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Erdogan chiede vendetta, l’Italia acconsente: il caso di Bahar Kimyongur

In contemporanea, a Bruxelles si è tenuto un presidio di solidarietà, durante il quale più di 250 persone hanno chiesto l’immediata scarcerazione del loro connazionale. Il Comitato per la libertà dell’espressione e dell’associazione ha sottolineato quanto sia importante mantenere costante la pressione sullo stato italiano, affinché non sia commessa un’enorme ingiustizia. La magistratura belga e nel 2006 quella olandese hanno rifiutato di concedere l’estradizione, assecondando il mandato della Turchia. Solo la Spagna (fatti che risalgono a quest’estate e Bahar dovrà affrontare un processo) e l’Italia eseguono i mandati di Erdogan. Solo quest’estate i giornali nazionali gridavano alla soppressione della democrazia e alla violenza dello stato turco, vista la sanguinaria repressione delle manifestazioni e, neanche sei mesi dopo, l’Italia esegue il mandato di cattura. È chiaro quale sarà il destino di Bahar una volta tornato nella sua terra natale: il regime di Erdogan non tollera chi osa esportare gli orrori commessi dallo stato, infatti, diversi giornalisti sono stati imprigionati e torturati e lo stesso destino toccherà a Bahar, qualora non si riuscisse a impedire la sua spedizione in Turchia.

Lunedì si terrà un’altra udienza, in cui l’avvocato chiederà al giudice la liberazione o quantomeno l’alleviamento della misura cautelare per Bahar, come ad esempio i domiciliari. Nel frattempo, è quasi certo che il giornalista di origine turche dovrà rimanere in Italia, in tal modo da impedirgli di tornare in Belgio e sfuggire all’eventuale procedura di estradizione, la quale durerà per alcuni mesi. Dunque, Bahar dovrà rimanere qui, lontano dalla sua famiglia, con la quale non ha ancora avuto alcun contatto dal momento della sua carcerazione.

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