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Come i fondi di investimento “verdi” finanziano le armi

Gli investimenti Esg nelle aziende della difesa hanno subìto un’impennata negli ultimi anni fino a raggiungere i 50 miliardi di euro, sull’onda delle pressioni congiunte dell’industria bellica e della Commissione europea.

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di Giorgio Michalopoulos e Stefano Valentino (*)

«La guerra è pace, la pace è guerra».

Insieme all’industria della difesa, la commissione europea sembra aver fatto proprio lo slogan più famoso del distopico 1984 di George Orwell per convincere i mercati finanziari che la produzione di armi può essere considerata sostenibile.
L’obiettivo: aprire all’industria della difesa le porte del crescente mercato degli investimenti sostenibili o Esg (che promuovono attività ecologiche, sociali o di buona governance), il segmento “verde” della finanza europea che attira capitali globali per settemila miliardi di euro, secondo gli ultimi dati Morningstar.
Attraverso un linguaggio calibrato, documenti strategici e una serie di incontri ufficiali, Bruxelles ha progressivamente ampliato il concetto di “sostenibilità”, fino a includere nel suo perimetro settori apparentemente estranei quali la difesa e la sicurezza.

Come rivela questa inchiesta coordinata da Voxeurop, in collaborazione con IrpiMedia, Mediapart ed El Pais, il fenomeno è già in piena attività, e in continua crescita. Produttori di droni come la francese Safran, di bombe come la tedesca Rheinmetall, e di carri armati come la britannica Bae Systems, ricevono miliardi di investimenti “verdi” da asset manager di tutto il mondo autorizzati ad operare nei mercati europei.
Persino Elbit Systems, primo produttore di armi israeliano e direttamente coinvolto nella guerra a Gaza, figura oggi in fondi di transizione climatica o Esg. Così i piccoli risparmiatori europei potrebbero essersi trovati a finanziare quello che le Nazioni Unite hanno definito come un genocidio nella striscia di Gaza.

50 miliardi di fondi “verdi” finiti in carri armati e droni militari

In soli quattro anni, gli investimenti “verdi” nell’industria bellica sono più che triplicati.
Da 14,5 miliardi di euro nel 2021 a 49,8 miliardi nel 2025. Tra il 2024 e il 2025 la quota di investimenti nel settore è raddoppiata, secondo dati che abbiamo estratto dalla London Stock Exchange Group, una piattaforma internazionale di dati finanziari.

L’inchiesta analizza i dati sugli investimenti verdi in 118 tra le società del settore della difesa quotate in borsa con la maggiore capitalizzazione al mondo, cioè quelle con maggior valore di mercato. Abbiamo anche analizzato 3.037 fondi che dal 2021 al 2025 hanno inserito titoli del settore della difesa nei loro portafogli “verdi”.

Investimenti “verdi” nelle armi

Il totale degli investimenti cosiddetti “verdi” nel settore Difesa dal 2021 al 2025.

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Gli investimenti “verdi” sono quelli disciplinati dal Regolamento europeo relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (detto Sfdr) in vigore dal 2021, che disciplina gli investimenti che promuovono «caratteristiche  ambientali e/o sociali» (articolo 8) e quelli che devono essere propriamente «sostenibili» (articolo 9).
Si applica a tutte le istituzioni finanziarie attive nel mercato dell’Unione europea.
Dal 2021 al 2025 il valore di mercato di tutte le società oggetto dell’analisi è raddoppiato raggiungendo i 3.000 miliardi di euro, l’equivalente del pil della Francia nel 2024.
Solo nel 2025 circa 769 fondi “verdi” hanno accumulato profitti per sette miliardi di euro tra compravendita di azioni e distribuzione di dividendi da parte delle società attive nella difesa.

Nicola Koch, dell’Osservatorio sulla Finanza Sostenibile, commenta così questo aumento: «In questo periodo le aziende della difesa hanno generato forti profitti e investire è diventato conveniente. Tuttavia, i produttori di armi non dovrebbero rientrare nella definizione di investimenti sostenibili perché la funzione ultima dei loro prodotti è quella di ferire, distruggere o uccidere, generando così impatti negativi sulla vita umana e sugli ecosistemi che non sono in linea con i principi dello sviluppo sostenibile».

Le aziende di armi che stanno beneficiando dei fondi Esg

Nel 2025 sono 104 le società che si sono spartite i 49,8 miliardi di euro di investimenti “verdi” offerti da società di gestione del risparmio. Metà di questa somma è andata a 27 società europee. La prima è la francese Safran, con 5,6 miliardi di euro, segue la tedesca Rheinmetall con quattro miliardi.
Tra le dieci società della difesa che attirano più investimenti verdi ci sono anche la tedesca MTU Aero Engines, l’italiana Leonardo, la filiale olandese di Airbus, la francese Thales, la spagnola Indra, la svedese Saab e le britanniche Rolls Royce e BAE Systems.
Secondo recenti studi, BAE Systems produrrebbe una varietà di armi utilizzate dall’esercito israeliano nelle operazioni di guerra a Gaza, tra cui l’Obice Semovente M109, prodotto con Rheinmetall. Rolls Royce, che controlla la filiale tedesca MTU è invece fornitore di componenti ingegneristiche di carri armati israeliani che secondo recenti inchieste avrebbero ucciso civili innocenti a Gaza.

Armi “sostenibili”

Le prime 15 società della difesa che hanno ricevuto investimenti “verdi” nel secondo trimestre 2025.
Uscendo dai confini europei le società statunitensi fanno da padrone: fabbricanti di armamenti come Howmet Aerospace, General Electric, Axon, Boeing, TransDigm e RTX dominano la classifica, attirando 13 miliardi di euro sui 18 destinati agli investimenti fuori dall’Unione europea.

Fondi “sostenibili”

I primi 15 asset manager per investimenti “verdi” nel settore difesa nel secondo trimestre 2025.

Le scomode domande del manager di banca alla Commissione europea

Tommy Piemonte è un ex-manager della banca tedesca Pax-Bank für Kirche und Caritas (Banca della pace per la chiesa e la carità). Metà italiano e metà tedesco, da anni lavora nel campo della finanza sostenibile.
Il 27 novembre 2024 ha partecipato a un incontro organizzato dalla Commissione europea: il Forum sugli investimenti industriali nel settore della difesa dell’Ue, intitolato Investire nella difesa e nella sicurezza dell’Ue: una nuova priorità politica. L’incontro aveva un obiettivo preciso: sottolineare la necessità di aprire le porte dei fondi sostenibili all’industria della difesa.
In qualità di rappresentante di una banca etica e membro dell’associazione per lo sviluppo sostenibile Shareholders for Change, Piemonte si aspettava risposte chiare dalla Commissione. Invece, è stato espulso dall’evento dopo aver messo in discussione la presunta “sostenibilità” del settore della difesa. Lo abbiamo sentito pochi mesi dopo, a gennaio, per farci raccontare cosa è accaduto.

All’incontro – che riuniva funzionari della Commissione, rappresentanti dell’industria bellica e operatori finanziari – Piemonte, collegato online, ha posto alcune domande semplici: «Perché pensate che sia così importante per l’industria delle armi essere etichettata come sostenibile?». L’ultima delle sue osservazioni, disponibile nella ricostruzione che ci ha fornito, gli è costata l’espulsione: «Non evitate le mie domande solo perché vi sembrano troppo critiche».
La ricostruzione è stata confermata da Andrea Baranes, presidente della Fondazione Finanza Etica, anche lui presente al Forum: «Quasi tutti i relatori hanno ripetuto lo stesso slogan: non c’è sostenibilità senza sicurezza. È un tentativo esplicito di dimostrare che la finanza sostenibile è compatibile con il settore della difesa», ha spiegato. «Come se io fossi vegetariano e al ristorante mi servissero una bistecca, dicendo che da oggi tutte le bistecche sono vegetariane».
Un rapporto interno della Commissione rivela invece che gli organizzatori erano soddisfatti: hanno apprezzato le «discussioni produttive sulle sfide e le opportunità di investimento» nell’ambito di un incontro che avrebbe promosso «il dialogo tra il settore finanziario, la Commissione e l’industria sugli incentivi agli investimenti nel settore della difesa».

Le slide dell’evento, che abbiamo ottenuto in esclusiva, confermano questo messaggio. Diversi dipartimenti della Commissione – dalle Direzioni generali per la difesa e lo spazio a quella per la stabilità finanziaria – affermano che i produttori di armi possono essere inclusi nei fondi “verdi” senza violare alcuna normativa. Anne Fort, vice capo di gabinetto del commissario europeo per la difesa e lo spazio Andrius Kubilius, ha dichiarato che «il quadro finanziario sostenibile dell’Ue non impone alcuna limitazione al finanziamento del settore della difesa».
Joanna Sikora-Wittnebel, responsabile per la finanza sostenibile nella Direzione generale per la stabilità finanziaria, ha aggiunto: «Il quadro finanziario sostenibile dell’Ue è compatibile con gli investimenti nella difesa», sottolineando in una slide che «l’Sfdr è neutrale dal punto di vista settoriale».

Nessun danno significativo

Secondo la finanza sostenibile europea un investimento non deve recare danni significativi agli obiettivi di sostenibilità. Per questo motivo la Commissione ha fornito una lista di indicatori chiamati «Principali impatti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità» (Principal adverse impacts of investment decisions on sustainability factors).

L’unica menzione del settore militare nell’ambito di questi indicatori è quello di esposizione ad armi controverse. Il 26 novembre, inoltre in Parlamento europeo è stata approvata la proposta della Commissione, di sostituire il termine “armi controverse” con il termine “armi vietate”, escludendo di fatto solo quattro categorie dai fondi sostenibili: le mine antiuomo, le munizioni a grappolo, le armi biologiche e le armi chimiche. Le armi all’uranio impoverito, le armi laser accecanti, frammenti non rilevabili, le armi incendiarie come il fosforo bianco, e i sistemi d’arma autonomi letali, meglio conosciuti come robot killer sono finanziabili con investimenti sostenibili.
Per la normativa tutte queste altre armi non provocherebbero danni significativi.
Questi indicatori non includono inoltre le armi atomiche.

Come le armi sono diventate sostenibili in Europa

La campagna per far riconoscere l’industria della difesa come sostenibile inizia già nel 2021, anno dell’entrata in vigore dell’Sfdr. In ottobre l’Associazione europea delle industrie aerospaziali, della sicurezza e della difesa (Asd) – che riunisce le principali aziende al centro di questa inchiesta tra cui Safran, Airbus, Rheinmetall, Leonardo, e BAE Systems – ha pubblicato un articolo che dettava la linea per includere la produzione bellica negli investimenti verdi.
«La difesa è una componente essenziale della sicurezza, e la sicurezza costituisce il presupposto per la pace, la prosperità, la cooperazione internazionale e lo sviluppo economico e sociale», scriveva l’allora segretario generale Jan Pie, aggiungendo: «Contribuendo a garantire la sicurezza, i produttori europei del settore della difesa danno di fatto un contributo fondamentale a un mondo più sostenibile».
L’articolo denunciava le restrizioni che i fondi “verdi” delle banche imponevano alle imprese militari. L’obiettivo era accreditare la difesa nel settore Esg e chiedere alle istituzioni europee di diffondere quel messaggio, semplificando al tempo stesso i criteri di esclusione adottati dalla Banca europea per gli investimenti.
La narrativa si è diffusa anche tramite iniziative nazionali. Un gruppo di rappresentanti del settore della difesa provenienti da Germania, Finlandia, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Norvegia ha pubblicato un comunicato dal titolo Non c’è sostenibilità senza difesa e sicurezza, richiamando il linguaggio dell’Asd.

L’urgenza del settore di entrare nel mercato degli investimenti “verdi” emerge anche dai documenti interni. Il resoconto degli incontri tra i lobbisti della difesa e la commissione europea – che abbiamo ottenute dopo una lunga e complessa richiesta di accesso agli atti – rivela chiaramente il tono delle pressioni. In uno di questi incontri, nel marzo 2021, l’Asd lamentava che i «prodotti finanziari verdi escludono sempre più la difesa e ne limitano l’accesso ai finanziamenti».
A novembre dello stesso anno Alessandro Profumo, ad di Leonardo – azienda italiana produttrice, tra l’altro, di munizioni d’artiglieria a lungo raggio e sistemi di artiglieria navale – ha incontrato Timo Pesonen, dg per l’industria della difesa e lo spazio della commissione europea. In quella riunione, spiega una minuta che abbiamo ottenuto, Profumo «ha espresso preoccupazione per il fatto che l’industria della difesa sia esclusa dalla tassonomia dell’Ue per le attività sostenibili».

Questo fronte coordinato ha gradualmente trovato ascolto e supporto a Bruxelles, con un’impennata dopo l’invasione su larga scala della Russia all’Ucraina.
Nel febbraio 2022, una settimana prima che cominciasse l’“operazione speciale” russa, una comunicazione della Commissione al parlamento europeo chiedeva con urgenza maggiori fondi al settore della difesa per via delle crescenti tensioni ai confini ucraini, aggiungendo poi: «È altrettanto importante garantire che altre politiche orizzontali, quali le iniziative in materia di finanza sostenibile, rimangano coerenti con gli sforzi dell’Unione europea volti a facilitare un accesso sufficiente dell’industria europea della difesa ai finanziamenti e agli investimenti».

L’invasione a tutto campo ha rafforzato gli argomenti dell’industria, anche in ambito finanziario: «Dall’invasione russa dell’Ucraina, il valore delle azioni delle società europee operanti nel settore della difesa, in precedenza depresso, ha registrato una notevole ripresa», scrive l’Asd nell’ottobre 2022. In questa nota suggerisce che la Commissione e le autorità di vigilanza europee competenti emanino linee guida per chiarire che i gestori del risparmio non debbano rendere pubblici gli impatti negativi degli investimenti in società europee del settore della difesa che non siano coinvolte nelle quattro categorie di armi vietate.

Il testo sembra anche riconoscere l’avversione del pubblico nei confronti degli investimenti militari: «Fino a quando e anche quando il pregiudizio normativo sarà eliminato, l’Asd teme che i gestori patrimoniali possano continuare ad attuareesclusioni nel settore della difesa, in particolare a causa della pressione dell’opinione pubblica o dei requisiti specifici per gli investitori».
L’Asd chiede dunque un ancora più intenso supporto politico da parte delle istituzioni europee, scrivendo che occorre «intensificare le azioni volte a convincere i gestori patrimoniali che l’Unione e i suoi stati membri sostengono le imprese del settore della difesa e sono determinati a garantire loro l’accesso ai finanziamenti privati».

Un anno dopo la posizione dell’Asd viene ribadita quasi parola per parola in una nota della Commissione europea: «La Commissione riconosce la necessità di garantire l’accesso ai finanziamenti e agli investimenti, anche da parte del settore privato, per tutti i settori strategici, in particolare l’industria della difesa che contribuisce alla sicurezza dei cittadini europei».
«La riabilitazione del settore della difesa nell’immaginario collettivo e successivamente nel quadro normativo è stato il frutto di una sapiente, sofisticata e coordinata strategia di comunicazione e lobbying da parte dei campioni industriali nazionali e associazioni di categorie», così ha commentato  a Voxeurop Alberto Alemanno, professore universitario e fondatore di The Good Lobby.

Il processo si completa nel 2024, con la Strategia industriale europea per la difesa.
Nel documento la Commissione afferma che nessuna norma ostacola gli investimenti privati nel settore militare e riprende apertamente lo slogan coniato tre anni prima: «L’industria della difesa dell’Unione contribuisce in modo determinante alla resilienza e alla sicurezza dell’Unione e, di conseguenza, alla pace e alla sostenibilità sociale.
In tale contesto, il quadro dell’Ue per la finanza sostenibile è pienamente coerente con gli sforzi dell’Unione volti a facilitare un accesso sufficiente dell’industria europea della difesa ai finanziamenti e agli investimenti. Esso non impone alcuna limitazione al finanziamento del settore della difesa»

Elbit Systems, dai fondi verdi alla guerra a Gaza

Prima del 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas su Israele e inizio della risposta israeliana, il valore di un’azione di Elbit Systems ruotava sui 200 dollari. Oggi il valore è più che raddoppiato, raggiungendo quota 480 dollari.
Il suo rapporto di bilancio del 2024 descrive chiaramente il ruolo attivo di Elbit nella fornitura di armi all’esercito israeliano: «Dall’inizio della guerra, Elbit Systems ha registrato un aumento significativo della domanda dei propri prodotti e soluzioni da parte del ministero della difesa israeliano rispetto ai livelli precedenti al conflitto […] Nel corso del 2024, la società si è aggiudicata contratti dal ministero per un valore complessivo di oltre 5 miliardi di dollari».

Come ha già dimostrato il centro Action on Armed Violence, numerose armi prodotte da Elbit Systems, tra cui bombe e proiettili, sono state usate a Gaza durante l’operazione Iron Sword.
Non solo: con la guerra Elbit ha avuto modo di sperimentare l’uso dell’intelligenza artificiale (ia) e innovare i propri prodotti. Lo conferma un’intervista ad Haim Delmar, direttore generale della divisione C4I & Cyber di Elbit Systems, pubblicata sul sito della stessa: «L’intelligenza artificiale generativa è più importante della rivoluzione di internet. Il suo impatto sul processo decisionale in campo militare sta appena cominciando a manifestarsi. In questa guerra abbiamo visto il suo potenziale: elaborare informazioni di intelligence a una velocità senza precedenti. E questo è solo l’inizio».
Nel 2025 sono stati 25 i fondi “verdi” che hanno investito complessivamente 23 milioni di euro nella società israeliana. Tra questi compaiono un fondo “ESG Ottimizzato” offerto dalla VP Bank del Liechtenstein, venduto anche in Germania, o il “BGF Climate Transition” offerto da BlackRock Investment Management UK, venduto in diversi paesi Ue.
Altri fondi “verdi” che investono milioni in Elbit come il Fidelity Global Multiasset, dichiarano di utilizzare criteri di investimento Esg o di escludere aziende che violino i principi del Global Compact delle Nazioni Unite, il cui primo articolo recita: «Le imprese dovrebbero sostenere e rispettare la protezione dei diritti umani proclamati a livello internazionale».
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(*) Tratto da Irpimedia.
Questa inchiesta collaborativa è stata coordinata da Voxeurop, in collaborazione con El País, IrpiMedia e Mediapart. La produzione di questa inchiesta è sostenuta da un grant del fondo IJ4EU.
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