
La guerra affonda radici sui territori: alcuni spunti dall’incontro “Addio alle armi” organizzato a Biella
L’incontro organizzato a Biella dal comitato locale Basta Guerre a cui collaborano diverse associazioni e formazioni politiche del territorio ha intrecciato il tema della guerra alla questione della transizione ecologica e digitale, alla militarizzazione in ambiti naturalistici, alla scuola e alla formazione, lanciando così degli spunti fondamentali nel costruire un punto di vista complessivo sull’oggi.
Non da meno, si è sottolineata l’importanza della necessità di leggere le possibilità di organizzare un fronte comune capace di opporsi al riarmo e alla militarizzazione della società. L’incontro avviene in un momento in cui la città di Biella e il territorio circostante sono stati travolti dal raduno degli alpini e si colloca in un percorso di diverse iniziative che andranno avanti fino al 4 novembre con l’obiettivo di non conformarsi alla deriva bellica.

Addio alle armi, l’obbedienza non è più una virtù.
Siamo da lungo tempo immersi in uno stato di crisi permanente nella nostra società; lo sviluppo non porta più progresso, le condizioni di vita dei giovani sono peggio di quelle delle loro madri e padri, le risorse naturali, dilapidate, sono sempre più scarse quando non compromesse dall’inquinamento. Avevamo due possibili strade per uscire da questa situazione: redistribuire risorse e ricchezza e realizzare così la conversione ecologica, oppure perseverare in quel modello di sviluppo che genera profitti per pochi. È evidente che abbiamo imboccato la seconda strada. Oggi possiamo contare più di 50 conflitti in corso nel mondo.
Qui sopra abbiamo riportato alcune parole introduttive dell’evento che ben inquadrano la questione. Gli interventi che seguono analizzano la persistenza delle guerre nelle nostre vite, guerre che si intrecciano da sempre alla tecnologia e che affondano radici in ogni ambito dell’esistente.
Il primo intervento che riportiamo delinea un inquadramento della fase attuale, andando a spiegare le ragioni della guerra in Ucraina come perno per leggere la crisi egemonica attuale; il secondo affronta il tema della militarizzazione nei sistemi formativi; il terzo sottolinea l’importanza di un’attivazione comune e trasversale nonostante le differenze per opporsi alla guerra; l’ultimo affronta la questione ambientale come strettamente connessa all’antimilitarismo riportando l’esempio della provincia di Biella in cui sorge un’area naturalistica, la Baraggia, che è sempre più utilizzata per le esercitazioni militari. In questi mesi sono aumentate le giornate in cui l’esercito si riserva l’utilizzo di un’ampia area del Sito d’Interesse Comunitario, segno anche questo di come la guerra sia presente nella nostra quotidianità.
Giorgio Monestarolo, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole
Sono un ricercatore di storia, insegno storia e filosofia al liceo, ma ho fatto tanti anni di lavoro di ricerca all’università e ho pubblicato un libro relativo alla guerra in Ucraina dal titolo Ucraina, Europa, mondo. Guerra e lotta per l’egemonia mondiale. Con altri docenti ci siamo mobilitati contro la guerra a partire dal settembre del 2022: abbiamo scritto un appello in un momento in cui esprimersi contro la guerra era un po’ difficile a causa della cappa terrificante che avvolgeva tutti coloro che provavano a ragionare al di là dello schema russi cattivi – ucraini buoni, il che rischiava di sfociare immediatamente nell’essere etichettati come traditori della patria. Abbiamo quindi avviato un movimento principalmente di insegnanti e portato avanti una serie di iniziative nelle scuole, convegni, corsi di formazione per docenti e anche manifestazioni pubbliche e politiche, contribuendo nel nostro piccolo a spezzare il clima di propaganda unilaterale che ha caratterizzato la prima fase della guerra.
Siamo a Biella che in questi giorni è al centro del raduno degli alpini e si denota un investimento importante che riguarda il patriottismo, ma allo stesso tempo anche l’immaginario, rispetto alla funzione simbolica delle forze armate nell’ottica di supportare il ruolo dell’Italia in questo scenario internazionale, il che è anche un investimento politico. In questo senso, l’intervento partirà dalle cause più evenemenziali che riguardano la guerra in Ucraina, per poi analizzarne le cause più profonde e poi si andrà a concludere su alcuni spunti su come fermare la corsa verso la guerra.
Primo punto: innanzitutto sin dal periodo iniziale della guerra in Ucraina abbiamo capito cosa vuol dire vivere in una società in guerra. In una società in guerra il fronte interno è un fronte cruciale, in quanto è un fronte che si combatte tra chi vuole sostenere la guerra per i propri interessi e il resto dell’opinione pubblica. E in quel frangente abbiamo assistito a una pressione fortissima che spiegava la guerra come un’aggressione della Russia all’Ucraina. Ripensando a quel periodo in realtà abbastanza presto sono emerse anche molte voci contrastanti di studiosi che sono state stigmatizzate. Volevo partire dunque da un articolo recente che è uscito il 29 marzo del 2025 sul New York Times che si intitola “L’Alleanza: Storia segreta della guerra in Ucraina, il ruolo nascosto dagli USA nelle operazioni militari ucraine con la Russia”. Si tratta di un vero e proprio dossier – di cui non si è parlato molto – di un giornalista che si chiama Adam Entous che ha raccolto oltre cento interviste nel corso di un anno con politici e militari, sostanzialmente NATO, in particolar modo inglesi, americani, polacchi e dei paesi estoni, lituani, tedeschi, turchi e ovviamente inglesi. Non che questo dossier sia una bomba, di fatto le notizie semplicemente certificano una verità che è stata occultata dalla propaganda in maniera molto violenta. La verità è che la guerra è stata una guerra per procura, ossia l’Ucraina ha condotto una guerra per procura per conto degli Stati Uniti. La motivazione data dal giornalista è che si tratterebbe di una guerra di ritorsione contro altre guerre per procura condotte dalla Russia contro gli Stati Uniti, un’interpretazione estremamente fantasiosa dal punto di vista storico, in cui non voglio addentrarmi.
Il punto di partenza del ragionamento è questo: quando parliamo di questa guerra dobbiamo avere veramente chiara la verità, ossia che come tutte le guerre per procura è pianificata e organizzata, perché le guerre hanno bisogno di uno Stato che necessita tempi lunghi per muoversi. Noi oggi ci stiamo riarmando per fare una guerra tra 3 anni. Questo perché dobbiamo mettere insieme tanti pezzi: missili, aerei, carri armati, ma anche il reclutamento, il rifornimento, gli stock di carburante, stock alimentari. Occorre costruire un’economia di guerra che non è una cosa che si costruisce in un attimo. Dunque l’importanza di questo articolo è quella di riconoscere ciò che la stampa mainstream continua a negare e continua a ripetere come un disco rotto, ossia la sua verità dell’ “l’aggressione brutale e non provocata”; sono questi i termini degli slogan che vengono usati, della Russia in Ucraina. L’importanza di questo articolo è certificare che si tratta di una guerra per procura e a riconoscerlo è la stessa stampa principale che ha sostenuto questa guerra. Il punto è chiedersi perché lo fa.
Il primo motivo, che è poi l’obiettivo dell’articolo, è che in questo dossier viene scaricata la responsabilità del fallimento della guerra sugli ucraini, cioè gli americani dicono che la guerra l’hanno gestita benissimo, purtroppo gli ucraini vogliono fare di testa loro e così facendo hanno provocato un disastro militare. Accanto a questo poi naturalmente c’è Trump che ha completato l’opera di distruzione del progetto di guerra per procura alla Russia fatta dall’Ucraina che, secondo l’articolista e secondo tutti gli intervistati, funzionava perfettamente. Funzionava perfettamente, occorre chiedersi, per quale obiettivo. Certamente non per gli ucraini, perché la situazione degli ucraini è disastrosa: le vittime civili sono enormi, è un paese totalmente in mano agli stranieri dal punto di vista finanziario, ha perso un terzo dei suoi territori e, di conseguenza, non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi. L’Ucraina è un paese fallito e la cosa impressionante è che poteva non essere, le cose sarebbero potute andare totalmente in un’altra direzione invece è stata indirizzata in maniera pianificata per raggiungere questo obiettivo. Ciò che sostiene l’articolista è che Trump ha smontato il gioco che funzionava quando gli americani, tramite questa guerra per procura, puntavano a raggiungere una serie di obiettivi. Innanzitutto, separare l’economia europea dall’economia russa, si tratta di un vecchio pallino geopolitico che già Zbigniew Brzezinski, consigliere della politica estera americana degli anni 90, aveva scritto in un famoso libro la tesi in cui sosteneva che per garantire agli americani un dominio globale bisognava impedire a tutti i costi la fusione economica tra l’Europa e la Russia e, in prospettiva, la Cina. Ponendo quindi le potenze talassocratiche Stati Uniti e Inghilterra contro le potenze eurasiatiche.
Il secondo punto riguarda l’intenzione di superare, attraverso la guerra alla Russia, un problema che si era venuto a creare con la crisi del 2008: non si tratta di un livello geopolitico di scontro, ma riguarda la crisi finanziaria che ha certificato la fine di un modello che si era creato a partire dagli anni 80-90. Questo modello era la globalizzazione o, per essere più precisi, la finanziarizzazione dell’economia. Dalla crisi del 2008 gli Stati Uniti e l’Europa non si sono più ripresi, il livello di sviluppo economico, ma soprattutto di profitti, non sono più stati all’altezza della tendenza del lungo periodo precedente. Quindi la guerra alla Russia è stata il modo con cui la potenza egemone, ossia gli Stati Uniti, ha cercato di tamponare una crisi. Si può comprendere la crisi facendo riferimento a una teoria che è sempre stata importante nell’ambito dell’analisi politico-sociale a sinistra, cioè l’imperialismo. In altri termini la crisi degli Stati Uniti nel 2008 è la crisi di una potenza imperiale. Gli Stati Uniti infatti, ancor più dopo la seconda guerra mondiale, ancor più dopo la caduta dell’Unione Sovietica, hanno sviluppato la dimensione di governo imperiale. Naturalmente, come tutti gli imperi della storia, hanno dei costi: fino a un certo punto i costi vengono compensati dai vantaggi,ma arriva un momento in cui il costo dell’impero diventa eccessivo e non è più compensato dai vantaggi, e lì emergono le contraddizioni. Il motivo di fondo è che, con la competizione globale aperta dalla globalizzazione, i margini di profitto del capitalismo americano e di quello europeo da una parte e, dall’altra, i costi militari per la tenuta dell’impero sono cresciuti a un livello tale che oggi come oggi possiamo dire di essere al punto di tendenziale caduta del saggio di profitto.
La situazione attuale è ben rappresentata dallo smarrimento che abbiamo quando cerchiamo di comprendere come si stanno muovendo le classi dominanti americane e quelle europee. C’è un vero e proprio sbandamento che si manifesta in un conflitto interno e nel fatto che le linee di indicazione vengono abbozzate ma non trovano gambe per marciare. Quando critichiamo Trump occorre vedere che dietro le sue scelte che ci paiono assurde, contraddittorie, c’è una crisi reale dettata dal fatto che gli Stati Uniti hanno un deficit enorme e hanno una bilancia commerciale altrettanto in rosso. Il sistema per come ha funzionato fino ad ora non è più sostenibile e la classe dirigente è combattuta. Da una parte, c’è l’idea di proseguire la guerra contro la Russia e in questo modo tenere in piedi il sistema di alleanze, puntando sulla sua sconfitta per poi cercare di contrattare con la Cina da una posizione di forza. E questa è la linea democratica di Biden ed è la linea dell’Europa attuale. Dall’altra parte, c’è la linea di Trump che sostiene che occorra compattarsi contro la Cina, separarla dalla Cina, cercare di rimpicciolire l’estensione dell’impero concentrandosi sugli elementi di forza e provando a reindustrializzarsi tramite i dazi, nel tentativo di gestire questa crisi in prospettiva di un confronto con la Cina. Entrambe le strategie sono fallimentari, in realtà la situazione attuale è che l’ordine imperiale è saltato e in questo momento le classi dominanti stanno cercando di prendere tempo. Il punto di convergenza tra queste due linee che sembrano opposte è uno solo: impedire il ritorno in campo del mondo del lavoro. Il punto di fondo che sia i neoliberali ortodossi sia la linea di Trump hanno assolutamente in comune è quello di non rafforzare il mondo del lavoro e impedire allo Stato un controllo politico sui capitali, questo è il punto fondamentale. E in effetti quello che manca in campo è una terza posizione che dovrebbe rappresentare il mondo del lavoro che è stato piallato dal neoliberismo, da anni di globalizzazione, ma che ha ancora molto da giocare. Perché quando le classi dominanti navigano nel caos il rischio di una guerra ancora più distruttiva è ovviamente presente, anche perché lo abbiamo visto durante quei primi tentativi di Trump – seppur ridicoli – con l’Europa che ha remato totalmente contro, continuando ad operare per aumentare l’intensità del conflitto, per rendere la crisi ancora più grave. Questo non perché si voglia una guerra nucleare, ma perché si vuole prendere tempo, perché si vuole tamponare una crisi sistemica.
Allora, se le classi dominanti navigano abbastanza a vista, sarebbe necessario ragionare sul fatto che, per fermare l’eventualità di rendere la guerra una condizione permanente, delle possibilità ci sono. Prima di tutto il riarmo non convince nessuno, non riescono a venderlo. Malgrado la propaganda ossessiva questa posizione non sfonda perché noi siamo abituati da una parte, a una situazione di pace ma, e dall’altra, chiunque comprende che questo riarmo non può far altro che affossare definitivamente le conquiste fondamentali che noi italiani e cittadini europei dal ‘45 in avanti abbiamo realizzato. Il militarismo è il mostro che effettivamente si mangia quel poco che è rimasto nel presente dopo la cura dimagrante del neoliberismo. Le persone questo lo comprendono, lo sanno che questa linea non è vincente. Il problema è che la terza posizione stenta a entrare in campo. Con “terza posizione” intendo un pacifismo rivoluzionario, dove il termine rivoluzionario sta a indicare esattamente la necessità di capovolgere i cardini di quel vecchio ordine che è saltato e che si può tenere in piedi soltanto attraverso la guerra e il militarismo. Ci sono alcuni punti su cui si dovrebbe convergere come in un partito: un partito della pace che vuole cambiare le cose, non un partito della pace pacificato. Questi sono i punti su cui le forze sparse dovrebbero convergere e molto facilmente potrebbero contendere il campo sia ai guerrafondai liberali di sinistra sia alle posizioni in stile Trump. Occorre intanto sostenere ogni tentativo in questo senso e al tempo stesso bisogna passare a una concezione e a un’organizzazione totalmente diversa dell’economia, ma non in astratto. Bisogna introdurre subito una patrimoniale. Bisogna nazionalizzare le industrie, pensiamo a cosa è successo in questi anni con l’Ilva di Taranto… bisogna nazionalizzare e tornare a un intervento dello Stato nell’economia. Bisogna organizzare una transizione ecologica, che sia però a favore dei lavoratori, non contro. Bisogna liberare il mondo della scuola e dell’università dalle pastoie delle normative neoliberali che hanno costruito un’ideologia individualistica e competitiva finto meritocratica, ma in realtà esclusivamente mirata a un modello di società turistica. I consumi privati devono essere messi da parte per potenziare i consumi pubblici: è questa l’unica possibilità che abbiamo per rispondere alla crisi climatica. Infine, bisogna anche opporsi in maniera ferrea alla deriva guerrafondaia e genocida dell’Unione Europea. Quello che sta avvenendo a Gaza e in Palestina in questo momento è una vergogna che davanti alla Storia non sarà dimenticata: con questo genocidio l’idea europeista è totalmente defunta e il rilancio europeo per il riarmo è proprio il suggello di questa situazione. Quindi bisogna opporsi a questa degenerazione mostruosa che non ci deve rappresentare e farlo in maniera molto chiara, anche a costo di uscire valutando un progetto completamente diverso.
L’ultimo punto è quello relativo a una cultura politica che sia una cultura della tolleranza e una cultura politica del riconoscimento reciproco, una cultura politica che abbandoni settarismi e fughe in avanti improntate ad una forma di narcisismo estremo che non è, né più né meno, quel narcisismo con cui sono state nutrite le generazioni degli ultimi 30 anni. Tutti questi elementi culturali fin qui elencati hanno totalmente infettato il campo della sinistra e bisogna avere chiaro che senza una dimensione culturale nuova non se ne esce. Se ci fosse una convergenza su questi, e su altri punti di cui si può discutere, questo partito della pace, che è maggioritario nel paese dal punto di vista dell’opinione pubblica, diventerebbe maggioritario anche dal punto di vista politico, perché noi dobbiamo comprendere che questa situazione così drammatica copre una debolezza gigantesca delle classi dominanti che sono arrivate a raschiare il fondo del barile. Quindi viviamo un momento storico in cui effettivamente l’ingresso in campo consapevole di una forza politica vera, intesa come organizzazione trasversale, potrebbe fare la differenza.
Marco Meotto, Scuola per la Pace – Coordinamento contro la guerra e chi la arma
L’accettabilità della guerra è un percorso lungo che viene pianificato nel tempo, che impatta e plasma l’immaginario.
Alla fine degli anni ‘70/’80 era nata una voglia di cambiamento nelle scuole e nelle università, per cui lo sviluppo di una scuola nazionalista e militarista sarebbe stata difficile da attuare. Con la fine della guerra fredda arriva lo stop della leva obbligatoria e l’esercito nazionale cambia forma. Si incomincia però un percorso di legittimazione istituzionale della guerra e del nazionalismo bellico: con Ciampi viene istituito il canto dell’inno nella squadra nazionale e successivamente viene istituita la parata militare del due giugno (festa nazionale) a Roma. L’industria culturale svolge un ruolo cruciale nel rendere attrattive le forze armate che vengono addirittura brandizzate. Per quanto riguarda i contenuti disciplinari anche qui troviamo dei cambiamenti e delle influenze drastiche: sono le forze armate che addirittura giungono in aula per lezioni di educazione civica.
Importante diventa quindi una forma di monitoraggio di questo declino armato: esiste a tale scopo l’Osservatorio contro la militarizzazione delle Scuole. Urge quindi una riflessione sulla situazione attuale e sulle ricadute del piano europeo di riarmo anche nel contesto scolastico: riteniamo sia fondamentale laa costruzione di un immaginario comune diverso da quello indirizzato verso orizzonti bellici. In questo contesto diventa ancora più significativa la Lettera aperta dei genitori di Biella che che un gruppo di persone, tra cui il collettivo femminista “Le parole fuxia” e genitori di alunni delle scuole biellesi, ha scritto in occasione del raduno nazionale degli alpini a Biella dello scorso fine settimana.
Simonetta Valenti, Presidio permanente per la pace di Ivrea
A Ivrea esiste un presidio che si raduna ogni sabato a partire dallo scoppio della guerra in Ucraina, a cui partecipano circa 30 associazioni del territorio. La partecipazione è molto estesa e convergono anime diverse che, consapevoli della gravità della situazione, si riuniscono con l’unico obbiettivo di mobilitarsi per la pace e per sconfiggere il senso di impotenza che dilaga di fronte a una situazione così complessa. La convinzione che tiene unite le diverse prospettive è la seguente: non ci si può più permettere di essere divisi e frantumati, il momento storico richiede che ci si metta insieme per unire le forze. Le attività del sabato sono diverse, vanno dalle letture ai canti. Con il tempo il presidio si sta dando una struttura più stabile: un luogo in cui ritrovarsi e continuare un confronto largo che aiuti a riflettere con prospettive diverse sulla situazione attuale e porti avanti iniziative concrete contro la guerra anche nella città di Ivrea.
Daniele Gamba, Circolo Tavo Burat
Tra le ragioni che motivano l’antimilitarismo vi è la difesa dell’ambiente. Nel biellese è presente uno degli elementi base dell’infrastrutturazione militare: un poligono militare. I poligoni sono aree di esercitazione e tiro che normalmente sono ubicate in prossimità delle caserme ma nel biellese – rara eccezione – non vi sono caserme adiacenti al poligono. L’interesse per la realizzazione di un poligono militare biellese nasce e si sviluppa nel secondo dopoguerra; l’area inizialmente selezionata è quella della Baraggia di Rovasenda, che però verrà poi utilizzata solo come deposito mezzi militari carrozzati. Nel 1953 avviene l’esproprio del “Baraggione”, lembo di Baraggia posto tra Candelo e Massazza in cui si esercitano mezzi cingolati con attività di tiro. A seguito delle proteste locali (amministrazioni comunali ed ambientalisti) soltanto una piccola parte dell’area adibita ad uso militare riesce a scampare alla devastazione che interesserà, invece, il resto dell’area.
L’area in cui sorge il poligono è, dal 1992, un parco regionale nonché area SIC e ZSC (Sito di Interesse Comunitario e Zona Speciale Conservazione), per cui le attività svolte dovrebbero essere compatibili con gli obiettivi di salvaguardia e tutela degli habitat e delle specie lì presenti. Le attività dei poligoni militari sono disciplinate e controllate da un Comitato Misto Paritetico ove sono presenti membri civili di nomina regionale: purtroppo i membri civili sono sempre scelti tra soggetti“affini” alle forze armate, per lo più iscritti ad associazioni d’arma. La storia del poligono Candelo Massazza è costellata da diversi incidenti che si sono susseguiti all’interno ed all’esterno della zona militare dal 1953.
All’interno del perimetro militare sono condotte molteplici esercitazioni, tra le quali vi sono anche esercitazioni con gruppi equipaggiati per interventi a seguito di uso di armi batteriologiche e nucleari. Diverse sono le esercitazioni NATO, la più rilevante ha coinvolto 20.00 soldati e 80 mezzi cingolati.
Numerose sono state nel tempo le mobilitazioni per contrastarla. Negli anni ‘80 cresce una sempre maggiore sensibilità ambientale e pacifista che, con lo slogan “Sbaraggiamo i militari”, ha portato avanti la protesta per chiudere il poligono. Dal 2022 al 2023 si sono messe in piedi ulteriori mobilitazioni con la collaborazione del coordinamento antifascista a cui hanno partecipato diverse soggettività: dai pacifisti cattolici ai collettivi studenteschi. Alle esercitazioni militari condotte nel poligono biellese di Candelo Masazza si sono sommate recentemente quelle svolte nel lago di Viverone, anche in questo caso un SIC e un sito UNESCO da tutelare.
Nel 2025 Pro Natura su iniziativa del Circolo Tavo Burat di Biella ha sollecitato l’inadempiente Ministero della Difesa affinché sia svolta la Valutazione di Incidenza Ambientale (V.Inc.A.) per il poligono Candelo Massazza, obbligo normativo disposto dalla UE per le aree della Rete Natura 2000. In direzione opposta va segnalato il recente progetto di legge depositato da Fratelli d’Italia che prevede che l’esclusione della osservanza delle normative ambientali per lo svolgimento delle attività connesse alla difesa armata: un chiaro segnale dell’importanza e priorità data questo partito di Governo al rafforzamento dell’apparato bellico, il tutto a scapito della tutela dell’ambiente e del welfare sociale, settori che avrebbero bisogno di maggior attenzione e difesa.
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