Mantova, quando un sorpasso vale un pestaggio
Un sorpasso ad un’auto sbagliata è costato caro all’autista di un furgone che viaggiava sulla A22, a Mantova. Intimato successivamente a fermarsi, il conducente del furgone è stato aggredito da due individui, successivamente riconosciuti come agenti di polizia, in seguito ad un testimone oculare che ha annotato la targa dell’auto sulla quale viaggiavano. I due poliziotti, di cui uno è Luca Prioli, esponente regionale del sindacato di polizia Coisp, dopo aver picchiato l’uomo e avergli fatto quasi perdere i sensi, lo hanno buttato contro il guardrail per poi andarsene come se niente fosse. A riportare l’accaduto, la vittima della violenza, che ha sporto successivamente denuncia contro ignoti, che proprio “anonimi” non erano: dopo alcune verifiche, attraverso il numero di targa, i poliziotti lombardi sono riusciti a risalire all’auto -che è risultata essere una macchina in servizio- e ai nomi dei due poliziotti a bordo.
Se la vicenda non avesse del drammatico e se non ci fosse un volto tumefatto di mezzo, sfiorerebbe il ridicolo e la comicità, ma così non è. Risulta invece l’ennesimo sfoggio di un potere che si esprime con l’indossare una divisa, ancora più facile nel mostrare la patacca e sentirsi legittimati ad azioni in cui in gioco vi è soltanto una miserabile dimostrazione atta a riaffermare smania di potenza, la supremazia nei confronti dell’altro. Ma il punto è un altro: anche senza divisa addosso, anche senza mostrare il distintivo, l’esercizio del potere non è soltanto autoconcesso e assunto in toto dai singoli individui che appartengono all’apparato di polizia e affini, bensì lo si ritiene in qualche modo “giustificato”, esattamente come sta tentando di fare il segretario del Coisp, attraverso le dichiarazioni che ha rilasciato dopo che la vicenda ha iniziato a circolare nei media nazionali e internazionali. Secondo il segretario, la sua era una “missione segreta”, come se bastasse a fornire una motivazione valida per l’abuso di potere perpetrato e al contempo non fornire pubblicamente spiegazioni sulle sue azioni. E come se non bastasse, emblematiche sono le parole minacciose che lo stesso Prioli rivolge ai suoi colleghi che sono risaliti a lui: “Chi mi ha citato in relazione a questa vicenda pagherà duramente perché io sono in una missione delicata e nessuno doveva dire dove mi trovavo”. Per il sindacalista del Coisp, è ovvio che il problema è un altro e non il “diverbio” -come si è affrettato a definire.
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