Bahrain, la violenza del regime riaccende la lotta
A partire da marzo, per due mesi e mezzo di legge marziale (durante i quali si era scatenata la caccia all’uomo ai rivoltosi di febbraio ed ai loro solidali – in particolare tra i medici dell’isola- decapitata l’opposizione parlamentare tollerata alla camera bassa del paese, ed abbattuti luoghi di culto della maggioranza sciita) e tutto il periodo estivo e autunnale mai si è fermata la lotta dell’opposizione sociale, che ha dato battaglia continua alla polizia lealista ed ai suoi alleati sauditi dalle sue roccaforti nella cintura suburbana di Manama.
E venerdì ad Aali, uno di questi sobborghi, c’è stato il concentramento principale, dove i dimostranti hanno brandito le bandiere di Tunisia, Egitto, Libia, Yemen, Giordania e Siria assieme a quella nazionale – nel ricostruire una simbolica Rotonda della Perla in memoria di quella divenuta il cuore delle lotte nel regno, smantellata a marzo dalle ruspe del regime.
Nuovi scontri sono stati provocati nel fine settimana dal brutale assassinio di Ali Youssef Bagdar, un ragazzo di 16 anni falciato da una volante della polizia durante una protesta a Manama. Le forze dell’ordine hanno impedito ai soccorsi di avvicinarsi, attaccando successivamente i presenti al funerale del ragazzo e facendo irruzione in casa della famiglia per strappare le foto del morto affisse ai muri.
Intanto, secondo quanto riferito da Al Jazeera, la demokrazia statunitense si prepara a sostenere il regno alleato con una consegna di armamenti pesanti per ben 53 milioni di dollari, mentre mercoledì verranno presentati i risultati della Commissione d’Inchiesta Indipendente Bahrainita. Un organismo incaricato di far luce sui disordini degli scorsi mesi ma in realtà creato dal sovrano e compiacente verso di esso, contro il quale si è levato l’appello delle associazioni per i diritti umani alla comunità internazionale.
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