Continua l’epidemia di suicidi nel carcere di Torino, rivolta nel Blocco A
Nel giro di due giorni un uomo si è tolto la vita ed un altro ha tentato il suicidio nel carcere Lorusso Cotugno di Torino. Si tratta del quarto caso in un anno. Intanto nel blocco A è scoppiata una rivolta a causa delle condizioni sanitarie in cui vivono i detenuti.
Il carcere continua a mietere vittime: giovedì mattina è stato rinvenuto il corpo di un uomo che si è impiccato alle inferriate della cella nel padiglione C.
Nel frattempo nella serata di giovedì è scoppiata una rivolta all’interno del Blocco A della terza sezione del carcere. I 46 detenuti contestavano la gestione della sanità all’interno del penitenziario e si sono chiusi all’interno bloccando gli ingressi con letti, reti e tutto ciò che trovavano. Intorno alle 12 di venerdì la polizia penitenziaria ha fatto irruzione con un centinaio di agenti in tenuta antisommossa. Gli agenti hanno tagliato le reti con un flessibile e poi hanno usato gli idranti contro i detenuti. Mentre l’irruzione era in corso un altro detenuto ha provato a togliersi la vita impiccandosi alla plafoniera della sua cella, ma è stato notato da un agente che ha dato l’allarme.
Questa è la seconda rivolta nel giro di poco tempo, dopo quella che ha avuto luogo nel carcere minorile Ferrante Aporti. Il carcere minorile di Torino viene descritto da settimane dai media come se fosse alla stregua di un oratorio, ma anche qui regna sovraffollamento, difficoltà sociali e psicologiche che vengono praticamente ignorate.
E’ evidente che quanto sta succedendo non è una semplice statistica, ma è il sintomo delle condizioni di vita all’interno e fuori dalle mura del carcere e del modo in cui la nostra società si relaziona con i comportamenti devianti o con le emersioni di un disagio economico, culturale e sociale che si esprimono nella microcriminalità di vario genere. Il carcere è uno strumento disumano, tanto più in una cronica condizione di sovraffollamento ed annichilimento dei bisogni dei detenuti.
È inquietante come l’ingresso nel sistema carcerario stia diventando sempre più utilizzato al fine di reprimere il dissenso giovanile e l’abuso delle misure cautelari: l’11 maggio scorso, in seguito al corteo in ricordo delle vittime dell’alternanza scuola lavoro, vi sono stati tre arresti in carcere e quattro domiciliari ai danni di ragazzi e ragazze ventenni, vi era chi stava parlando soltanto a un megafono.
Emerge un uso atipico e scellerato degli stessi strumenti legislativi legati al carcere duro che si fa metodo di alienazione e totale annullamento della dignità del detenuto. In queste settimane scioperi della fame si stanno diffondendo per le carceri di tutta Italia contro l’insensato regime del 41 bis che vede coinvolto Alfredo Copsito e in opposizione alle condizioni carcerarie. Allo sciopero in solidarietà con Alfredo, che rifiuta il cibo da 24 giorni, si sono unit* Anna Beniamino, Juan Sorroche e Ivan Alocco.
Ora i sindacati di Polizia Penitenziaria lamentano la mancanza di personale e l’assenza di disposizioni operative, come se un ulteriore incremento della sorveglianza e del controllo potessero essere un rimedio. In realtà si tratta solo della difesa dei loro interessi fatta sulla pelle dei detenuti. Non è tollerabile che questa società continui a nascondere la testa sotto la sabbia, pensando di risolvere ogni suo problema con la reclusione e l’annientamento degli indesiderabili.
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