Bombardamenti israeliani sulla Palestina, la fenomenologia delle presstitute mainstream
Nessuno può negare che il linguaggio è anche una questione politica ed ogni parole viene calibrata dal mainstream per poter dare un’impressione piuttosto che un’altra.
Lorenzo Poli – 11 maggio 2021
È dalla fine della Seconda Intifada che ogni ciclo di violenza tra israeliani e palestinesi dà opportunità a commentatori, giornalisti e analisti di paventare l’inizio di una nuova Intifada. Già dalle proteste del 2014 si sperava in una sollevazione popolare e, addirittura, con l’Accordo del Secolo voluto da Trump e i vari patti di normalizzazione avvenuti con molti Paesi arabi come Marocco, nell’aria si percepiva l’ormai riluttanza dell’opinione pubblica palestinese verso gli Accordi di Oslo del 1993 che hanno portato alla situazione in cui ci si trova, ovvero: un popolo palestinese sempre più solo e sguarnito dal punto di vista politico.
Già nel 2015 i commentatori televisivi parlavano di una ipotetica “Terza Intifada”, spesso strumentalizzando il tema per usarlo contro i palestinesi. Alla fine quell’Intifada, come evento di protesta di massa, non c’è mai stata, sebbene la resistenza del popolo palestinese continui nel quotidiano, subendo ogni giorno occupazione illegale, sfratti, militarizzazione, sradicamento di ulivi, demolizione delle proprie case, razzismo, suprematismo bianco e lo stigma tout court del “terrorista arabo con la kefiah”.
Ora, con le cosiddette “tensioni” in atto, nessuno sta parlando di Intifada, ma la stampa si sta concentrando su quello che che sta succedendo ad Israele, come se fosse una vittima di tutto questo.
Un articolo di Open.online, dal titolo “Israele, raid contro Gaza: 20 vittime, 9 sono minorenni. Netanyahu: «Varcata la linea rossa»”, esce con un altro titolo nello slideshow del link, ovvero “Pioggia di razzi su Israele: a Gerusalemme suonano le sirene, evacuati il Muro del Pianto e la città vecchia di Gerusalemme”. Abbastanza imbarazzante.
L’articolo non si concentra sull’evento complessivo, ma fa luce sul fatto che Hamas avesse dato l’ultimatum affinchè le autorità israeliane ritirassero i soldati dalla Spianata delle Moschee, dal quartiere di Sheikh Jarrah e rilasciassero i manifestanti palestinesi arrestati. L’articolo prosegue: “Gerusalemme e altre cittadine limitrofe sono state inondate dal suono delle sirene di allarme per la pioggia di razzi in arrivo. I media locali hanno riferito che si sono udite esplosioni nella città, teatro delle proteste nelle ultime settimane per lo sfratto di famiglie arabe dal quartiere di Sheikh Jarrah. Le città di Tel Aviv, Rishon Lezion e Ramat Gan hanno aperto i rifugi pubblici anti missile”.
Praticamente il protagonista della notizia è Hamas che lancia piogge di missile su Israele. Detta così la notizia, oltre ad essere profondamente ideologica e di propaganda, omette dei punti fondamentali:
La Spianata delle Moschee, quella che è andata a fuochi qualche giorno fa, chiamato anche Monte del Tempio è dominata da tre imponenti edifici risalenti al periodo omayyade: la Moschea di Al-Alqsa, la Cupola della Roccia, la Cupola della Catena, e i quattro minareti, rispettivamente il Minareto al-Fakhariyya, Minareto Ghawanima, Minareto Bab al-Silsila e Minareto al-Asbat. Un luogo interamente sacro ai musulmani a tal punto che al sito si può accedere attraverso undici entrate, dieci delle quali sono riservate ai musulmani, ma che quotidianamente vengono violate dai coloni israeliani che si divertono a profanare i luoghi sacri e ad organizzare banchetti, rendendolo un luogo a loro uso e consumo. Di età ebraica vi sono solo le mura erodiane.
Mentre la Spianata delle Moschee andava a fuoco, in piazza vi erano orde di coloni israeliani integralisti che festeggiavano come se fosse una conquista, mentre il giorno prima si potevano ben vedere le forze dell’Idf entrare nella moschea di Al-Aqsa e fare del luogo sacro un campo di battaglia.
Come ha ben scritto l’attivista Samantha Comizzoli, i missili lanciati da Gaza vanno a frantumarsi contro il sistema di difesa aerea di Israele “Iron Dome”, ovvero lo scudo protettivo israeliano che copre tutto il territorio ed intercetta i razzi lanciati dalla Striscia di Gaza. Viene azionato alla prima “avvisaglia”, quindi è quasi sempre in azione. I missili lanciati da Gaza, dalla Resistenza, pertanto hanno lo stesso effetto delle pietre lanciate contro il muro israeliano. I palestinesi non hanno, ovviamente, lo scudo protettivo e quindi, anche solo un missile israeliano che cade sulle case palestinesi, fa morti e distruzione.
In voce corale i media si divertano a sparare cifre sui razzi sparati da Hamas. Open.online riporta che “Secondo il portavoce militare di Israele sono stati 150 i razzi lanciati da Hamas dall’inizio dell’attacco”; mentre secondo Il Fatto Quotidiano “sono più di 200 i razzi sparati verso Israele da più gruppi armati palestinesi tra cui gli islamisti di Hamas durante tutta la notte”. Nessuno si è posto la domanda di come fosse possibile che “i 200 razzi” abbiano provocato solo 2 morti negli edifici di Ashkelon. Secondo il Fatto Quotidiano, Israele avrebbe “poi risposto con l’esercito di Tel Aviv che ha colpito oltre 130 obiettivi militari nell’enclave palestinese”. Eppure nessuno mezzo stampa ha riportato che l’11 maggio mattina, un aereo da guerra israeliano ha nuovamente bombardato un condominio di 8 piani vicino alla Moschea al-Susi, nel campo profughi di Ash-Shati, a nord-ovest di Gaza, uccidendo una donna di 57 anni e altri due, compreso suo figlio.
Secondo il comunicato stampa della Mezzaluna Rossa palestinese, “da lunedì mattina fino all’inizio di martedì, il numero dei feriti è stato di 520” a causa delle continue violenze della polizia israeliana nella moschea di al-Aqsa e in altre aree nella Città Vecchia di Gerusalemme. Secondo gli aggiornamenti, addirittura il bilancio dei morti della nuova aggressione di Israele contro la Striscia di Gaza assediata è salito a circa 30 palestinesi.
Questi i dati che non si vogliono dire, ma questa è la realtà della Palestina: un contesto in cui vi è un oppresso ed un’oppressore, in cui gli unici a pagarne le conseguenze sono i palestinesi.
Ma peggiore tra tutti è stata la Rai nei suoi Tg che, a quanto pare, ha dimenticato completamente cosa voglia dire “servizio pubblico”, mentre Radio24, lasciando spazio agli “studiosi” dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), ha ricondotto tutto “all’inevitabile esplosione di violenza generata dall’odio palestinese”. Espressioni simbolo delle mistificazioni falsate del presente che indignano ancor di più se pensiamo che sono state pronunciate da coloro che dovrebbero conoscere i contesti politici e geopolitici.
Anche i giornali locali hanno amplificato questa opera di propaganda. Il Giornale di Brescia, sulla sua pagina estera dell’11 maggio, ha pubblicato un articolo dal titolo “Gerusalemme sotto i razzi di Hamas” e come sottotitoli, “Dopo giorni di tensione alla Spianata delle Moschee, da Gaza lanciati missili a cui Israele ha risposto”. Questo vuol sottintendere solo una cosa: Gaza che provoca e Israele che reagisce per “legittima difesa”, quando in realtà Gerusalemme in questi giorni ha sofferto dei sistematici bombardamenti israeliani.
I media gettano enfasi per mantenere Israele come “unica vittima”, sebbene sia tra le più forti potenze tecnico-nucleare, senza dire che, purtroppo, in uno scontro, le morti sono fisiologiche. In questi giorni, secondo i media mainstream, ci sono le “forze di sicurezza israeliane” che si “scontrano” con i palestinesi all’interno del luogo sacro di Gerusalemme, causando “tensioni”. Questo, in media, il linguaggio usato dal mainstream, quello dei “professionisti dell’informazione”, quello secondo il quale “l’informazione per essere libera dev’essere neutra”.
Come affermato in un post di un attivista palestinese, bisognerebbe usare la terminologia corretta: “Le forze israeliane di OCCUPAZIONE ( non di sicurezza), ATTACCANO (e non si scontrano) FEDELI palestinesi e manifestanti all’interno di un sito sacro di Gerusalemme mentre le AGGRESSIONI (non le tensioni) israeliane aumentano”.
Nessuno può negare che il linguaggio è anche una questione politica ed ogni parole viene calibrata dal mainstream per poter dare un’impressione piuttosto che un’altra.
Ormai, con il pretesto della “neutralità”, da un lato vengono spacciate per “vere” notizie fortemente faziose, attraverso artifici linguistici e minimizzazione dei fatti; mentre d’altro, entrando nelle nostre case, questo tipo d’informazione funge da soft-power influendo sull’immaginario comune, distorcendo ancora una volta la verità. Il cerchiobottismo rivendicato formalmente dall’informazione italiana, ovvero l’atteggiamento di chi non prende una posizione netta, finisce per barcamenarsi tra due comportamenti opposti finendo per aderire a quello dominante.
Il cerchiobottismo mediatico, con la sua “faziosità” e le sue narrazioni tossiche, continua a creare stereotipi ed immaginari sbagliati che contribuiscono, nel caso della Palestina, a discriminarla più di quanto non lo sia già nel suo contesto internazionale.
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