L’accordo tra Iran e P5+1: una reale normalizzazione?
Introduzione
Due giorni dopo la scadenza della deadline, molti profilavano un fallimento dei negoziati tra Iran e P5+1 (5 membri consiglio di Sicurezza più la Germania). Ma la volontà politica di tutte le parti in causa ha invece fatto sì che si continuasse a trattare ad oltranza, per giungere infine alla lettura congiunta della dichiarazione finale da parte dell’Alto rappresentate per la politica estera dell’Unione Europea, Federica Mogherini, e del ministro degli esteri iraniano, Javad Zarif.
Le varie delegazioni hanno affrontato questa maratona negoziale lavorando incessantemente giorno e notte, tra incontri bilaterali e sessioni plenarie congiunte: l’ultimo incontro tra Zarif e il segretario di Stato americano John Kerry è addirittura durato 8h e 30′, esattamente dalle 21:15 del 1 aprile alle 5:50 del 2!
Punti dell’Accordo di Losanna
A novembre 2013 era stato firmato il Joint Plan of Action, un accordo frame che indicava il percorso negoziale tra Iran e P5+1 sul tema del nucleare. All’interno del framework del JPA, all’Iran veniva riconosciuto il diritto all’arricchimento dell’uranio per uso civile e la rimozione delle sanzioni. L’Iran, a sua volta, si impegnava ad accordare all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ispezioni più approfondite e a sorpresa ai suoi impianti, e a sospendere l’arricchimento di uranio al 20% nonché lo sviluppo del reattore di Arak. Di fatto iniziavano qui i reali negoziati, sia sui dettagli tecnici, sia soprattutto su quelli politici.
Dopo una serie di rinvii ed estensioni del negoziato, a Losanna il 2 aprile sono stati raggiunti alcuni “key parameters” che dovranno essere integrati nell’accordo finale, da raggiungere entro il 1 luglio 2015. Innanzitutto l’Iran ha accettato di ridurre il numero delle sue centrifughe dalle attuali 19mila a poco più di 6mila. Il numero complessivo di queste ultime sarà di tipo IR-1, quelle di prima generazione, e solamente 5060 di queste saranno adibite alla “depurazione” dell’uranio, per una durata di 10 anni. In tal modo saranno sospesi i 2/3 dell’abilità di arricchimento.
Al tempo stesso tutte le rimanenti centrifughe (fino a quelle di ultima generazione IR-8) andranno sotto il diretto controllo dell’AIEA. Il secondo punto dell’Accordo di Losanna ha riguardato la riduzione degli stock di uranio arricchito. L’Iran possiede qualcosa come dieci tonnellate di materiale arricchito, che si è impegnato a diminuire ad una cifra vicino ai 300 kg, attraverso un processo di diluizione, arricchiti al 3,67 %.
Qui l’Iran ha ottenuto un importante vittoria: puntando i piedi fin da subito contro l’invio in Russia delle scorte nucleari, Teheran è riuscita ad ottenere la neutralizzazione dell’uranio arricchito in casa. Nello stesso accordo l’Iran si è impegnato a non costruire nuovi impianti volti all’arricchimento per i prossimi 15 anni.
Un’altra questione spinosa è stata quella relativa all’impianto di Fordow. Costruito sottoterra, all’interno di una montagna così da essere invulnerabile ad un attacco militare, Fordow sarà convertito in una struttura per la ricerca fisica e tecnologica, non ospitando più al suo interno materiale fissile. Questa è un’altra importante vittoria per l’Iran: Fordow resterà aperto, e il migliaio di centrifughe presenti continuerà ad operare, trasformando però la sua funzione in un centro di eccellenza per la ricerca nucleare. Al tempo stesso, secondo l’Accordo firmato a Losanna, l’Iran possiederà un solo impianto per l’arricchimento dell’uranio, quello di Natanz, mentre il reattore ad acqua pesante di Arak sarà modificato, così da non poter più produrre plutonio. Anche questo è importante step dell’accordo, dato che molti davano per certo la chiusura di Arak: nel trattato invece si parla di riconversione (“redesign”) volta alla ricerca nucleare e alla produzione di radioisotopi. Altro motivo di stallo negoziale tra P5+1 e Iran è stato il cosiddetto “breakout-time”.
Con questo termine si intende il tempo-medio necessario, in caso di violazione dell’accordo e al netto delle infrastrutture funzionanti, per arricchire uranio sufficiente a produrre la bomba atomica. Se l’attuale tempo-breakout per produrre il materiale fissile per un’arma nucleare è stato stimato intorno ai 2-3 mesi, oggi l’Accordo di Losanna lo estende ad un anno, per una durata di 10 anni.
Se le intese firmate a Losanna rimarranno in vigore per i tempi stimati (10 anni+15 anni di obblighi), l’accesso (quantomai voluto veramente?) all’atomica da parte dell’Iran si allontanerà del tutto.
Ma la questione più ostica affrontata a Losanna è stato lo sblocco delle sanzioni. È stato il diplomatico Araghci, braccio destro di Zarif, ha gettare un’ombra sulla firma dell’accordo il 1 aprile nel caso in cui tutte le sanzioni non fossero state sbloccate immediatamente. Questa era la conditio sine qua non posta dalla Guida Suprema iraniana, l’Ayatollah Khamenei, per la firma dell’accordo. Il compromesso finale è stato che le sanzioni (quelle USA e quelle UE, nonché quelle ONU) verranno sbloccate simultaneamente alla verifica da parte dell’AIEA che Teheran abbia rispettato gli impegni assunti (riconversione Fordow, arricchimento, Arak, centrifughe, Natanz…). Il problema che qui si pone è che manca in realtà un calendario preciso per l’allentamento-rimozione delle sanzioni, ed è proprio su questo punto che si dovranno impegnare i negoziatori in vista dell’accordo tecnico definitivo del 30 giugno 2015. Il monitoraggio degli Accordi verrà assegnato all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica per 10 anni, tempo oltre il quale ci saranno fasi successive di supervisione del programma nucleare iraniano di 15-20-25 anni, volte alla costruzione di una fiducia reciproca.
Protagonisti e antagonisti dell’Accordo
I maggiori vincitori di questo accordo sono sicuramente John Kerry e Javad Zarif, e i loro rispettivi presidenti, Barack Obama e Hassan Rouhani. Il segretario di Stato americano è stato aspramente criticato per non avere ottenuto risultati diplomatici tangibili. Almeno fino ad ora. Le interminabili e infruttuose trattative per far dialogare Israele e i palestinesi, gli screzi con Netanyahu e la sua poca presenza sulla scena ucraina (dove è stato scalzato da Victoria Nuland e dalle iniziative di Merkel e Hollande) avevano caratterizzato il suo incarico al Dipartimento di Stato. Ma oggi l’Accordo di Losanna è (anche) merito suo, e della sua caparbietà nel continuare le trattative anche nel momento peggiore.
Javad Zarif è l’altro grande artefice dell’Accordo. L’ “Americano”, come lo chiamano a Teheran, dato che ha passato molti dei suoi anni negli States (studi alla Columbia, PhD a Denver, ambasciatore a Palazzo di Vetro), è tornato a casa accolto come un eroe, osannato da ali di folla all’uscita dall’aeroporto. La sua abilità negoziale, il pragmatismo ma anche la sua abilità oratoria, unità anche alla durezza al tavolo delle trattative ne hanno fatto un protagonista indiscusso di questi accordi.
E poi ci sono i due presidenti. Obama ha ottenuto l’unica vittoria in politica estera in 8 anni di presidenza con l’accordo di Losanna.
Tralasciando la riapertura dei canali diplomatici con Cuba, l’ “Iran Deal” (insieme con la riforma sanitaria) rappresenta l’unico risultato spendibile agli occhi dell’opinione pubblica da parte di Obama. Esso è stato fin da subito sostenuto dalla maggioranza degli americani che, nonostante le pressioni dei repubblicani (che hanno anche inviato una lettera a Khamenei sostenendo l’annullamento dell’accordo tramite un voto del Congresso), lo hanno interpretato come garanzia della natura civile del programma nucleare iraniano.
E da questo accordo Obama ne esce come “pacificatore”, forse colui che riuscirà a far passare alla storia il confronto sul programma nucleare iraniano (garantendo così la sicurezza di due alleati storici, Israele e Arabia Saudita) e, questo sì più difficile, re-integrare l’Iran nel sistema internazionale. Anche Rouhani ne esce rafforzato. Il fallimento dei negoziati lo avrebbero reso un’anatra zoppa, visto che è stato eletto con la promessa di riforme strutturali volte a migliorare la situazione economica.
E quale migliore occasione se non quella di un grand bargain con l’Occidente che, in cambio dell’assicurazione del carattere pacifico del programma nucleare, garantisce la fine delle sanzioni? Il successo di Rouhani si misurerà proprio sull’allentamento e la rimozione del regime sanzionatorio, che gravano fortemente sull’economia iraniana e impediscono qualsiasi riforma, riproducendo ingiustizie sociali e oligarchie di potere. Ma il suo grande successo oggi è il riconoscimento dell’Iran all’arricchimento dell’uranio, che forse li rivarrà la candidatura e uno spazio nella storia dei grandi dell’Iran.
Tra gli antagonisti, e i perdenti, di questo accordo, due sono i principali indiziati. Il primo è il premier israeliano Netanyahu. È da più di 20 anni che le amministrazioni israeliane affermano che “l’Iran è a pochi mesi dalla bomba”, e Netanyahu l’ha affermato anche davanti al Congresso americano a marzo. Ma, oltre a essere stato smentito dallo stesso servizio segreto israeliano, Netanyahu è stato incapace di proporre soluzioni alternative che non fossero militari.
Ecco perché oggi si trova ai margini e con zero-peso politico. Almeno fino alle prossime presidenziali americane datate 2016. L’altro grande sconfitto è la dinastia dei Saud. Anch’essa ha adottato un approccio tipico del gioco a somma-zero nei confronti dell’Iran nei confronti della trattativa sul nucleare. Il grand bargain tra Iran e P5+1 non soltanto potrebbe significare una perdita di influenza saudita (cosa che Obama si è affrettato a smentire) ma anche un confronto più serrato in campo economico con Teheran. È proprio in quelle istituzioni come l’OPEC, e nel campo energetico in generale, che l’Iran potrebbe mettere in crisi l’egemonia saudita, una volta che lo sblocco delle sanzioni farà il suo effetto.
Dopo Losanna
Questo accordo non significa però la normalizzazione dei rapporti tra Iran e Stati Uniti. Sia Obama sia il ministro degli Esteri Zarif si sono affrettati a riconoscere come Losanna riguardi la questione del nucleare, e come tra i due paesi esistano differenze significative ed un’inimicizia più che trentennale, che la semplice firma di un trattato non può cancellare. Obama ha affermato come l’Iran rappresenti sempre un elemento di concern per gli States, fintantoché “continuerà a sponsorizzare il terrorismo, a destabilizzare il Medio Oriente attraverso i suoi procuratori e a minacciare i nostri alleati regionali (Israele e Arabia Saudita)”.
Zarif invece si è fatto interprete della politica di “flessibilità eroica” invocata da Khamenei: sì alle negoziazioni con gli Stati Uniti, ma il tutto in un’ottica di difesa degli interessi iraniani e del progetto della Repubblica Islamica. Dunque no ad un’aperta ostilità con l’Occidente, ma timide aperture volte a re-inserire Teheran nella comunità internazionale, mantenendone al tempo stesso la sua sovranità e indipendenza. Detto ciò, il grand bargain andrà sicuramente ad influire su un livello regionale e su uno economico-sociale. Sul primo livello gli effetti si faranno sentire sul lungo termine. Come detto sopra infatti l’Accordo di Losanna non implica nessuna normalizzazione tra Iran e Stati Uniti, ma il semplice riconoscimento di Teheran come potenza detentrice di un programma nucleare potrebbe dare il via a un dilemma della sicurezza tipico di un sistema realista di stati. Questo significherebbe una corsa agli armamenti e la ricerca della parità strategico-nucleare con l’Iran da parte dei paesi della regione.
In tal senso l’insicurezza relativa di ogni stato (Israele+blocco sunnita) verso le reali intenzioni dell’Iran determinerà non una conservazione dell’equilibrio esistente, ma un perseguimento della sicurezza attraverso una maggiore accumulazione di potenza: l’Egitto ha infatti appena firmato un accordo con la Russia per la costruzione di una centrale nucleare, mentre l’Arabia Saudita ha accordi col Pakistan per l’acquisto di testate nucleari.
A livello economico invece la fine delle sanzioni reinserirebbe un potenziale mercato da 80 milioni di abitanti nei circuiti del commercio globale, il che andrebbe a tutto vantaggio sia degli Stati Uniti sia dell’Occidente in generale. Inoltre il reintegro di Teheran nel sistema delle relazioni economiche mondiali a guida americana, uno dei maggiori produttori di petrolio ma anche gas, aiuterebbe a diversificare l’economia iraniana, fin d’oggi troppo legata alle rendite petrolifere.
Lo sblocco delle sanzioni infatti determinerebbe la fine della dipendenza dal know-how estero per la tecnologia (esplorazione e sfruttamento dei giacimenti, costruzione di impianti di liquefazione del gas, raffinazione petrolifera). Contemporaneamente la ricollocazione di Teheran nei circuiti finanziari globali significherebbe la ripresa di investimenti diretti esteri e di politiche bancarie di sviluppo. In conclusione l’accordo di Losanna, se nel breve termine non significa normalizzazione tra Iran e Occidente, nel lungo periodo potrebbe voler dire l’integrazione di Teheran e della sua società nell’ordine mondiale. Al di là della visione mainstream di uomini barbuti, donne in chador nero e vecchi ayatollah, stiamo parlando di un paese la cui maggioranza della popolazione é nata dopo la rivoluzione, un paese la cui classe media è una delle più istruite e occidentalizzate della regione: questa generazione è portatrice di istanze sociali lontane dall’afflato rivoluzionario del 1979, più legata invece all’individualismo occidentale, all’autodeterminazione e alla ricerca del benessere economico.
Quei giovani che celebravano l’accordo di Losanna per le strade di Teheran sono fortemente nazionalisti e rappresentano le élite del domani, quelle di una probabile e definitiva integrazione dell’Iran nel sistema internazionale, quelle di una “normalizzazione” dell’Iran agli occhi del mondo. Ma attenzione: le loro manifestazioni di giubilo non sono state né contestazioni del regime né una legittimazione in chiave moderna del carattere identitario della rivoluzione khomeinista. Vanno invece interpretate come un senso di liberazione da un regime sanzionatorio oppressivo, imposto da un’Occidente ipocrita, che punisce Teheran mentre va a braccetto con Riyahd, che ha tenuto l’Iran fuori dai paesi civili. Almeno fino a Losanna.
Queste sono le idee dei molti iraniani scesi in piazza a festeggiare, e di tanti di quelli definiti occidentalizzati. Di contro gli Ayatollah useranno questo successo di politica estera per auto-legittimarsi, per presentarsi come gli unici capaci di difendere gli interessi e l’agenda iraniana (il “nucleare”) nei confronti dell’Occidente. Mettendosi al tempo stesso al riparo da qualsiasi prospettiva di regime change, interna ed esterna che sia. All’entusiasmo degli iraniani che festeggiavano dopo gli Accordi si contrappongono però alcuni ostacoli, primo fra tutti il Congresso americano a maggioranza repubblicana, che potrebbe approvare nuove sanzioni, e i sabotatori di sempre, Israele e Arabia Saudita.
Sarà dunque solo il tempo che saprà dare una risposta sulla reale portata politica di questi Accordi.
da NuovaSocietà
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