Come il carbone sta continuando a devastare l’Europa
Riceviamo e pubblichiamo da un nostro lettore un breve reportage sulle lotte in corso intorno alla difesa della foresta di Hambach dalle mire della multinazionale del carbone RWE.
Mannheim è un villaggio del Nordreno-Vestfalia, a pochi kilometri da Colonia. Come da tradizione tedesca è una cittadina ordinata, pulita, fornita di scuola, parchi per bambini e una graziosa chiesa in stile finto-gotico. Un paese a cui non manca davvero nulla, eccetto gli abitanti.
Il piccolo insediamento sorge in una delle principali aree carbonifere d’Europa, a fianco ad una cava che le associazioni ambientaliste definiscono come “la più grande fonte di CO2 dell’Occidente”.
L’estrazione della lignite – il carbone di bassa qualità che abbonda nella zona – è un processo lungo e complesso, che richiede il consumo di enormi porzioni di suolo. Già diversi villaggi dagli anni ‘70 ad oggi sono stati sgomberati e distrutti per far spazio all’espansione della cava, e la piccola Manheim è la prossima nella lista.
Quando arriviamo nel paese l’impatto è forte: in tutto si conteranno due o tre luci accese, quelle dei pochi abitanti che hanno deciso di restare, mentre tutte le altre finestre sono sbarrate e lungo la via principale fan mostra di sé enormi container dei rifiuti, pieni di cianfrusaglie lasciate da chi se ne è andato.
Lion, la nostra guida, fa parte di un’associazione ambientalista tedesca, e come prima cosa ci porta verso la vecchia scuola elementare, ormai chiusa in attesa di essere demolita. I bambini che la frequentavano ora sono sparsi in tutta la zona, in paesi e istituti diversi. Colpisce che le strutture, le scritte, persino i murales realizzati dagli studenti siano perfettamente intatti, come se la mattina quelle aule dovessero popolarsi ancora di ragazzi e insegnanti.
La chiesa locale non è ancora stata sconsacrata: “lo sarà presto” ci dice Lion “ma io non concepisco come si possa pensare di togliere ad un posto la sua sacralità. Vuol dire che qui i soldi valgono anche più della fede”. Nonostante i parrocchiani siano tutti andati via, un meccanismo automatico continua a far suonare le campane ogni ora, e questo contribuisce inevitabilmente a rendere l’atmosfera spettrale.
Nessuno sa esattamente quando il villaggio verrà demolito. In Germania molte voci si son levate in difesa di Manheim e di tutta l’area, sia da partiti come la Linke e i Verdi, sia da semplici comitati di cittadini. Nel frattempo, il governo ha collocato in uno degli edifici abbandonati un gruppo di 8 rifugiati politici. Non è difficile capire quante possibilità di integrarsi abbiano in un paese fantasma.
Il giorno dopo visitiamo la foresta di Hambach. L’area boschiva, o ciò che ne resta dopo decenni di deforestazione, è contesa da anni tra le multinazionali del carbone e le associazioni ambientaliste, e il livello dello scontro si è alzato al punto da portare gruppi di attivisti a occupare la foresta.
Noi visitiamo Oak Town, una delle “città” sugli alberi create dagli occupanti. Per evitare sgomberi le case sono state costruite tutte tutte sulle chiome delle querce: “la più alta sta ad oltre trenta metri” ci dice una delle attiviste, che per non farsi riconoscere non dice il suo nome e si mostra coperta da un passamontagna.
Appeso ad un ramo penzola un enorme stendardo con due chiavi inglesi incrociate e il motto carpe noctem. “Non prendetelo troppo sul serio” ci spiegano “abbiamo scelto di evitare qualsiasi azione violenta, non intendiamo perdere il favore dell’opinione pubblica”.
La sera, lasciata Oak Town, vediamo sfilare sulla carreggiata opposta alla nostra una colonna di decine tra mezzi blindati e camionette della polizia: vanno a sgomberare uno dei tanti villaggi degli occupanti.
Al nostro terzo giorno in Germania andiamo a vedere finalmente la cava di lignite. Decidiamo di usare la bici, e lungo il tragitto la prima cosa che salta agli occhi è l’impatto che le estrazioni hanno avuto su tutto il territorio. In lontananza si vedono le nubi di vapore delle centrali a carbone, mentre a fianco ai prati scorre un’autostrada a quattro corsie, chiusa e abbandonata in attesa di essere demolita come Manheim. Nei villaggi attorno le strade sono deserte: “qua l’aria non è buona” spiega uno degli abitanti, “la gente deve lavare i vetri ogni sera perché si riempiono di polvere nera, cancerogena”.
La cava secondo gli ultimi dati resi pubblici ha un area di 3389 ettari, e produce 40 milioni di tonnellate di lignite l’anno, numeri che si possono comprendere solo trovandosi di fronte a questa enorme voragine nel terreno.
Tutto l’impianto è costellato dalle macchine estrattive, enormi pale circolari visibili anche a kilometri di distanza, nonché “i più grandi manufatti semoventi mai prodotti dall’uomo”, come recitano i cartelli informativi della RWE, la multinazionale che ha in gestione la miniera.
Nel punto in cui noi ci fermiamo a osservare c’è un (costosissimo) bar-ristorante, con tanto di sdraio e ombrelloni vista cava. “E’ così che funziona il mercato” ci dice un ragazzo di una delle associazioni ambientaliste attive nella zona “Prima distrugge tutto, e poi ti chiede di pagare per vedere le macerie”.
Anche la verde Germania ha ratificato l’Accordo di Parigi che prevede, tra le altre cose, di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C in più rispetto ai livelli pre-industriali. Ma nessun provvedimento legislativo ha dato seguito agli impegni presi e, anzi, si sta assistendo ad un massiccio ritorno a fonti inquinanti come la lignite.
D’altro canto Cop21 non prevede sanzioni per i paesi inadempienti, limitandosi alla compilazione di una “lista della vergogna”, ovvero l’elenco pubblico delle nazioni che non rispettano l’accordo. Nessuna troika insomma a punire chi non si impegna per contrastare il cambiamento climatico: dalla Germania del rigore alla Grecia indebitata, dall’America di Trump all’Italia populista, ciò che mette insieme ogni governante sembra essere il disinteresse per la questione ecologica.
Ma se loro se lo possono permettere, la domanda che resta da farsi è: per quanto ancora potremmo permettercelo noi?
Poche settimane dopo la nostra visita è iniziata la stagione del taglio, e con lei si sono intensificate le operazioni di sgombero. Dopo un mese di proteste culminate in una marcia di 50.000 persone, l’Alta Corte Amministrativa di Munster ha imposto lo stop temporaneo all’abbattimento della foresta e, conseguentemente, all’espansione della cava. In attesa del ricorso della RWE, della foresta di Hambach resta in piedi solo il 10% della sue superficie originaria.
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