Kurdistan: calcio e identità nazionale curda
La Federazione di calcio della Turchia, alla fine del mese scorso, ha comminato una sanzione di 20000 lire turche alla squadra Amedspor per “propaganda ideologica” per i cori “ovunque Cizre, ovunque resistenza” cantati in curva durante la partita del 22 settembre, disputata in casa, con il Karaman Belediyespor. Le difficili relazioni tra la federazione nazionale e la squadra di terza categoria hanno radici profonde e la multa è da considerare l’ultimo esempio di questo rapporto conflittuale. L’Amedspor è, infatti, una delle due squadre che rappresentano nel campionato nazionale la città di Diyarbakir, capitale non riconosciuta da Ankara del Kurdistan turco. Dopo anni con il nome Diyarbakır Büyükşehir Belediyespor, nell’ottobre del 2014, il direttivo del club decise di valorizzare le radici curde della squadra, sostituendo il nome turco della città, Diyarbakir, con quello curdo, Amed. Il solco tra le due parti venne approfondito ulteriormente dalla scelta del congresso direttivo di cambiare, contestualmente al nome, anche i colori societari, optando per giallo, rosso e verde, colori nazionali curdi.
La portata storica di questo evento deriva, oltre che dal contesto attuale, dalle norme turche in merito alla minoranze. Il curdo non è lingua riconosciuta in Turchia e l’esposizione di bandiere curde e dei colori nazionali è considerata una minaccia all’integrità nazionale turca e, di conseguenza, fortemente condannata. La notizia ha fatto, dunque, grande scalpore nel mondo calcistico turco portando ad un’aspra diatriba legale tra il club e la federazione. Nonostante le forti pressioni provenienti da Ankara, la società ha, però, rifiutato di pagare la sanzione di 10000 lire turche comminata per l’azione e, infine, la federazione calcistica turca ha riconosciuto la nuova denominazione. A partire dalla metà di agosto, il club può ufficialmente utilizzare il nuovo nome, ma le tensioni non si sono sopite e la sanzione di pochi settimane fa ne è un chiaro esempio.
I dissidi tra federazione nazionale e squadre delle provincie curde non è, però, limitata solo all’Amedspor. Nei mesi passati, soprattutto a seguito del rinnovato interventismo turco contro i militanti curdi, si è assistito, anche all’interno degli stadi, ad una netta presa di posizione di tifosi e giocatori a sostegno della resistenza curda ed alla parallela politica sanzionatoria della federazione. A marzo di quest’anno due giocatrici della squadra femminile dell’Amedspor sono state penalizzate per aver esultato mostrando il segno della vittoria, mentre è di agosto la notizia del deferimento alla commissione disciplinare della Batman Petrolspor, squadra di terza categoria della città curda di Batman. Durante la partita di inaugurazione del campionato, sul campo da gioco sarebbero state liberate delle colombe bianche, a simboleggiare la volontà di pace di fronte ad un incremento delle violenze nel Paese, ma la federazione avrebbe evidenziato la mancanza di autorizzazione per il gesto e la valenza politica dello stesso.
Una trattazione a parte merita, invece, la realtà di Cizre, città della provincia di Sirnak divenuta famosa nelle ultime settimane per gli scontri tra abitanti e militari turchi e per l’assedio della città ad opera dell’esercito turco. La cittadina curda, in numerose occasioni teatro di un aperto conflitto politico e militare con il Governo di Ankara, ha costituito un caso anche dal punto di vista calcistico. I tifosi del Cizrespor hanno identificato lo stadio come uno dei terreni di conflitto e, oltre a numerosi notizie di scontri con tifoserie avversarie provenienti da città turche, è esemplificativo che a dicembre 2014, per paura di disordini, lo stadio sia stato chiuso ai tifosi locali e che, questi ultimi, abbiamo seguito la partita dalla cima di un palazzo per poi scontrarsi con la polizia all’uscita dello stadio. Ad oggi, dato il coprifuoco e la condizione di guerra in cui vive la città, la squadra è obbligata a giocare in trasferta ogni partita, inizialmente a Diyarbakir ed ora a Sanliurfa (350km da Cizre).
Parallelamente, dopo aver assunto un ruolo di primo piano come antagonisti delle politiche governative durante le proteste di Gezi Park, anche alcuni gruppi ultras turchi si sarebbero schierati a favore dei curdi. Se, subito dopo il massacro di Suruc, i gruppi ultras di Fenerbache (Genc Fenerliner), Galatasary (UltrAslan) e Besiktas (Carsi), hanno redatto un comunicato comune in cui si condannava la violenza avvenuta nella cittadina curda, già nei mesi precedenti, i tifosi del Galatasary avevano dichiarato la loro vicinanza al popolo curdo. A dicembre 2014, durante una partita con l’Amedspor, i tifosi del club di Istanbul avevano esposto uno striscione che recitava “Vi amiamo, amiamo colui che vi ama più di tutti”. Il riferimento era ad Abdullah Ocalan, padre spirituale del popolo curdo e, in base a sue passate dichiarazioni, tifoso del Galatasary. Venne, inoltre, fischiato l’inno nazionale turco che apre ogni partita del campionato nazionale.
La questione dell’inno, in questo senso, non è problematica minore. Se, all’inizio degli anni ’90, la diffusione della passione calcistica nelle provincie curde venne promossa dallo stesso Stato turco per canalizzare parte del malcontento della popolazione, il fallimento del progetto portò ad un rafforzamento del controllo di Ankara sul mondo del calcio. In questo senso, l’inno nazionale all’inizio di ogni manifestazione sportiva (e non solo) sarebbe stato previsto in una logica di consolidamento dell’identità e della coesione della Grande Turchia in contrapposizione alle spinte di autonomia provenienti dalle minoranze in generale e dal popolo curdo in particolare.
Ad oggi, la questione calcistica, per quanto sembri di secondo piano rispetto agli eventi che stanno attraversando l’area, potrebbe essere, quindi, utilizzata come lente interpretativa per leggere le politiche messe in atto dallo Stato turco in Kurdistan e provare a comprendere meglio le reazioni messe in campo dalla popolazione curda nel suo complesso.
da: Nena-News.it
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