I conflitti sociali non sono una questione di ordine pubblico
La molteplicità delle storie umane fuori dal contesto “civile” ci interroga sulla legittimità dei comportamenti in contrasto con la legalità formale: l’invasione di un edificio, un blocco stradale, il taglio di una rete, una morosità consapevole, una coltivazione proibita, un furto per necessità, un tornello scavalcato, una manifestazione non autorizzata, un sabotaggio o uno sciopero senza preavviso sono spesso gli unici strumenti in grado di contrastare gli abusi di un potere che prova a difendere le politiche di austerità e precarietà, le contraddizioni e le ingiustizie del capitalismo, i privilegi di pochi. Ciò avviene attraverso dispositivi di controllo e repressione preventiva sempre più pesanti e raffinati; attraverso norme speciali; un accanimento giudiziario senza precedenti nei confronti di chi esprime dissenso, alterità, incompatibilità, rabbia.
Dentro la crisi, per abitarla e rovesciarla, non accettando i margini legali che possono garantire al massimo la sopravvivenza, diventa quindi necessario forzare il diritto positivo e imporre la legittimità delle pratiche di “illegalità” diffusa e di massa per affermare i nostri diritti, compreso quello alla felicità, e far arretrare gli strumenti che la governance si è data e si sta dando, a garanzia di questo modello di sviluppo.
Occorre ripristinare un principio di giustizia sostanziale di fronte a condanne come quelle per i fatti di Genova del 2001, nei processi per le manifestazioni del 14 dicembre 2010 e del 15 ottobre 2011 a Roma, per disattivare l’arsenale giuridico speciale che si manifesta anche attraverso l’utilizzo sempre più frequente del reato di devastazione e saccheggio, la formulazione di reati per finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, l’occupazione militare della Val di Susa. Che si presentano, oggi, come paradigmi velenosi estensibili a qualunque movimento di lotta sociale e su tutto il territorio nazionale. Sono, tutte, articolazioni diverse (insieme ad altre) di un unico dispositivo politico: lo stato di emergenza, il principio di eccezione, in virtù del quale il potere costituito impone una continua restrizione-compressione-repressione dell’agire politico e sociale che non faccia parte del recinto istituzionale.
In questo contesto di lotta vogliamo portare anche le testimonianze di coloro che vivono sulla loro pelle la condizione di repressione e di esclusione, i familiari dei/lle reclusi/e le cui vite ruotano intorno all’istituzione totale del carcere.
Su questi temi vogliamo confrontarci in un’assemblea pubblica che si terrà il 7 dicembre alle ore 16 presso l’occupazione di viale delle Province 196 in contemporanea con il convegno di Bussoleno “Diritto alla Resistenza. La Valle non si arresta” per aprire una riflessione, che dovrà trovare un momento successivo di approfondimento, sul tema della legittimità delle lotte sociali e la necessità di un’amnistia politica generale, in grado di generare la necessaria attivazione e mobilitazione.
Intervengono:
– Caterina Calia e altri avvocati che seguono i processi di Genova, del 14 dicembre e del 15 ottobre
– Cesare Antetomaso, Associazione Giuristi Democratici
– Coordinamento cittadino di lotta per la casa
– Laboratorio Crash – SocialLog Bologna
– Franca Garreffa, docente di Sociologia della devianza Università della Calabria
– Michele Vitobello, Associazione Diritti di Frontiera, Università Roma Tre
– Giacomo Russo Spena, rivista Micromega
– Carlo Pellegrino, università La Sapienza- Sportello Sanitario “Le ambulanti” csoa Strike
– Collegamento skype con l’assemblea “Diritto alla Resistenza. La Valle non si arresta” di Bussoleno
– Testimonianze di familiari delle vittime del sistema carcerario, tra cui Nerina Marchione e Saveria Carannante
a cura di Blocchi Precari Metropolitani e Osservatorio sulla Repressione
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