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Al 41 bis e in sciopero della fame da 5 mesi, adesso chiede l’eutanasia

Domenico Porcelli sta portando avanti uno sciopero della fame: dal 28 aprile scorso il detenuto ha smesso di alimentarsi in segno di protesta, perché la misura del regime di 41-bis a lui applicata è stata prorogata.

di Damiano Aliprandi

L’udienza per discutere il reclamo contro il rinnovo del carcere duro fissata per ottobre. È in attesa di giudizio giunto al quinto mese di sciopero della fame. L’avvocata Pintus: “Rischia di morire nella completa indifferenza”. Respinto il differimento pena per motivi di salute.

Sta ancora proseguendo lo sciopero della fame fino a quando non morirà. Nessuno lo sta considerando, nemmeno una mezza visita da parte di qualche autorità politica, come è stato fatto almeno con Cospito. Manderemo una lettera al Presidente Mattarella per capire il motivo per cui nessuno è andato a trovarlo”, così l’avvocata Maria Teresa Pintus spiega la situazione del suo assistito Domenico Porcelli, detenuto in custodia cautelare al 41 bis nel carcere sardo di Bancali. Una situazione al limite, dato che è arrivato al quinto mese dello sciopero della fame.

Non solo. Domenico Porcelli vorrebbe richiedere il suicidio assistito, ovviamente non possibile poiché in Italia è un reato. Questo ricorda molto quando nel 2007 un gruppo di ergastolani ostativi, tra cui Carmelo Musumeci in prima fila, chiese al Presidente della Repubblica di convertire l’ergastolo in pena di morte. Tuttavia, il caso di Porcelli è ancora più difficile poiché è un detenuto al 41 bis per associazione di tipo mafioso. Anche se – e questo è un dettaglio non da poco – non è stato ancora condannato definitivamente. Motivo per cui, tramite i suoi legali Pintus e Livia Lauria, hanno presentato un reclamo al Tribunale di Sorveglianza di Roma per chiedere l’annullamento del decreto di 41 bis prorogato dal ministro della Giustizia.

Secondo gli avvocati, la giurisprudenza ha sottolineato che ogni provvedimento di proroga deve contenere una motivazione specifica e autonoma sulla persistenza del pericolo per l’ordine e la sicurezza, senza utilizzare formule stereotipate che giustifichino automatismi inammissibili o si basino su giudizi presuntivi. Secondo il reclamo, il decreto impugnato non ha indicato alcun elemento recente che possa dimostrare l’attualità dei collegamenti del detenuto con l’organizzazione criminale, né la sua capacità di mantenere legami associativi all’interno dell’ambiente carcerario.

Il motivo per cui sta conducendo lo sciopero della fame è questo. Il tribunale di Sorveglianza di Roma ha fissato per ottobre l’udienza per discutere il reclamo al 41 bis. La situazione di salute fisica e inevitabilmente anche psichica di Domenico Porcelli è disastrosa. Ormai pesa sui 58 kg, ha la pressione bassissima e battiti cardiaci lentissimi. Sta male, ma nessuno sta prestando attenzione. C’è un silenzio totale da parte delle autorità. Tranne, ovviamente, il Garante Nazionale delle persone private della libertà che a giugno – a seguito della segnalazione dell’avvocata Pintus – ha avuto delle interlocuzioni. Ma, di fatto, è isolato. E rischia di morire, come è accaduto recentemente con altri detenuti in sciopero della fame. Lui, inoltre, è detenuto al 41 bis per reati di mafia e quindi potrebbe benissimo morire nell’indifferenza più totale.

Esattamente un mese fa, il magistrato di sorveglianza di Sassari ha respinto la richiesta – presentata d’ufficio – di differimento della pena per motivi di incompatibilità con il regime carcerario a causa della sua situazione di salute aggravata dallo sciopero della fame. L’ordinanza di rigetto solleva questioni di profonda rilevanza etica. Una delle principali criticità riguarda la valutazione delle condizioni di salute di Domenico Porcelli. Nonostante l’Asl di Sassari abbia fornito dettagli specifici riguardanti le sue condizioni, incluse le difficoltà fisiche e mentali che sta affrontando a causa dello sciopero della fame, il magistrato di sorveglianza sembra non attribuire il giusto peso a tale situazione. Il fatto che il detenuto si stia sottoponendo a uno sciopero della fame da diversi mesi dovrebbe essere motivo sufficiente per una valutazione più compassionevole delle sue condizioni.

Inoltre la decisione di non considerare il rifiuto del detenuto di ricevere consulenza psichiatrica o supporto psicologico è problematica. Le difficoltà mentali di una persona in stato di detenzione possono essere altrettanto rilevanti quanto le condizioni fisiche. Il rifiuto di un detenuto di accettare assistenza psicologica non dovrebbe automaticamente escludere la necessità di valutare il suo stato mentale e le implicazioni a lungo termine delle sue azioni.

La decisione di non concedere il differimento dell’esecuzione della pena sembra riflettere un approccio formale e rigido alla legge, anziché una valutazione più umanitaria e basata sulla considerazione delle circostanze individuali. La giurisprudenza ha affermato ripetutamente che la valutazione delle condizioni di salute di un detenuto deve considerare la sua situazione specifica e l’adeguatezza delle cure disponibili. In questo caso, sembra che il magistrato di sorveglianza si sia invece focalizzato sul suo sciopero della fame come scelta personale.

Rimane il dato oggettivo che Domenico Porcelli non ha alcuna intenzione di smettere. Basterebbe, però, un intervento della politica, magari attraverso un dialogo. E ci si augura anche una presa di coraggio da parte della magistratura competente. Ha senso questa rigidità del 41 bis, tra l’altro nata in un contesto emergenziale quando Totò Riina decise di dichiarare guerra allo Stato? I corleonesi persero, lo Stato vinse, la guerra è finita, ma alcune leggi emergenziali rimangono. Anche nei confronti di chi è ancora in attesa di un giudizio definitivo e non esistono elementi concreti tali da giustificare il rinnovo del regime speciale. Ma ora c’è anche il discorso del diritto alla salute. Anche nei confronti di chi ha scelto una forma di protesta estrema.

da Osservatorio Repressione, originariamente pubblicato su il dubbio

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