Venezia e la speculazione sul disastro
“Sono evidentemente questi gli effetti dei cambiamenti climatici. Adesso si capisce che il MOSE serve.” Queste le parole di Brugnaro, sindaco di Venezia, da Piazza San Marco ancora allagata.
Parole che sono del tutto simili a quelle dei molti politici che subito dopo il crollo del ponte Morandi a Genova hanno rilanciato sulla costruzione della Gronda. Echi delle risate che un imprenditore e un mafioso di scambiavano al telefono dopo il tragico terremoto in Emilia.
Naomi Klein parla di questo fenomeno come “capitalismo dei disastri”. In sostanza sostiene che i disastri ambientali o causati dall’uomo sono un’enorme opportunità per il capitalismo, che può speculare sulla ricostruzione, privatizzare liberamente, distogliere fondi pubblici verso le imprese e far ripartire cicli di accumulazione feroce di fronte a un basso tasso di resistenza delle popolazioni causato dallo shock per la tragedia.
Il caso di Venezia in questo senso è emblematico, in piena emergenza già tutti i giornali e i talk show della tv si sono riempiti di gente che strilla sulla necessità di finire il MOSE, un progetto vecchio e dispendioso, già arrugginito, colpito da scandali e corruzione, probabilmente dannoso per l’ecosistema della laguna e già costato sei miliardi di euro. Appena qualche mese fa si discuteva un po’ da per tutto delle cerniere delle paratoie mobili di quest’opera che in teoria avrebbero dovuto resistere per 100 anni, garantito, ma che sono già inservibili e da sostituire con una spesa di altri milioni di euro. Le cerniere, meccanismo fondamentale del sistema MOSE, sono state costruite con un acciaio diverso da quello provato nei test, per risparmiare e intascarsi più soldi dei contribuenti.
Non è che alternative al MOSE meno impattanti e dispendiose non ne esistano, la realtà è che ci sarebbe semplicemente meno da specularci sopra.
E’ così che funziona, come nel caso delle Grandi Navi in occasione delle due tragedie sfiorate a inizio estate. Di fronte alle proteste dei cittadini che non possono più sopportare questo genere di violenza ambientale e predatrice sulla propria città, le amministrazioni locali e regionali si sono pensate un’altra bella serie di progetti speculativi per continuare a far arrivare le navi il più possibile vicino a Venezia invece che semplicemente vietarne il transito in laguna.
E’ la voracità di un capitalismo che dopo aver svuotato le calli dagli abitanti originari con la turistificazione selvaggia nel tentativo di trasformare la città dei canali in un lunapark a cielo aperto, dopo aver speculato per anni sulla tutela del patrimonio artistico e culturale unico al mondo, oggi si sveglia e si rende conto che ci sono i cambiamenti climatici e che per affrontarli… si può rubare ancora!
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