Sono curdo e questo è un grave problema. Un’intervista a Erol Aydemir
Riceviamo e pubblichiamo un’itervista che ci ha inviato una compagna a Erol Aydemir, rifugiato curdo, tra i militanti e le militanti che hanno aderito allo sciopero della fame iniziato qualche mese fa contro l’isolamento in cui lo stato turco costringe Abdullah Ocalan da vent’anni nell’isola prigione di Imrali.
Sembra quasi impossibile cambiare qualcosa a questo mondo, è più facile voltarsi e continuare la propria vita. La guerra infastidisce, annoia, sposta l’attenzione dal futile all’essenziale, ci costringe ad aprire, a ricordare, ci responsabilizza, perché siamo tutti responsabili, siamo l’insieme di un qualcosa, e in quanto tali, potenzialmente capaci di modificare gli eventi o quantomeno provarci.
Un altro movens al mio interesse è che la guerra arriva all’improvviso, non ti avverte, e anche quando lo fa, quando i governi iniziano a vacillare, quando al potere arrivano i tiranni, gli avidi, i ciarlatani, i dittatori, il peggio del peggio di questo mondo, quando si creano fazioni, è troppo tardi per reagire. Gli storici ci dicono che siamo una specie ancora troppo fragile evolutivamente per evitare che inizino a girare quegli ingranaggi che ci porteranno ad altre politiche depredatorie, occupazioni, stermini, guerre.
Ho deciso di intervistare Erol dietro la precisa richiesta di una combattente curda delle YPJ, ora martire ventenne, rivolta a noi donne occidentali.
Mi interessa, perché se fossi disperata nulla mi getterebbe ancora più nello sconforto che non essere ascoltata.
Erol Aydemir, 30 anni Curdo, in italia da cinque anni, una vita bloccata in attesa di riprendere i suoi studi all’università di Cagliari, imprigionato dal regime di Erdogan per due anni perchè trovato in possesso di alcuni libri del suo leader politico Abdullah Ocalan, e ora rifugiato politico in Italia, in attesa di riprendere il suo percorso di laurea.
Come lui altri milioni di giovani della nostra generazione a cui si aggiungono i milioni di bambini e adolescenti interessati dai conflitti in medio-oriente che vanno avanti da oltre due generazioni con picchi di acutizzazione, lente riprese, e di nuovo repentine ricadute. Città distrutte, rase al suolo, ci abituiamo a tutto, ci abituiamo all’assurdo.
Una delle parti che più mi ha colpita, in quanto ossessionata dall’idea che a questo mondo si possano attuare modelli di cambiamento sociali che vedono al centro le relazioni umane e in definitiva quelle tra i generi, la posizione di Abdullah Ocalan in merito alla questione femminile, e non farò altro che citarlo :
“Nessuna bruttezza può essere disonorevole e disgustosa come unirsi e integrarsi con donne schiave e uomini dominanti.
Nessuna unità e integrità potrebbe essere bella e giusta come vivere una vita libera con donne libere e mascolinità liberata dal dominio.
Ormai da 30 anni tutti i miei sostenitori più importanti sono donne.
Il mio dialogo e accordo con le donne è importante.
Migliorerete il contratto sociale delle donne che deve combattere tutti i tipi di pratiche dal femminicidio alla circoncisione femminile e allo stupro.
Va affrontato in modo approfondito.
Non fidatevi degli uomini e distruggete il dogma maschile.
Fidatevi della vostra femminilità.
Uguaglianza e libertà possono essere ottenute solo a partire dalla questione femminile.
Questa è la ragione del perché la nostra rivoluzione è una rivoluzione delle donne.”
Questo e molto altro, esprimono al meglio il perché ho deciso di ascoltare queste persone.
Un modello sociale definito confederalismo democratico, di stampo dichiaratamente rivoluzionario, femminista, ecosostenibile, che ha al centro l’essere umano e il rispetto dei suoi diritti, teso a liberare i popoli da oppressioni di natura capitalista, nazionalista, politica, religiosa ( quando opprimente e dogmatica ) e patriarcale.
Un modello quasi ancestrale, apparentemente utopico, attuabile solo attraverso una forte determinazione nell’azione rivoluzionaria dei singoli, che è diretta espressione di una volontà collettiva di cambiamento, di trasformazione del reale e delle vite delle persone.
Ed è a te che stai leggendo che mi rivolgo con un sorriso.
Sono stata accolta da Erol al suo settantaduesimo giorno di sciopero della fame condiviso con altre 72.000 persone in vari paesi, rifugiati politici e attivisti del luogo, con lo scopo di ottenere un regime di detenzione affine agli standard internazionali che si basano sul rispetto della dignità del condannato e delle sue necessità. [ Ad oggi, tre mesi dall’intervista è stato raggiunto un semi-compromesso in cui gli è stato permesso di parlare saltuariamente con i suoi parenti e con gli avvocati ].
“Sono curdo e questo è un grave problema, non solo nei confronti del regime dittatoriale del governo turco, ma di tutti i sistemi corrotti del mondo, abbiamo capito bene ciò che vogliamo politicamente, aiutare tutti i popoli, infatti sono stato molto contento che i genovesi abbiano bloccato la nave che avrebbe portato le armi in Yemen, mi hanno dato l’energia per vivere, questa è la nostra visione, unitaria. Allo stesso modo in cui Lorenzo Orsetti è caduto martire in Rojava combattendo l’Isis tra le nostre fila.”
Una delle prime cose che mi ha detto in oltre due ore di conversazione davanti agli innumerevoli tè che mi sono stati offerti da un susseguirsi di uomini e ragazzi Curdi e Turchi e Afghani sorridenti è stata “i Curdi fanno una lotta per tutti i popoli, perché c’è un’idea dietro alla difesa di un popolo, combattono per l’unità del popolo della terra.”
[ una lotta all’ ISIS, ma per questo vi rimando , così da poter capire bene la situazione geo-politica e i diversi attori operanti nel conflitto in medio oriente e la ripartizione reale delle responsabilità, ma soprattutto i reali interessi economici alla base della guerra attuale a due pubblicazioni: https://www.youtube.com/watch?v=q9s49x_whLw , https://www.infoaut.org/culture/il-fiore-della-rivoluzione
Aggiungo che per una lettura più inerente allo scenario di guerriglia urbana, ma sempre basato su un capitale umano e una motivazione non indifferente, come gli altri autori di cui sopra: http://www.arvultura.it/1845/non-moriro-stanotte-presentazione-libro-di-e-con-karim-franceschi/ ]
Perché il modello del confederalismo democratico è prima di tutto un modello umano. Le politiche attuali creano i substrati per sostenere un popolo a discapito di altri popoli, questo non è più accettabile. Questa è una nuova ottica, l’unica possibile.
Se siamo umani dobbiamo proteggere tutti i viventi e l’ambiente.
Dobbiamo curarci dei popoli che sono stati distrutti dalla guerra, perché è quando la guerra finisce che sorgono gli altri problemi, le emergenze umanitarie sono reali. Basta poco per entrare in quest’ottica di auto-aiuto.
[ In merito a questo punto vi invito a seguire le missioni umanitarie operanti sui territori, una che mi ha colplita particolarmente è quella di un gruppo di predicatori critiani, i fortissimi “ Free Burma Rangers “ che se ne vanno in prima linea a recuperare civili intrappolati sotto il fuoco nemico, letteralmente correndo tra il fuoco dei proietili per recuperarli; qui il link del loro intervento a Baghouz, ma ce ne sono veramente molte, da Emergency a MSF passando per attivisti che ciclano intorno ai campi profughi sul territorio Siriano ed Iracheno e che potete trovare anche su Fb nei loro gruppi dedicati
https://www.youtube.com/watch?v=zG_sOW9NvhQ ]
Sono curdo e questo è un grave problema, viviamo in zone di confine tra Turchia, Iran, Siria ed Iraq da sempre, capisci bene che siamo soggetti come tutti i popoli di confine ad attacchi continui. Non solo nei confronti del regime dittatoriale che combattiamo con il governo turco di Erdogan, abbiamo capito bene ciò che vogliamo, non è uno stato in se che chiediamo, ma la libertà, l’autonomia. Vogliamo aiutare tutti i popoli.
Donne e uomini Iracheni, siriani, yezidi, curdi ed internazionalisti italiani, inglesi, americani, tedeschi, spagnoli, dall’Europa del nord e dall’Europa dell’est.
Pensa ai cantoni del nord Italia, che hanno integrato la loro struttura democratica e autonoma con quella italiana, tedesca e svizzera. Le persone devono essere collettivamente responsabili del territorio in cui vivono, non possono essere soggette ad un ordine superiore, un singolo non può decidere per il futuro di decine, centinaia o milioni di persone. Non possiamo lasciare che una piccola collettività di persone abbia il potere decisionale di sganciare un’altra bomba atomica.
https://it.wikipedia.org/wiki/Confederalismo_democratico
Ad esempio se venti anni fa l’ Italia non avesse venduto le armi alla Libia adesso non sarebbero armata, nemmeno i muri ci salveranno dai migranti, nemmeno i sistemi NATO, ma il problema non è l’Italia in se e per se ma il sistema, e dobbiamo unirci contro il sistema, ad esempio se io non avessi sentito il dolore dei bambini di Afrin non avrei fatto questo sciopero della fame.
[ a questo proposito vi rimando :
https://www.osservatoriodiritti.it/2019/01/23/armi-italiane-nel-mondo-arabia-saudita-in-yemen/
https://www.osservatoriodiritti.it/2019/05/15/export-armi-italia-vendita-nel-mondo-paesi/
per informarvi autonomamente, nell’era dei social è veramente molto semplice ]
L’Isis non è una questione religiosa, l’islam non è questo, tanto è vero che sono proprio altri musulmani che hanno combattuto le forze di Daesh, bisogna informarsi, bisogna pensare ai territori e alle materie prime, a chi ha interesse ad averle, siamo tutti intercalati in questo sistema depredatorio, l’unico strumento che abbiamo è l’informazione corretta, di facile appannaggio al giorno d’oggi.
https://www.eticapa.it/eticapa/wp-content/uploads/2015/03/Il-petrolio-e-la-guerra-dellIsis2.pdf
Bisogna informarsi, bisogna parlare, bisogna favorire l’informazione corretta, fedele ai fatti, non bisogna stare in silenzio, il sapere è l’unico modo per contrastare i potenti che opprimono i popoli per i loro interessi, bisogna lasciare una traccia per le nuove generazioni.
In questo momento storico è anche semplice, perché le masse smuovono le coscienze tramite i social, bisogna indignarsi, basta un clic e collettivamente possiamo fare molto.
Il silenzio lascia spazio al male, perché non c’è contrasto alla menzogna.
Lotta non è solo imbracciare le armi, lotta è difendere i popoli che cercano la libertà, per questo c’è una bandiera palestinese nella mia camera, io combatto e sciopero anche per loro con tutta la mia forza. Dobbiamo avere un sogno anche per gli altri, dobbiamo arrivare a vivere senza le guerre.
Non possiamo limitarci a chiedere la pace, tutte le persone del mondo desiderano la pace ma bisogna attivarsi per ottenerla.
La guerra è più facile, sterminare le persone per ottenere qualcosa è più facile che chiedere per favore a questo mondo.
E.S.
Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.