Un’offensiva contro la riconciliazione palestinese
Invece di indebolire Hamas, l’offensiva israeliana rafforza i suoi legami con la popolazione palestinese e rischia di provocare una spinta jihadista nella diaspora.
Intervista a Gilbert Achcar1(Politis, 24 luglio 2014), realizzata da Denis Sieffert e Margaux Wartelle. Traduzione dal francese di Cinzia Nachira
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D.: Quali erano le condizioni in cui Hamas si trovava prima dell’offensiva israeliana?
R.: Hamas aveva un atteggiamento di disponibilità. Ciò si è concretizzato nella riconciliazione con l’Autorità Nazionale Palestinese e nell’accettazione di un governo di unità, mentre quest’ultimo non era paritario. Hamas realmente non vi era rappresentato e le posizioni assunte si allineavano con quelle di Mahmud Abbas (Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, ndr). Questo atteggiamento era motivato dalla precaria situazione del movimento, soprattutto dopo gli ultimi eventi in Egitto. Dopo il rovesciamento di Mohamed Morsi (l’ex presidente, islamista, ndr), il nuovo potere militare al governo è ostile a Hamas a causa dei suoi legami con i Fratelli Musulmani che hanno subito una repressione peggiore che sotto Mubarak.
D.: La posizione di Hamas favorevole all’opposizione in Siria, ha contribuito al suo isolamento dal momento che in questo modo il movimento palestinese si è trovato contro l’Iran che rappresentava un importante sostegno finanziario?
R.: Il regime siriano per Hamas non rappresenta granché, l’Iran è più importante. Vi è stato un netto raffreddamento dei rapporti, ma Hamas sta tentando una riconciliazione. La questione finanziaria è il vero motivo per cui Hamas ha raggiunto l’accordo con Ramallah (capitale amministrativa dell’Autorità Palestinese, ndr) e una delle conseguenze avrebbe dovuto essere il pagamento dei salari dei funzionari di Gaza. Israele ha bloccato tutto questo dimostrando la sua ferrea opposizione fin dall’inizio. L’offensiva israeliana, quindi, non è assolutamente una risposta ad una qualsiasi radicalizzazione dei palestinesi o di Hamas. Al contrario, è un’offensiva contro le concessioni fatte da Hamas e contro la riconciliazione palestinese.
D.: In effetti si ha l’impressione che Netanyahu abbia sfruttato l’uccisione dei tre adolescenti israeliani, il 12 giugno…
R.: Il governo Netanyahu ha colto questa occasione per dichiarare Hamas colpevole, senza averne la pur minima prova. L’obiettivo era quello di arrestare nuovamente gran parte dei militanti liberati nello scambio con il soldato Gilad Shalit (il soldato israeliano detenuto da Hamas e infine liberato in cambio di circa mille detenuti politici palestinesi nel 2011, ndr).
D.: Come accade spesso in simili circostanze, l’offensiva israeliana rafforzerà i rapporti tra Hamas e la popolazione di Gaza?
R.: Vi è del rancore accumulato contro Hamas, cosa che è perfettamente comprensibile. La popolazione attribuisce i propri problemi e la propria miseria alla presenza di Hamas soprattutto dopo il voltafaccia egiziano. Per la popolazione di Gaza l’Egitto è fondamentale. E sapere che i propri governanti sono la nuova bestia nera per il regime del Cairo non è sicuramente una cosa rassicurante. Ma al contrario, la popolazione di Gaza vede bene che l’offensiva israeliana è avvenuta nello stesso momento in cui Hamas dava inizio a quella svolta che tutti speravano. Ossia la riconciliazione e un cambiamento fondamentale, su una linea più moderata, per mettere fine all’asfissia che ormai veniva considerata da moltissimo tempo un destino ineluttabile.
D.: Alcuni media tendono ad confondere Hamas e la nebulosa islamista. Non sarebbe necessario ricordare che, nonostante la sua natura conservatrice e reazionaria, questo movimento, ha anche un radicamento reale nella storia palestinese recente?
R.: Sì, è la stessa differenza che esiste, per esempio, tra i Fratelli Musulmani in Egitto e Al Qaida o lo Stato Islamico (L’IS, movimento che è all’origine del califfato sul territorio siriano e iracheno, ndr). Vi è una distinzione evidente tra dei movimenti di massa che hanno un approccio essenzialmente politico e delle organizzazioni fondate sulla violenza e che non esitano a ricorrere al terrorismo.
D.: Hamas è rappresentato da molti media come un corpo estraneo all’interno della popolazione civile palestinese. Ma tuttavia è nato da questa…
R.: Come tutte le organizzazioni di massa. Hamas recluta per un verso grazie all’ideologia e per un altro verso grazie ai tanti servizi sociali che offre. Poiché recluta, come ogni opposizione politica, in funzione del malcontento contro il nemico e contro dei rivali che non sono più convincenti, come è stato il caso dell’OLP. Hamas è nato con la prima Intifada, nel 1987, a causa del discredito dell’OLP, espulso dal Libano e riconciliato con la Giordania. Il fallimento di Oslo, evidente a partire dalla metà degli anni ’90 e la frustrazione generata da tutto questo hanno ancor più contribuito successivamente al suo radicamento. Nello stesso modo, il discredito che subisce Mahmud Abbas, che tuttavia è andato molto oltre in termini di capitolazione e l’umiliazione che Israele gli infligge malgrado tutto, ha favorito Hamas.
D.: Non vi è il rischio che emergano o anche che prolifichino delle nebulose jihadiste, meno preoccupate delle sorti dei palestinesi e che potrebbero agganciarsi ad un movimento come lo Stato Islamico?
R.: Sì, esiste questa possibilità ma non tanto nei territori palestinesi. Perché una rete terroristica non ha i mezzi per potersi stabilirsi, né a Gaza né in Cisgiordania. Tra le autorità locali e l’occupazione israeliana, questi non sono territori immensi. Mentre tra i palestinesi della diaspora, quelli dei campi profughi, questi movimenti sono attraenti. Palestinesi in Siria o in Giordania hanno potuto raggiungere lo Stato Islamico. Israele è un fattore di radicalizzazione. Il suo governo sembra avere per motto: “dopo di me il diluvio”. Non si preoccupa di agire sul lungo termine, per il futuro stesso dei figli di Israele. Si stanno accumulando tensioni e, con la proliferazione delle armi di distruzione di massa, la probabilità di una catastrofe impossibile da descrivere. Seminano il vento di una tempesta che rischia di essere terribile per tutti.
1 Gilbert Achcar, è docente presso la Scuola di Studi Orientali e Africani (SOAS) dell’università di Londra. E’ autore di molti testi tra cui Les Arabes et la Shoah e Le peuple veut – une exploration radicale du soulevement arabe presso le Edizioni Sindbad, Parigi.
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