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“In Val Susa la repressione non ci ha vinto”, intervista a Nicoletta Dosio

Nicoletta Dosio la storica attivista del movimento No Tav sta terminando un anno di detenzione domiciliare per la sua lotta contro la linea ad alta velocità Torino-Lione. Nella valle c’è timore per l’aumento dei cantieri e per l’inquinamento ambientale, con il rischio di diventare un corridoio invivibile e desertificato. Dopo la disillusione verso il ceto politico, resta l’attivismo dal basso. “Il movimento è ancora vivo nonostante l’accanimento giudiziario nei suoi confronti”

Intevista a cura di Fabio Balocco per Altreconomia

Incontriamo Nicoletta Dosio nella sua grande casa di Bussoleno (TO), in Val Susa. Ancora più grande da quando è morto Silvano, il suo compagno di una vita. Fuori casa sventolano tre bandiere: No Tav, Che Guevara, Palestina, a segnare il luogo e la persona. Ci vediamo in casa anche perché Nicoletta è ai domiciliari, a seguito di una delle tante condanne che l’hanno colpita in questi anni per la sua lotta contro la “grande opera”.

Nicoletta, ancora pochi giorni e termina la detenzione domiciliare.
Esatto, un anno di domiciliari per quanto successe durante e dopo la marcia del 28 giugno 2015 da Exilles al cantiere di Chiomonte. Un anno dal primo giugno 2024 a fine maggio 2025. Era una marcia popolare, festosa che doveva concludersi a Chiomonte con una spaghettata, danze e canti. La marcia è stata bloccata lungo il percorso previsto e siamo stati oggetto di lanci di lacrimogeni. A quel punto siamo stati costretti a rifare il percorso a ritroso, sotto il sole a picco di un mezzogiorno d’agosto. Perciò siamo ritornati ai cancelli della centrale di Chiomonte, da cui parte la “strada delle le vigne” che porta alle gallerie di prospezione geologica finalizzate al progetto Tav. Ancora una volta abbiamo trovato il percorso bloccato. A questo punto io e altri “vecchietti” abbiamo buttato giù uno dei jersey che sbarravano la strada e per questo siamo stati inseguiti e individuati dalle forze dell’ordine. Il capo d’imputazione era di violenza a pubblico ufficiale, per il quale sono stata condannata agli arresti domiciliari preventivi, ma io, ritenendo la misura iniqua, non l’ho rispettata e volontariamente mi sono comportata come se la misura cautelare non esistesse. Da qui una condanna per evasione che sto finendo di scontare ora.

Qual è lo stato di salute del movimento No Tav?
Il movimento è ancora vivo nonostante l’accanimento giudiziario nei suoi confronti, continua a esistere e a resistere. Anche se la situazione a livello generale è sempre più buia. Della vivacità del movimento ne è stata un esempio la marcia del 10 maggio scorso da Traduerivi a Susa, una marcia molto partecipata che ha visto presenti diversi sindaci della valle e anche tanti cittadini di Susa, più preoccupati dei danni che il territorio subirà piuttosto che orgogliosi della possibile stazione ferroviaria internazionale. In compenso non c’era il loro sindaco. Quello che adesso preoccupa e contro cui si è manifestato sono i cantieri aperti e che hanno intenzione di aprire, sia di qua sia oltreconfine. Il tunnel non è ancora iniziato ma con i cantieri si stanno già producendo disastri. Guarda l’autoporto di Susa, che è stato spostato a San Didero, tra l’altro eliminando un bosco spontaneo che era sorto sui rifiuti della vicina acciaieria. La zona già occupata dall’autoporto nel progetto Tav dovrà diventare un enorme cantiere e, in particolare quella che fu la pista “Guida sicura”, è stata individuata come deposito dello smarino (materiale di scarto) proveniente dalle gallerie in costruzione nonché dei rifiuti già stoccati a Salbertrand, che sono in buona parte pericolosi perché derivanti dalla realizzazione della galleria stradale di Claviere, aperta nel 2006 in funzione delle Olimpiadi invernali. Va tenuto conto che ogni cantiere non significa solo consumo di territorio, possibile alterazione del regime delle acque e polluzione, ma anche ulteriore militarizzazione e quindi limitazione di spostamento delle persone. Oggi il movimento manifesta e si attiva contro la grande opera ma anche contro i piccoli cantieri, temendo innanzitutto per la salute della popolazione. C’è una forte preoccupazione sia per il consumo dell’acqua e per la sua qualità (sono stati scoperti dal monitoraggio di Greenpeace livelli elevati di PFAS)sia per la qualità dell’aria: il vento dagli accumuli di rifiuti solleverà polveri contenenti amianto e uranio, veleni che il vento porterà lungo tutta la valle e oltre. Senza contare l’inquinamento dell’aria derivante dal traffico di mezzi pesanti. La preoccupazione del movimento oggi è che la valle diventi un corridoio invivibile e desertificato, che è poi quello che il sistema vuole. Invivibile, desertificato e anche militarizzato. La repressione del movimento tra l’altro si sta esprimendo anche nella politica di limitazione della libertà portata avanti da questo Governo. Ma la repressione non ci ha vinto, non ci ha diviso come voleva chi comanda.

Il Comune di Bussoleno si è addirittura candidato per la prima stazione sul versante italiano: un segno dei tempi?
Il mio Comune è sempre stato in prima linea nella lotta alla grande opera, mentre oggi c’è una maggioranza Sì Tav che non solo è favorevole alla realizzazione dell’opera ma si candida come sede della futuribile stazione internazionale in alternativa a Susa, che vanta una sorta di diritto di primogenitura per essere sempre stato un Comune favorevole all’opera. Il fatto che il Comune di Bussoleno sia favorevole all’opera non significa che lo sia la popolazione. Qui è andato a votare meno del 50% degli aventi diritto e la maggioranza che è in giunta ha ottenuto il 29% dei voti. Grazie al sistema maggioritario chi vince prende tutto. Bisogna sottolineare che ormai i Comuni contano sempre di meno politicamente. Hanno poche risorse e le decisioni che contano passano sopra le loro teste. Tra l’altro Bussoleno è favorevole alla stazione, sembra invece indifferente al fatto che, a seguito dei lavori della grande opera nella piana di Susa, verrà sospesa la linea ferroviaria Susa-Bussoleno e sostituita con autobus, per chissà quanti anni, presumibilmente per sempre.

Questo è uno spunto per parlare dei partiti, e in particolare del Movimento cinque stelle, che in valle raccolse una valanga di voti ma che poi si rivelò una grande delusione.
Personalmente non ho mai avuto fiducia nel Movimento cinque stelle. Indubbiamente ha costituito per molti in valle una grossa speranza, perché si presentava come partito anti-sistema in un momento in cui il sistema ci stava schiacciando. Ma è anche vero che tante figure nel Movimento non provenivano dalle nostre lotte, non erano radicate sul territorio ma coglievano solo l’occasione ghiotta di entrare nella politica attiva. Ma non si può nascere dal nulla come parlamentare. Va sottolineato che i cinque stelle hanno fatto delle scelte sbagliate a livello nazionale, su tutte la coalizione con la Lega di Matteo Salvini per il primo governo di Giuseppe Conte, causando una diaspora di parlamentari verso altre formazioni. Va aggiunto che molti esponenti dei cinque stelle hanno fatto delle scelte in contrasto con i principi del Movimento, riciclandosi per lavorare in alcuni settori “problematici”.

Finiamo parlando di te. Silvano è morto ma ha lasciato una bella eredità: uno spazio comune di fronte all’osteria della Credenza.
Iniziamo con il dire che l’osteria la Credenza l’abbiamo fortemente voluta io e Silvano nel 2004: è un’osteria ma anche e soprattutto un luogo di ritrovo per il movimento No Tav. Si chiama Credenza non tanto perché il locale ospita una bella e vecchia credenza ma in ricordo della “regola della credenza” di Danilo Dolci: “da ciascuno secondo le sue possibilità a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Una regola che fu fatta propria anche da Marx per prefigurare l’essenza del comunismo. Di fronte all’osteria Silvano ha voluto acquistare uno spazio da mettere a disposizione per le iniziative di cultura, di solidarietà e di lotta. Uno spazio che, secondo la sua volontà, avrebbe dovuto ospitare anche un piccolo museo della cultura contadina di montagna, a testimonianza del lavoro duro, della vita povera e tenace, di quel “mondo dei vinti” al quale appartenevano anche i suoi genitori, che abitavano qui sopra, nella montagna dell’Indiritto di Bussoleno. E io voglio che questa sua volontà diventi realtà.

Un’ultima domanda che esula un po’ da questa intervista. Che cosa stai leggendo?
Sto studiando le opere del filosofo Walter Benjamin, in vista di una relazione che dovrei tenere in autunno al Polo del ‘900 di Torino, nell’ambito delle iniziative politico-culturali organizzate dalla sezione torinese dell’Anppia (Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti). Contemporaneamente sto leggendo il libro di Giuliano Giovine, una ricerca storica di due anni fa molto documentata e appassionata sui bottai e piccoli vignaioli delle Langhe: una realtà operaia e contadina prima sfruttata e poi spazzata via dalla grande industria del vino. Si intitola “Re dei lavoratori e re dei vagabondi. I bottai di Canelli e dell’Astigiano”. Poi leggo poesie per tenermi compagnia e per mantenere in esercizio la mente, studio a memoria le filastrocche di Gianni Rodari. Siamo persone vecchie ma non arrese.

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