungo due principali corridoi di trasporto del Nafta (North Atlantic Free Trade agreement, ndt.) e il suo gemello siamese, la Mexicali Valley, sta industrializzandosi rapidamente e diversificandosi.

El Centro ha una popolazione di 42mila abitanti, Mexicali più di un milione. Lungo la barriera della frontiera c’è una foresta di nomi di società straniere, che fanno lavorare le maquiladoras (fabbriche di assemblaggio, ndt): Sanyo, Kenworth, Allied Signal, Goldstar, Nestlé, ecc. E un ambizioso nuovo parco industriale – Silicon Border – sta pescando in Asia per riportare in Nord America le fabbriche di semi-conduttori.

È possibile che il dinamismo di Mexicali rinvigorisca anche l’Imperial Valley? Purtroppo nessuno da Denny’s riesce a ricordarsi di un solo nuovo impianto industriale che sarebbe stato favorito dall’accordo di libero scambio (in effetti, sembra che non ce ne sia nessuno). Dall’altro lato, tutti hanno da raccontare una storia orribile sull’impatto economico e personale del dopo 11 settembre.

Anita, che milita in Angeles sin fronteras (Angeles senza frontiere) – un rifugio per migranti deportati a Mexicali – racconta della fatica addizionale che rappresentano le almeno due ore di attesa nelle strade verso nord che portano in California. I ritardi, sottolinea, hanno fatto fuori gran parte del commercio al dettaglio frontaliero, che una volta nutriva le vie commerciali dell’Imperial Valley, i mercati e i supermercati.

(Ho scoperto poi uno studio del 2007 realizzato dal Dipartimento dei trasporti della California, che stimava che questi ritardi sono costati all’Imperial County migliaia di posti di lavoro e decine di milioni di dollari in termini di tasse sulle vendite.)

I supposti vantaggi del Nafta, in altre parole, non hanno avuto effetti sulla Valley. Tuttavia, come è possibile avere il più alto tasso di disoccupazione del paese a uno sputo di distanza dal corridoio commerciale più trafficato?

I vigorosi interventi del Messico e dei governi federali per mantenere il boom di Mexicali contrastano con l’abbandono in cui è stata lasciata la crisi dell’occupazione dell’Imperial Valley da parte sia di Sacramento che di Washington.

Mobilitarsi per organizzarsi

Sono andato a El Centro pensando di trovare una semplice replica della protesta di Wall Street: un’azione sussidiaria, non adatta a crescere nel clima ostile dell’Imperial County. Invece, ho scoperto un fiore nel deserto sbocciato grazie a una combinazione di lunga coltivazione (la tradizione di attivisti locali); molta visibilità (dialogo attraverso i media sociali) e, di eguale importanza, l’esistenza di una serra locale (uno spazio fisico per incontrarsi e per l’interazione).

(Mi scuso con Occupy El centro per non essere stato in grado di intervistare un numero maggiore dei suoi iniziatori, e anche per gli eventuali errori della mia interpretazione degli eventi.)

In primo luogo, ecco una storia: alcuni dei più anziani attivisti – Anita e Susan, per esempio – sono dei veterani del movimento contro la guerra del 2003. Anche se non fu mai molto grossa, l’Imperial Valley Peace Coalition è all’origine di azioni specifiche, di incontri informali e di riprese cinematografiche. È stata anche una scuola politica dove degli adolescenti curiosi – come Camden Aguilera (che adesso ha 24 anni) della città di Imperial – hanno fatto i primi passi sulla strada del dissenso.

La rete della pace si è fatta sentire quando Wind Zero – una misteriosa società di San Diego guidata da un ex ufficiale della Marina – aveva ottenuto il permesso da parte delle autorità dell’Imperial County di costruire un enorme centro di addestramento militare privato nel deserto, vicino al villaggio di Ocotillo. Il progetto è pressoché una copia del noto tentativo di Blackwater di alcuni anni fa, di costruire delle aree di tiro e delle piste per le corse d’automobili nella comunità di Potrero, a est di san Diego.

Blackwater a San Diego alla fine venne sconfitta da un’unica coalizione tra residenti conservatori della campagna e attivisti pacifisti e adesso People Against Wind Zero, appoggiata da Occupy El Centro, sta costruendo un’alleanza simile.

L’importanza di avere uno spazio

Nelle attuali proteste globali, i forum fisici e gli spazi pubblici hanno recuperato la loro centralità nella ribellione. Nel caso della Valley, sia Camden che Anita sottolineano entrambi il ruolo centrale svolto dal Center for Religious Science di El Centro – un centro spirituale destinato alla meditazione – che ha fornito uno spazio funzionale per attori, musicisti e poeti e ha incoraggiato gli incontri su temi come la pace e la giustizia ambientale. Camden dice che il centro favorisce le contro-culture e lo sviluppo di idee alternative nella Valley.

Benché gli attivisti nella Coachella Valley (nella parte nord del Salton Sink) di recente siano riusciti ad occupare il Palm’s Desert Civic Central Park – sei di loro sono stati arrestati – il movimento dell’Imperial Valley conserva forze per il futuro. Come afferma con eloquenza Anita, «dobbiamo passare dalla mobilitazione all’organizzazione».

I primi militanti delle manifestazioni de El Centro hanno messo assieme un’impressionante agenda di temi cari al movimento del 99%, compresi i diritti dei migranti (Anita), l’anti-Wind Zero (Susan), il femminismo (Camden) e i diritti dei veterani (John Hernandez di Brawley).

Occupy El Centro fornisce un quadro organizzativo sia per l’organizzazione delle forze – come nel caso contro Wind Zero – e per creare nuove reti di solidarietà. «A causa del fatto che Imperial Valley è sulla frontiera», Camden vede «un’opportunità per prendere parte non solo in un militantismo locale o nazionale, ma anche globale». Anita, in particolare, spera di poter stabilire dei legami con gruppi simili a Mexicali e cominciare così a costruire un movimento che abbia la dimensione di Occupy the Border (occupare la frontiera).

Infine, visto che sono un po’ arretrato dal punto di vista tecnologico, sono rimasto affascinato dall’aspetto di comunità virtuale che ha Occupy El Centro. Grazie a Facebook, per esempio, la diaspora del college della Valley – compresa Jessica Yocupicio, appena laureata all’Uc Santa Cruz – è stata in grado di svolgere un ruolo di primo piano nell’organizzare la protesta.

Secondo Susan, «un ragazzo, Sky Ainsworth, ha dato vita al processo con un appello on line per l’azione. All’inizio poca gente aveva risposto, ma Jessica ha preso contatto con Anita, che aveva conosciuto ai tempi dell’organizzazione anti Wind Zero, e a sua volta lei ha contattato Camden e John Hernandez per dare vita al dialogo sulla programmazione. Altri giovani hanno letto i blog e si sono uniti».

Alla fine della giornata, però, l’occupazione de El Centro è stata fatta con i vecchi metodi. Come spiega Susan: «Volevo aggiungere che sono stata commossa dagli enormi sforzi devoluti dai giovani organizzatori della marcia. Nessuno di loro aveva la macchina, e andavano al lavoro o a scuola con i mezzi pubblici. Nell’Imperial Valley gli autobus sono molto rari e ciò significa perdere due o tre ore per andare in un posto dove basterebbero 20 minuti in macchina. Sono anche molto attenti ad aiutare gli amici e le famiglie che hanno problemi, per questo è stato incredibile che abbiano potuto realizzare questo».

Da Il Manifesto

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