Muore Manganelli, mentore del servilismo
Prima come vice di De Gennaro a partire dal 2001 e poi come capo della Pubblica Sicurezza dal 2007, Manganelli ha presieduto alle sue funzioni durante molte tra le vicende più infami e vergognose che hanno visto coinvolte le forze dell’ordine italiane in questi anni.
Una lunga lista apertasi proprio nel 2001 con la mattanza del G8 di Genova e di Bolzaneto, per la quale solo pochi mesi fa – a più di dieci anni di distanza dai fatti e messo di fronte alle condanne per alcuni degli agenti coinvolti – ha pronunciato a fatica parole di scusa per un capitolo che nel ricordo di molti brucia ancora di rabbia. Scuse che una volta di più hanno tentato di minimizzare quanto accadde a Genova, rispolverando la sempreverde litania dei pochi errori isolati dentro un corpo di polizia integerrimo e dedito alla ‘difesa della democrazia’. Scuse che però – oggi – su tutti i media mainstream gli valgono l’appellativo del ‘poliziotto a cui piaceva sorridere’, del ‘capo della polizia che sapeva chiedere scusa’ e altre espressioni simili pronte ad assolverlo come il buon servitore dello Stato.
Chi fosse Manganelli non ce lo dicono solo le tante vicende dal G8 di Genova ad oggi ma anche, ad esempio, la scelta di mettere Oscar Fioriolli – noto stupratore e torturatore di Stato – a capo della Scuola di formazione per la Tutela dell’ordine pubblico istituita nel 2008 proprio con l’intento di formare agenti in grado di affrontare situazioni di conflittualità quali cortei e manifestazioni.
Non si tratta certo di stupirsi di fronte alle rappresentazioni e agli ossequi che rimbalzano oggi sul mainstream (semmai di tapparsi un po’ le orecchie di fronte al coro di indigeribili dichiarazioni di cordoglio che da Vendola a Ingroia saremo costretti a sorbirci ancora per qualche ora) ma un rapido sguardo ai commenti che si susseguono invece ad esempio sui social network intaccano in fretta queste rappresentazioni, a dimostrazione di come l’avversione per la sua figura e per le forze dell’ordine in questo paese sia invece piuttosto diffusa.
Tuttavia, non saranno certo le parole dei vari politicanti di turno o della stampa mainstream a cancellare i pestaggi, gli abusi di potere e le ritorsioni perpetrate, cercando di redimere chi di questi atti è stato complice e responsabile, per dare un’immagine di un corpo – quello della polizia – sano. La realtà dei fatti, e gli avvenimenti ce lo dimostrano, è che ci troviamo di fronte ad un’istituzione malata sin nelle sue piccole arterie e alcuni dei suoi responsabili hanno dei nomi e cognomi facilmente individuabili.
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