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#NoExpo: cosa rischiano i 5 studenti greci

L’ordinanza di arresto relativa ai fatti del corteo NoExpo del 1 maggio a Milano è stata notificata giovedì 12 novembre. Riguarda dieci ragazzi, cinque italiani e cinque greci. In Italia è stata eseguita per quattro persone, un’altra è attualmente ricercata. I cinque ragazzi greci fanno parte di un gruppo che il 2 maggio è stato fermato fuori da una casa occupata, nelle vicinanze di un supermercato, e portato in questura. In quell’occasione, sono stato chiamato e mi sono recato in questura. I ragazzi erano stati sottoposti a rilievi foto-dattiloscopici, cioè gli avevano preso le impronte digitali e li avevano fotografati. Inoltre, avevano subito anche un prelievo del DNA.

Nel corso di questi mesi c’è stata un’indagine sui fatti avvenuti il primo maggio. All’interno di questa indagine sono stati realizzati degli arresti quasi subito: quattro persone durante la stessa giornata di mobilitazione, accusate del reato di resistenza per episodi specifici accaduti alla fine della manifestazione, quando il corteo si era sciolto; un altro ragazzo venti giorni dopo, a seguito di un’ordinanza per il pestaggio di un poliziotto, un vicequestore.

Nel frattempo l’indagine è proseguita per sei mesi. Hanno atteso la fine di Expo per notificare questo provvedimento. Hanno individuato attraverso immagini e filmati, girati principalmente dalla polizia scientifica e in parte reperiti tramite i mezzi d’informazione, alcune delle persone che, secondo l’ipotesi dell’accusa, avrebbero partecipato in qualche modo ai fatti.

Contestano tre ipotesi di reato: la prima è quella di resistenza, che viene considerata “aggravata” per il numero delle persone (se la resistenza è commessa da più di 10 persone il reato è aggravato) e per l’utilizzo di armi improprie (bottiglie, pietre, si parla anche di qualche molotov). La seconda è il travisamento: ossia le persone individuate hanno partecipato alla manifestazione coprendosi il volto con passamontagna, cappelli e bavagli, cercando di non farsi riconoscere. La terza è quella più grave: devastazione e saccheggio.

L’articolo 419 del codice penale, “Devastazione e saccheggio” dispone che: “Chiunque commette fatti di devastazione o saccheggio è punito con la reclusione da otto a quindici anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso su armi, munizioni o viveri esistenti in luogo di vendita o di deposito”. Si tratta di un reato contro l’ordine pubblico introdotto originariamente in Italia sotto il regime fascista dal famigerato Codice Rocco del 1930 (un codice che è tuttora vigente in moltissime delle sue parti). Ai tempi della dittatura prevedeva addirittura la pena di morte. Utilizzato in alcuni casi nei moti di piazza degli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale è sparito per molti anni dal panorama della giurisprudenza italiana. Nemmeno durante i duri scontri degli anni ’70 questo reato veniva contesto. È ricomparso, invece, alla fine degli anni ’90. In particolare viene sdoganato nel 2001, con i processi per i fatti relativi al G8 di Genova. Per gli scontri di quei giorni, cinque persone sono state condannate a pene tra i sei e i quindici anni di carcere. Altre cinque hanno strappato un appello all’ultimo grado di giudizio )verranno condannati, ma il giudice deve stabilire l’entità dell’attenuante per “aver agito in suggestione della folla in tumulto”).

Che cos’è dunque la devastazione e saccheggio, in questo caso specifico la “devastazione” essendo queste due ipotesi di reato diverse e connesse: in sostanza è un’ipotesi speciale di danneggiamento. La devastazione è quando ci sono dei danneggiamenti plurimi, molteplici che avvengono in un unico contesto temporale, e questi episodi di danneggiamento ripetuti comportano un problema di ordine pubblico.

Dopo il G8 di Genova, c’è stata una serie di procedimenti penali e uno di questi è stato proprio relativo al reato di devastazione e saccheggio per vari episodi che si sono verificati durante la manifestazione, soprattutto in merito all’attacco al carcere di Marassi e in quell’occasione ci sono state delle condanne per devastazione e saccheggio anche molto elevate. Alcuni ragazzi di Milano, come Marina Cugnaschi per esempio, che ormai è in carcere da tre anni e che ha avuto una condanna a 11 anni e mezzo di carcere. Dopo il G8, l’articolo 419 è poi stato utilizzato in maniera sempre più diffusa, sempre rispetto ad episodi di scontri di piazza. Una volta per un corteo antifascista avvenuto a Milano l’11 marzo del 2006. In questo caso diversi ragazzi [16, ndr] sono stati condannati per devastazione e saccheggio a quattro anni, grazie ad alcune attenuanti e al ricorso al rito abbreviato, che permette di avere degli sconti di pena. Sempre devastazione e saccheggio è il reato utilizzato contro alcuni manifestanti per un episodio accaduto il 15 ottobre del 2011 a Roma, dove c’era stata una grossa manifestazione finita con scontri. Ancora più recentemente è l’utilizzo di tale reato da parte della procura di Cremona per una manifestazione seguita a un’aggressione da parte dei fascisti di CasaPound. Per ultimo, sono stati accusati di devastazione e saccheggio anche i manifestanti del primo maggio.

Inoltre, nel corso degli anni, questo reato è stato utilizzato anche contro gli ultras, per scontri dentro e fuori gli stadi in occasioni di partite di calcio.

Da quanto ho capito, quest’ipotesi delittuosa non è specificamente prevista nel codice penale greco. È per questo che da lì non si capisce bene cosa stia succedendo in Italia. Purtroppo in Italia, invece, questo tipo di accusa ha trovato abbastanza spazio.

È un’ipotesi di reato che ovviamente prevede la custodia cautelare in carcere. In questo caso, il pubblico ministero ha chiesto tale misura ai primi di novembre e il giudice l’ha accolta il nove dello stesso mese.

Nel primo dopoguerra, questo reato fu contestato per punire chi partecipò alle rivolte scoppiate in seguito all’attentato al segretario del partito comunista italiano, Palmiro Togliatti, per poi scomparite quasi completamente fino al 1998, quando viene rispolverato ad hoc per punire chi prese parte al corteo di oltre 10000 persone del 4 aprile a Torino, durante in quale si verificò una sassaiola contro il palazzo di giustizia, a seguito della controversa morte in carcere dell’anarchico e attivista contro il TAV in Val Susa, Edoardo “Baleno” Massari. Ancora a Torino, poi, nel 2005 in una situazione molto simile a quella verificatasi solo l’anno scorso a Cremona.

Sia gli italiani che i greci sono stati individuati con i filmati. Dai video, in maniera totalmente generica, si vedono queste persone in un primo momento senza il travisamento. Successivamente, nel corso della manifestazione, vengono individuate tramite i particolari dei loro indumenti e riconosciute come autori di atti delittuosi, per lo più di resistenza, nei confronti delle forze dell’ordine e, in alcuni casi, anche di danneggiamenti. Comunque, a prescindere da questa considerazione, anche quelli che vengono individuati a commettere soltanto atti di resistenza vengono accusati del reato di devastazione e saccheggio, perché con il loro comportamento di opposizione violenta alle forze dell’ordine hanno comunque svolto un ruolo “in concorso”, anche morale, e hanno quindi agevolato e permesso che alcune persone distruggessero gli arredi urbani, le macchine, le vetrine delle banche, incendiassero dei negozi. Per questo rispondono tutti anche del reato di devastazione e saccheggio. Questo è in sintesi quello che è contenuto nell’ordinanza. Quindi l’unico atto di indagine compiuto dai funzionari della polizia giudiziaria e dalla DIGOS [“polizia investigativa e addetta alle operazioni speciali”, ndr] è quello del riconoscimento fotografico. Non ci sono altri elementi, non sono stati individuati attraverso l’esame del DNA, ma semplicemente con il riconoscimento fotografico attraverso i filmati. Questa è la situazione.

Chiaramente adesso si è creata una forte discrepanza tra la misura che ha scelto di applicare il giudice italiano, cioè la custodia in carcere, e quella disposta al momento dal giudice greco. Anche se non so esattamente quali sono i dettagli della misura che quest’ultimo ha deciso di applicare ai ragazzi greci in attesa del procedimento di mandato di arresto europeo, quindi in attesa di procedere o meno all’estradizione. Non conosco bene il meccanismo greco, ma immagino sia stata fissata un’udienza perché si decida su questa estradizione. Al momento sono in attesa che l’avvocato greco mi invii gli incartamenti in base ai quali i ragazzi sono stati sottoposti venerdì 13 novembre a questo obbligo di firma di tre volte a settimana.

Per quanto riguarda i ragazzi arrestati qui in Italia, quello che faremo è impugnare il provvedimento davanti al Tribunale delle libertà, che è il tribunale di secondo grado che deve decidere se questa misura applicata in attesa di andare a processo è giusta, si fonda su elementi giudiziari sufficienti e soprattutto se è adeguata e proporzionata al caso concreto. Questo avverrà all’incirca nelle prossime due settimane, al massimo tra 20 giorni, quando questo tribunale – che è un diverso da quello che ha applicato la misura ed è un organismo collegiale formato da tre giudici – si esprimerà nello specifico dell’applicazione della misura. C’è da dire che in Italia la custodia cautelare in carcere, rispetto a queste ipotesi di reato viene concessa molto facilmente. Nonostante effettivamente in questo caso sia piuttosto ingiustificata. Infatti, il giudice dovrebbe disporre la custodia in carcere per scongiurare il pericolo di reiterazione del reato, cioè per evitare che questi ragazzi, se lasciati in libertà, possano nuovamente partecipare a delle manifestazioni e commettere episodi simili. Questo giudizio, però, è totalmente astratto, non legato alle circostanze concrete. Dal primo maggio ad oggi, infatti, non ci sono state altre manifestazioni di questo tipo e i ragazzi non hanno commesso ulteriori reati. Quindi questa misura non trova giustificazione. Tutti questi sono gli argomenti che porteremo davanti al tribunale che dovrà decidere della misura cautelare. Ma non è detto che ci dia ragione. Anzi, sarà molto difficile che vengano scarcerati o che venga applicata una misura diversa, come quella ad esempio degli arresti domiciliari, una misura che non so esista anche in Grecia. Diciamo che gli italiani, nel migliore dei casi, andranno ai domiciliari. Ma non è facile. Tra l’altro, due di queste persone non avevano mai avuto procedimenti penali di alcun tipo e tutti e quattro non erano mai stati in carcere.

Per quanto riguarda i greci, invece, se il giudice greco dovesse dare l’ok all’estradizione in Italia verrebbero anche loro sottoposti alla misura cautelare della custodia in carcere. Inoltre, per loro sarà più difficile, eventualmente, ottenere anche in futuro i domiciliari: perché dovrebbero indicare un domicilio idoneo in Italia e questo è molto difficile, a meno che non trovino in Italia delle persone che possono accoglierli. Ovviamente per uno straniero è più difficile ottenere arresti domiciliari. Al contrario, qualora il giudice greco non dovesse concedere l’estradizione, i ragazzi rimarrebbero in Grecia, con le misure restrittive che hanno adesso e senza andare in carcere in attesa del processo. Al momento non è possibile sapere con chiarezza se verranno estradati o meno, anche perché il mandato d’arresto europeo è una cosa piuttosto nuova, esiste da qualche anno, ma non ha avuto grandissima applicazione ed in genere viene utilizzato per casi più gravi. In effetti, questa è la prima volta che si ricorre al mandato d’arresto europeo per reati “di piazza”.

 

Intervista a cura della redazione di AteneCalling.org

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