Seconda udienza del processo per il 31 Ottobre: la solidarietà è un’arma
Martedì 28 Aprile avrà inizio il processo a seguito dei fatti del 31 ottobre 2013. Udienza che riguarda nello specifico il primo filone di inchiesta ma che coinvolge nel complesso 19 compagni. Un processo che si preannuncia difficile e faticoso, dove la magistratura e l’accusa si concentreranno, come spesso succede, sugli aspetti tecnici e legali degli “atti” commessi da parte degli attivisti decontestualizzandoli completamente dalla fase politica e dal significato vero di quella giornata.
Per questo vogliamo riportare brevemente quelli che, per tutti noi, sono gli elementi dirimenti che non meritano di essere dispersi nei meandri dei tecnicismi legali e delle norme. E soprattutto perché rappresentano le reali questioni, tutt’ora aperte, che i vari soggetti coinvolti quel giorno in piazza hanno avuto la caparbietà di porre alla controparte politica, in maniera pubblica e, non a caso, a viso scoperto.
L’anno politico era cominciato con una giornata di mobilitazione di decine di migliaia di persone, il 19 ottobre. Una giornata importante in grado di esprimere e far convergere differenti istanze, in grado di fondere le rivendicazioni della casa e del reddito con le lotte territoriali e le vertenze lavorative cercando di far emergere le contraddizioni dell’utilizzo dei fondi pubblici e lo spreco di denaro pubblico per le grandi opere e i grandi eventi utili a favorire solamente i profitti delle solite lobby. Ovviamente con l’immancabile bagaglio di tangenti, speculazioni, corruzione e mafia che tutto ciò comporta.
Dal 19 ottobre, tra le tante cose, abbiamo cominciato a urlare a gran voce la necessità di un utilizzo sensato delle risorse pubbliche. Un utilizzo che, di fronte a un processo di impoverimento generalizzato e un difficile accesso a diritti primari quali l’istruzione, la salute, la casa, l’energia elettrica, l’acqua, dovrebbe essere orientato su scelte di salvaguardia e tutela sociale.
Il tema dell’uso del denaro pubblico è stato al centro dell’incontro con l’ex ministro Lupi, che si è svolto il 22 ottobre 2013. In quell’occasione lo stesso responsabile del dicastero Infrastrutture e Trasporti, alla presenza del sindaco Marino e del vicesindaco Nieri oltre che dei movimenti, affermò che le decisioni definitive in merito agli sfratti e alle politiche abitative sarebbero state prese il 31 ottobre nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni. Per questo a distanza di 12 giorni abbiamo ritenuto importante essere presenti con una manifestazione che sostenesse le nostre ragioni. In via della Stamperia, sede della conferenza, sarebbero state prese decisioni rilevanti per il futuro di milioni di persone in emergenza abitativa e di giovani che difficilmente riescono ad accedere al mercato immobiliare o a sostenere un affitto.
In tutta Europa poter manifestare a ridosso dei luoghi dove vengono prese le decisioni è un diritto che viene garantito. A Roma quel giorno, nonostante la richiesta di confronto e di interlocuzione che i vari soggetti in piazza rivendicavano, c’è stata una totale chiusura e impossibilità ad esprimere il proprio dissenso in maniera pubblica, democratica e a ridosso dello spazio decisionale preposto. In quella sede, con il decisivo contributo del dimissionario Lupi, coinvolto nelle intercettazioni della magistratura sulle ipotesi di corruzione nell’affidamento e nella realizzazione delle cosiddette “grandi opere”, sono stati definiti provvedimenti che non hanno minimamente tenuto conto delle rivendicazioni della grandi manifestazioni del 18 e del 19 ottobre. Quel giorno i blindati della polizia, insieme a Digos e carabinieri, per ordine del questore, hanno deciso di sbarrare la strada che avrebbe portato tutti noi davanti al luogo dove si teneva la conferenza. Quello che ne è conseguito è stata la normale reazione di chi urla e si sgola e non viene mai ascoltato, di chi fa proposte politiche e cerca soluzioni e dall’altra parte trova sempre e solo un muro, insomma la reazione di chi crede di vivere in uno stato di diritto, ma gli unici diritti che vede sono quelli che vengono meno e che ci si vede portar via.
Non a caso oggi veniamo processati sulle azioni specifiche, non a caso l’utilizzo della norma cerca di distanziarsi dalle istanze politiche e di assumere un carattere tecnico, nel malcelato tentativo di nascondere le ragioni della piazza e criminalizzarne i comportamenti, il profilo sociale e le scelte di vita.
Il 31 ottobre abbiamo voluto affermare il diritto ad esistere contro un’ipotesi di cancellazione, attraverso provvedimenti come l’articolo 5 del cosiddetto “piano casa”, delle vite precarie di migliaia di persone in emergenza abitativa.
Ci chiediamo, oggi, ad oltre un anno di distanza: chi e cosa difendevano quelle camionette e quegli agenti?
In effetti mentre si chiudevano e “sbarravano” spazi di democrazia da una parte (a Via del Tritone), dall’altra si stava favorendo il “reato” tutelando e tenendo lontano i riflettori da quei personaggi come Lupi, tra l’altro, recentemente coinvolti in un’inchiesta per corruzione. Ma ormai la corruzione rappresenta una costante sistemica, sistematica e normalizzata del nostro bel paese.
Le mobilitazioni del 2013 non sono ovviamente finite il 31 ottobre ma come sempre siamo abituati a fare sono andate avanti senza che da parte delle forze politiche ci sia stato alcun segnale e tentativo di interpretare la rabbia e l’indignazione espressa quel giorno in piazza e nè ci sia stata alcuna volontà di interlocuzione. Mentre, come sempre, il dibattito dei media si è concentrato solo ed unicamente sulle norme violate dai manifestanti. A meno di un mese di distanza, infatti, il 20 novembre le realtà sociali contro la crisi e l’austerity sono tornate in piazza per contestare il vertice Italia-Francia riguardante il Tav nella tratta Torino-Lione, continuando a porre il tema dell’utilizzo delle risorse pubbliche.
Anche in quella occasione il messaggio è stato chiaro e lo è tutt’ora: non esistono spazi di interlocuzione, non esistono luoghi di democrazia, non esistono possibili mediazioni. Oggi, sono sempre di più i processi a carico di attivisti ed attiviste. Stiamo vivendo una stretta repressiva pesante, che vede impegnati i compagni e le compagne di ogni realtà e percorso politico su più campagne per la libertà. Convinti che non esista un processo più importante dell’altro e che sia inutile continuare a moltiplicare le campagne, con la coscienza di non avere la soluzione alla repressione in tasca, tantomeno di poter arrivare a sintesi così facilmente in questo testo, crediamo tutti e tutte che la solidarietà sia un elemento ancora centrale e importante da praticare aldilà delle differenze e in maniera incondizionata.
Blocchi precari Metropolitani, Laboratorio Acrobax, Degage, Coordinamento cittadino di lotta per la casa, Alexis Occupato, ASIA
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