Ritratto del rivoluzionario da giovane
Nelle sale dal 5 aprile, regia di Raoul Peck, Il giovane Karl Marx, biografia politico-intellettuale in immagini del rivoluzionario e filosofo tedesco.
Prima sequenza: il film apre su una foresta vergine. Dopo qualche inquadratura emergono mani, quindi corpi e volti di umani che raccolgono legna. L’inquadratura della mano che afferra il legno sembra filmare l’alba della specie ma è invero l’alba della modernità capitalistica. La voce off declamastralci di uno dei primi testi pubblicati dal giovane Marx, quello sulla legge contro i furti di legna. Sono i primi passi della critica al diritto borghese.
-stacco-
Seconda sequenza: sono inquadrati i tetti fumosi di una modernissima (per l’epoca, siamo a metà ‘800) città industriale. Una panoramica a scendere mostra il mondo brulicante che si muove sotto questi tetti: l’odierno proletariato industriale. Prende quindi corpo l’azione propriamente detta: le macchine sono ferme, è in corso uno sciopero perché un’operaia si è infortunata sul lavoro. Di fronte ai primi segnali di insorgenza collettiva il padrone divide e punisce. La rivolta è domata, per questa volta…
Decisamente, il nuovo film di Raoul Peck (regista afro-caraibico prolifico, di cui si ricorda il documentario/saggio politico sullo scrittore afro-americano James Baldwin “I’m not your Negro”) non è un biopic come gli altri. Le prime battute non sono finalizzate a presentare i personaggi di una storia, e in fondo neanche il contesto di questa ma due momenti idealtipici della lotta di classe. 1) la recinzione dei commons e 2) l’affermarsi del modo di produzione capitalistico nella forma storica concreta del grande stabilimento manchesteriano.
Fedele al testo marxiano – ed engelsiano – la scansione suggerisce già un’interpretazione storica e politica circa le possibilità della rivoluzione a venire: nel mondo pre-capitalistico i dominati hanno scarsa possibilità di vittoria sui loro oppressori; nella società capitalistica e industriale, benché sottomessi alle peggiori condizioni di lavoro e di vita, essi si trovano nel cuore del processo produttivo e possono metterlo in scacco col rifiuto.
Come affermato dal regista in un’intervista – e come emerge bene lungo il film – se l’accento è messo fin dal titolo sulla figura storica, intellettuale e politica di Marx, la traduzione politica nascerà dall’incontro con l’insofferente figlio della trionfale borghesia industriale Friedrich Engels. Se la grandezza e il rigore filosofici sono tutti di Marx, l’apporto di conoscenza materiale sulle condizioni di vita della classe lavoratrice verrà da Engels. Marx porta il metodo, Engels la conoscenza materiale dei due poli in cui la società è divisa: la grande borghesia industriale e il proletariato che gli si contrappone. Marx è la filosofia, Engels l’inchiesta. Nonostante il titolo si focalizzi sul Moro di Treviri, la figura di Engels è altrettanto centrale: scelta narrativa importante, che sottrae la figura dell’autore di libri importanti come la La situazione della classe operaia in Inghilterra o il più tardo L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato al dimenticatoio a cui l’ha consegnata una certa lettura contemporanea. Dove l’importante non è tanto ridare a Engels quel che è di Engels quanto evidenziare la potenza di un incontro, e dei tanti altri che nel film sono rievocati.
Incontri… e scontri! La storia delle origini del movimento comunista è anche una storia di divisioni, lacerazioni e dipartite. Una delle sequenze più riuscite del film è quella in cui viene raccontata la rottura tra Marx, Engels e i loro accoliti con la vecchia guardia della Lega dei Giusti, da loro ribattezzata, con un deciso colpo di mano, Lega dei Comunisti. La maestria e semplicità con cui la vicenda è messa in immagini non può non colpire chiunque abbia avuto la fortuna di partecipare a un movimento o a una lotta di una qualche importanza, prendendovi parte. In poche inquadrature Peck mostra la tensione che attraversa l’auditorio, le occhiate di intesa tra chi vuole cambiare un agire ripetitivo e accelerare i processi, i fischi di scherno e le grida di sostegno. La messa in scena assume qui un tocco brechtiano. Lo spettatore è fin dall’inizio identificato con gli eroi del racconto ma è interpellato come spettatore del dibattito, accanto ai partecipanti all’assemblea. Un portavoce della vecchia guardia s’inalbera e grida allo scandalo “è un colpo di stato!” ma i giovani rivoluzionari hanno la meglio e consegnano al passato l’agire inefficace degli socialisti utopisti. Inizia una storia nuova a partire da una rottura originaria e da un testo che darà voce alle nuove istanze, il Manifesto del Partito comunista.
Tutto il film si concentra in maniera esplicita sui momenti in cui si producono rotture e nuovi sviluppi. Sullo sfondo dei tumultuosi anni ’40 del XIX secolo – che sbocceranno di lì a poco nel ’48 europeo (il film ci ricorda che i moti esploderanno esattamente un mese dopo la pubblicazione del Manifesto) – seguiamo tutte le peripezie critiche del giovane Marx: contro i giovani hegeliani fermi alla critica-critica, contro il Proudhon filosofo della miseria, contro una Lega dei giusti che crede ancora, imperdonabile ingenuità, che tutti gli uomini siano fratelli. Il Marx qui ritratto è un Marx lontano dal monumentalismo in cui una certa storia l’ha imbalsamato. Il racconto di Peck ci mostra i primi passi di un giovane inquieto, iper-moderno, poco rispettoso dell’autorità (fosse anche quella dei padri nobili del movimento), che critica le certezze acquisite e le teorie astratte.
Una cura particolare è dedicata alla fisionomia dei personaggi, coi loro vezzi, tice particolarità linguistiche (il film è più apprezzabile in lingua originale, perché restituisce la ricchezza degli accenti e la dimensione autenticamente cosmopolita dei rivoluzionari dell’epoca). La rappresentazione di Proudhon, ad esempio, è estrememante efficace, e non solo perché molto vicina alle raffigurazioni che ci sono state tramandate (in un’inquadratura osserviamo perfino il pittore Courbet – quello che verrà condannato per aver istigato il popolo insorto della Comune a tirare giù la Colonna Vendôme – farne il ritratto in diretta), quanto per i modi provinciali e la retorica populisteggiante. Molte inquadrature del film mostrano lo sguardo perplesso e freddo del giovane Marx osservare con distacco e ironia le pompose retoriche dei suoi compagni di strada da cui è in procinto di separarsi. È il giudizio inappellabile del comunismo giovane, (“scientifico”, come verrà poi ricordato, ma sarebbe forse più opportuno ridefinirlo oggi come politico), sullo stagionato momento utopistico e umanitario delle origini.
Tutto il film può anche essere guardato come un preciso e ricco saggio di storia e cultura visuale: se a una prima impressione, superficiale, può sembrare non molto diverso dai tanti biopic e film storici che affollano con regolarità gli schermi, la differenza e qui nel dettaglio e nella varietà delle fonti da cui la messa in immagine attinge: la pittura realista (non solo Courbet ma anche certi paesaggisti del nord, come nella finale discussione tra i due protagonisti); la nascente fotografia che in quegli anni iniziava a documentare le condizioni di vita del proletariato dei grandi centri urbani (oltre che quelle della borghesia cittadina); la pittura tedesca dei Dürer e dei Brugel (si veda la scena iniziale della caccia aristocratica ai raccoglitori dei legna).
Una nota di merito va anche alla cura della sceneggiatura e dei dialoghi. Se è vero che un film è innanzitutto responsabilità del regista, è anche vero che ci sono contributi che si fanno sentire. In questo caso non si può non citare il contributo ai dialoghi e alla scrittura dramaturgica di Pascal Bonitzer, non solo regista ma sceneggiatore di alcuni dei più importanti registi francesi degli ultimi quarant’anni. Egli è stato soprattutto uno dei più acuti teorici, nel furore degli anni ’70, dei rapporti tortuosi e problematici tra Tecnica e Ideologia, cioè delle determinazioni ideologiche e materiali che presiedono alla messa in scena e alla scrittura filmica. Una consapevolezza politica del e sull’arte cinematografica che in questo film è evidente.
Un ultimo aspetto che merita di essere segnalato per la centralità che ha nel racconto è quello che potremmo definire il lavoro intellettuale come professione (precaria). Molte scene del film sono dedicate a mostrare le difficoltà economiche in cui la famiglia Marx era costretta per le proprie scelte di vita e militanza. Siamo insomma lontani dai biopic che ci raccontano di eroiche gesta della volontà e del pensiero. Vediamo Marx e consorte che tribolano, che rischiano di essere sfrattati, che han poco da mangiare, che rischiano di ammalarsi. Il giovane Marx deve spesso rimandare i lavori teorici che più gli stanno a cuore per guadagnarsi il pane e mantenere la famiglia. (Anche su questo si misura la distanza dagli utopisti). Il processo creativo della scrittura politica è mostrato nelle varie fasi: discussione, scrittura, discussione, ri-scrittura, stampa. Opera collettiva che ruba il sonno della notte e consuma le candele.
L’unica critica che si può fare al film è forse la scelta della sequenza finale, dove il regista gioca la carta sicura del cliché, ma a ben vedere la scelta del cosa mostrare è meno banale di quanto non suggerirebbe il dispositivo stesso. Rimane però soprattutto impressa la penultima sequenza, dove lo sguardo in macchina di bambini e bambine, di uomini e donne incarna il divenire soggetto del proletariato, mentre la voce off scandisce le parole di un incipit familiare e quantomai attuale:
Uno spettro s’aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo.
Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate
in una santa battuta di caccia contro questo spettro:
papa e zar, Metternich e Guizot,
radicali francesi e poliziotti tedeschi.
…
E` ormai tempo che i comunisti espongano apertamente
in faccia a tutto il mondo
il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze,
e che contrappongano alla favola dello spettro del comunismo
un manifesto del partito stesso
…
La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi.
…
L’intera società si va scindendo sempre più in due grandi campi nemici,
in due grandi classi direttamente contrapposte l’una all’altra: borghesia e proletariato.
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