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Io dal di là del cancello, ai domiciliari, vi porto il messaggio delle “voci dentro”

Il messaggio di Nicoletta Dosio dai domiciliari

Giovedì 8 agosto. I rintocchi del mezzogiorno giungono di lontano sulle ali del vento che in Valle non manca mai, neppure nell’afa pesante della canicola.

Nonostante il brevissimo preavviso, le donne e gli uomini del movimento NO TAV sono venuti a condividere con me questa mezz’ora di solidarietà verso i detenuti nelle carceri e nei CPS di tutt’Italia.

L’iniziativa, partita dalle prigioni, prevede la “battitura”: chi è rinchiuso, batte su inferriate e blindi con i poveri mezzi che la detenzione permette. Condividere la protesta ci sembra giusto, bello e doveroso; per questo motivo, qui davanti a casa mia si è data appuntamento almeno una cinquantina di persone con oggetti da cucina, tamburelli, sonagli e c’è perfino un rudimentale olifante… e a chi non ha portato strumenti basta una pietra da battere sulla cancellata. Tra tutti c’è una dolcissima ragazzina, occhi azzurri e capelli biondi, l’immagine di un futuro che chiede di sapere. La sua presenza ha la grazia e la meraviglia delle prime, importanti esperienze.

Loro sulla strada, io al di là del cancello, reclusa ai domiciliari.

Parte la battitura, rumorosa, un po’ surreale tra tutto questo verde di siepi, alberi e giardini.

Io, nella mia condizione di detenuta sì, ma in una casa ampia e quieta, protetta dai cedri centenari, non posso non ricordare chi soffre il caldo torrido dell’estate in una cella due metri per tre, in edifici fatiscenti e sovraffollati, lontano dagli affetti e sottoposto ad ogni arbitrio fisico e psicologico da parte di guardiani incattiviti per professione e alienazione.

Il non-tempo di quel non-luogo l’ho provato anch’io, quattro anni fa, per tre mesi: pochi, ma sufficienti ad alimentare in me una rabbia che non passa e a rafforzare la tenerezza per le donne recluse nel blocco femminile delle Vallette, mie sorelle per sempre.

Per fedeltà e per affetto batto col mio bastone alle sbarre del cancello e racconto: il sovraffollamento sempre crescente, la desolazione dei rapporti impediti con le famiglie, la nausea della sbobba carceraria, i muri scrostati e i materassi pieni di macchie, le tre docce a funzionamento intermittente per cinquantanove persone, la mancanza di aria e di luce, la rozza prepotenza di certe secondine, il vuoto alienante dei giorni festivi, privi anche dei contatti minimi con l’esterno e le storie personali di miseria, violenze subite, malattia, le rotte insidiose dell’emigrazione e la nostalgia per i propri cari lontani, la preoccupazione per i figli piccoli.

Per molte di loro il carcere è tortura presente e, insieme, unico punto fermo rispetto alla mancanza totale di prospettive rispetto al dopo-carcere.

Leggo pubblicamente la bella lettera che due mie compagne tuttora rinchiuse nel carcere di Torino hanno inviato al mondo fuori, a nome di tutti i detenuti, per denunciare la situazione sempre più insostenibile, così crudelmente insopportabile e alienante da far preferire il suicidio.

L’appello accorato che da quelle pagine è rivolto a chi, eletto nelle istituzioni, dovrebbe far rispettare la Costituzione nata dall’antifascismo e dalla Resistenza stride più che mai rispetto alle leggi manettare varate in questi giorni dal Parlamento italiano: essere poveri, rivendicare uguaglianza e dignità, lottare per la giustizia sociale e ambientale, opporsi concretamente alla follia di un sistema che sta distruggendo ogni prospettiva di futuro, ecco i “reati” contro cui agirà con pugno di ferro il braccio giustiziere della legge.

Contro tanta ingiustizia urge rompere l’indifferenza del “mondo di fuori” straniato dai mass media di regime e congelato nell’“interiorizzazione della sconfitta” che uccide forza e iniziativa.

Le “voci dentro” parlano di noi tutti e ci avvertono che il tempo della delega è scaduto: che non cadano nel silenzio!

Nessuno sarà veramente libero finché ci saranno incatenati.

L’alternativa al carcere esiste ed è la giustizia sociale.

La mezz’ora di “battitura” passa veloce. Ognuno se ne va, ma senza fretta, quasi a malincuore.

Ci rivedremo a mezzogiorno del quindici agosto, quando l’iniziativa si ripeterà in tutte le carceri italiane. La data non è casuale: il Ferragosto in galera è un supplizio che non finisce mai.

Ed ecco il messaggio delle “voci dentro” che Nicoletta Dosio ha condiviso ieri dai suoi domiciliari:

In un clima “rovente, non solo per le temperature, scriviamo questa lettera dalla sezione femminile del carcere di Torino. Siamo due “ragazze” qui recluse e ci facciamo portavoce del pensiero e della necessità di molti altri reclusi. Il detto “stare al fresco” non si addice più a nessuna galera, perché ormai scontiamo le nostre pene stipati, nascosti e dimenticati in questi “magazzini di corpi” che sono polveriere in cui non c’è rispetto, né dignità, né futuro. La misura è colma, anzi stracolma… Quando la bomba esploderà di chi sarà la colpa?

Si soffoca, c’è una pressione insostenibile in tutta la comunità penitenziaria che è costituita da detenuti e detenenti! Ci rivogliamo a tutto il Parlamento: “Disinnescate la bomba”. Non c’è più tempo e c’è una responsabilità politica diffusa in tutto ciò. Non abbiamo più neppure il diritto ad iniziative pacifiche come lo sciopero della fame. Tutto ormai ci mette a rischio di ritorsioni o denunce. Non sappiamo come fare per essere ascoltati. Scriviamo per far arrivare “oltre il muro” la richiesta di misure straordinarie che diano equità e giustizia al sistema penitenziario come liberazione anticipata speciale, amnistia, indulto; non come forma di impunità generalizzata, ma che siano una risposta all’emergenza umanitaria che viviamo. Qui dentro non ci sono i “banditi”, i “mostri”, qui dentro sono ingabbiati per lo più i corpi di coloro che incarnano disagi di ogni tipo.

La realtà è che la dignità umana è un concetto estraneo, così come la risocializzazione. Il sistema giustizia-carcere è fuorilegge. Sostanzialmente incostituzionale, produce altro carcere, rabbia, non imprime legalità, non dà futuro, porta all’alienazione e alla morte. Il potere centrale si nasconde dietro a misure slogan, mentendo apertamente e lasciando tutto nelle mani dei direttori.

Chiediamo ai garanti, specie a quello nazionale, di battersi per i nostri diritti. All’opposizione diciamo fate opposizione. Tutti gli eletti, anche i più “manettari”, devono garantire il loro servizio rispettando la Costituzione. Ci sentiamo di rivolgerci al Presidente Mattarella affinché scuota l’indifferenza dei decisori, del ministro, della politica! In lui riponiamo le nostre ultime speranze. Grazie!

da osservatoriorepressione

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