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Quasi 2 mila tzeltal contro la costruzione dell’autostrada San Cristóbal-Palenque

Durante un’assemblea straordinaria effettuata sabato, dalle ore 10.00 alle 14.00, nella comunità di Guadalupe Paxilá, gli ejidatari si sono accordati in modo unanime di non permettere il passaggio della strada attraverso le loro terre ed esigono dal governo, nei suoi tre livelli, di “rispettare” l’accordo.

“Una volta ottenuto il relativo conteggio da parte del tavolo delle discussioni e degli scrutatori, si è riscontrato che all’unanimità, a voce e con il voto, secondo gli usi e i costumi, è stata rifiutata la costruzione dell’autostrada”, hanno rivelato in un comunicato gli indigeni.

Hanno aggiunto che l’accordo è stato preso perché l’opera, che il governo progetta di iniziare alla fine di quest’anno con un investimento di dieci miliardi di pesos, “danneggerebbe le nostre terre di lavoro e di coltivazione, per la sopravvivenza, per i luoghi sacri e le aree di uso comune per far pascolare gli animali, tagliare la legna per la preparazione degli alimenti, per conservare i boschi e le acque, per fare coltivazioni di mais, conservare i costumi e la cultura come popolo indigeno”.

Hanno evidenziato: “Tutti e ciascuno dei partecipanti hanno manifestato e argomentato la necessità di conservare i propri lotti che lavorano e le proprie terre ejidali (campi comuni per il pascolo, ndt) nella loro totalità e integrità, conservandone l’uso come proprietà sociale secondo l’articolo 27 della Legge Agraria, così come della dichiarazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni e il paragrafo sulle terre del Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro”.

Hanno dichiarato che “le terre e il territorio del popolo tzeltal sono una rivendicazione storica, poiché i nonni raccontano che in epoche passate furono sfruttate e assoggettate dai proprietari terrieri e dai possidenti meticci e ora non permetteremo che ritorni questo sistema di schiavitù e di soggezione da parte del governo federale e statale e delle imprese costruttrici locali, nazionali e internazionali”.

Gli ejidatari di San Jerónimo Bachajón hanno richiesto che “i governi, federale, statale e municipale, che stanno agendo in modo repressivo, mettano fine all’aggressione, alla persecuzione e alle minacce contro le autorità del nostro organo ejidale”.

Esigono anche “l’immediata riassunzione nel suo posto di lavoro dell’ingegnere Juan Manuel Jiménez de la Cruz”, originario dell’ejido, che è stato “licenziato senza giustificazioni” dal suo incarico dal delegato della Segreteria dei Popoli e delle Culture Indigene che ha sede a Yajalón, Ramiro Miceli Maza, poiché non era d’accordo a convincere il proprio padre, Manuel Jiménez Gómez, che è presidente del commissariato ejidale, ad accettare la costruzione della via e a persuadere gli altri ejidatari.

Allo stesso modo hanno richiesto al locale deputato priista Carlos Jiménez Trujillo, originario della zona, di “pronunciarsi pubblicamente nel Congresso contro la costruzione della strada, se veramente sta con il popolo”.

31/08/2014

da Comitato Carlos Fonseca

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pubblicato il in Crisi Climaticadi redazioneTag correlati:

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