“Sabotage”: passare dall’eco-ansia all’eco-attivismo
Il film “Sabotage”, «How to blow up a pipeline» nella sua versione originale, prende il titolo dall’omonimo libro di Andreas Malm. È nelle sale cinematografiche in Francia quest’estate.
Questa è la storia intricata di vite devastate dai prodotti petrolchimici. Una studentessa in fase terminale di un cancro causato da una raffineria vicino a casa sua. Un’orfana che ha perso la madre durante un’ondata di calore. Un contadino redneck espropriato della sua terra da un oleodotto. Un nativo del Dakota la cui riserva è stata saccheggiata da una trivella. Ma ci sono anche studenti ecologisti, una coppia nichilista, una innamorata… Questo gruppo eterogeneo e improbabile si organizza intorno a un obiettivo comune: far saltare un oleodotto strategico in Texas, per mettere in ginocchio l’industria petrolifera.
Questo film non è la traduzione visiva del libro di Malm, e nemmeno un bel documentario “educativo” di denuncia del riscaldamento globale. Gli appassionati di thriller non si lasceranno scoraggiare: questa è finzione, con suspense, colpi di scena e svolte. L’accumulo di tensione ricorda un film di rapine o un western, e la scelta della macchina da presa a mano rafforza l’aggressività della storia. L’idea è quella di trasmettere un messaggio radicale con una narrazione che segue i codici del thriller.
«Sabotage» non è un volantino: non c’è “più tempo” per quello, dice un’eroina. Gli eroi vogliono “causare danni strutturali” all’industria petrolifera, senza cercare di essere “costruttivi”. Il contrario delle ingiunzioni ad azioni “responsabili” e “non violente” volte a “sensibilizzare l’opinione pubblica”. Qui l’operazione è di vendetta. Una vendetta fredda, ragionata, efficace. I rivoluzionari “si nutrono dell’immagine degli antenati schiavizzati, non dell’ideale dei discendenti emancipati” diceva Walter Benjamin. Qui i personaggi vogliono fare del male a un nemico che ha distrutto il loro mondo; non si proiettano in un futuro radioso.
Il film coglie l’occasione per prendere in giro le azioni a metà: la sinistra dell’università che vuole distribuire volantini, l’associazione ambientalista che intervista spudoratamente l’agricoltore diseredato per impietosire il pubblico con l’immagine della “vittima buona”, le “misure di compensazione” proposte agli indigeni, destinate a dare “ai bianchi una coscienza pulita”… Non serve a nulla andare piano con lo spettatore spiegando che l’industria è il male. Seguiamo i preparativi per i fuochi d’artificio.
«Sabotage» non è un manuale di istruzioni su come costruire bombe, ma offre alcuni discreti consigli. Il personaggio del contadino cristiano ci ricorda che la conoscenza intima del terreno è essenziale per il successo di qualsiasi azione. Il film solleva domande su come reagire all’infiltrazione della polizia. Mostra l’importanza della disciplina e il rischio di assumere droghe durante e prima di un’azione…
Per una volta, il film non ritrae gli attivisti come pazzi pericolosi o ridicoli naif. E a differenza del recente film ZAD della Disney, non è un poliziotto ad essere, come sempre, l’eroe. La banda di sabotatori è umanizzata, spinta da ragioni per agire, anche se manca un’analisi politica che vada oltre le traiettorie individuali.
È sorprendente che un appello all’azione così chiaro sia arrivato nelle sale cinematografiche. Quando il film è uscito negli Stati Uniti, l’FBI ha lanciato l’allarme che “Sabotage” avrebbe potuto ispirare attacchi terroristici contro obiettivi energetici. Eppure il film, uscito negli Stati Uniti ad aprile, “non ha fatto molte onde”, come quasi si lamenta il giovane regista.
Le immagini finali mostrano altri sabotaggi come epilogo. Questo film suggerisce di passare dall’eco-ansia impotente all’azione. E fa quasi venire voglia di affondare uno yacht o di attaccare un impianto chimico. Andate a vederlo finché è ancora nei cinema.
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