Pennivendoli a “mano armata”. Sulla mediatizzazione delle motivazioni della Cassazione sul caso Askatasuna
Riprendiamo il comunicato del Centro Sociale Askatasuna.
Passato il Santo Natale, riesplode la canea mediatica contro il centro sociale Askatasuna e il movimento Notav. Questa volta si tocca il fondo con un’operazione di esemplare “monnezza mediatica” che ha l’obiettivo di definire le attività politiche dei collettivi che animano il centro sociale e il movimento di resistenza in Val di Susa, nientepopodimenoché “lotta armata”.
Questo riferimento viene estrapolato dalle motivazioni di rigetto di un ricorso rispetto alle misure cautelari per associazione a delinquere, di cui abbiamo scritto qui, che sono state “rese pubbliche” il 15 dicembre per poi essere utilizzate dai giornali, come una bomba a orologeria, il 26 dicembre. Innanzitutto, vogliamo ricordare ai giornalisti, pronti a scrivere non appena si annusa un fattaccio per criminalizzare Askatasuna, che per svolgere un buon lavoro occorre verificare le notizie e soprattutto comprenderle, altrimenti si rischia di diffondere informazioni false.
Ma entriamo nel merito del delirio giudiziario della Cassazione. Va detto in prima battuta che la Cassazione si esprime in termini di legittimità e non di merito, quindi in sostanza bolla come insufficienti le motivazioni dei difensori nel contrastare l’ordinanza del Tribunale rispetto alle misure cautelari, senza entrare nel merito sulla sussistenza o meno di un’associazione a delinquere all’interno del centro sociale e in Val di Susa. Questo spetta ai giudici del tribunale di primo grado e al processo che ora è in corso, le cui udienze ricominceranno settembre prossimo. Le parole “lotta armata” vengono utilizzate dalla Cassazione in maniera sconsiderata e superficiale, per definire gli scontri con le forze dell’ordine e l’ipotetica finalità dell’associazione, superando di fatto le accuse della Procura e Tribunale stesso, che hanno cassato da subito l’ipotesi sovversiva, senza mai aver fatto riferimento alla lotta armata. Tale argomento non viene mai inserito fra le finalità o le pratiche messe in campo dagli imputati sia nelle intercettazioni sia nelle migliaia di pagine di atti. Il fatto che i giudici della Cassazione facciano un’operazione di questo tipo è grave e lascia trasparire un’abissale ignoranza rispetto alla storia di questo Paese, oltre a un isterismo securitario pronto a vedere un terrorista in chiunque dissenta dall’ordine costituito.
Sarebbero dunque “lotta armata” le migliaia di iniziative di resistenza popolare ai cantieri mortiferi del Tav? Finora chi ha imposto un’opera che nessuno vuole tramite l’uso della forza e attraverso una militarizzazione devastante sono le istituzioni e le mafie del cemento. E seguendo questa logica, sarebbe lotta armata animare lotte sociali nelle città e rifiutare la mercificazione totale dell’esistenza umana? Rimandiamo queste accuse al mittente e ribadiamo che la lotta popolare non è terrorismo ma è lotta per una vita degna e giusta.
In tutta questa vicenda è imbarazzante il ruolo delle redazioni giornalistiche, in fondo riescono ancora a stupirci con il loro servilismo e strumentalità. In questo caso, la “notizia” gonfiata ad hoc per sollecitare un improbabile sensazionalismo mediatico, ripescata dieci giorni dopo il deposito delle motivazioni di una sentenza di rigetto sul sito internet della Cassazione, puzza di velina suggerita dalla Questura torinese. Oltretutto, focalizzandosi su di un aspetto oltremodo marginale nella complessità del processo per associazione a delinquere. Per non parlare della forma e delle modalità in cui la notizia – senza essere verificata – è stata trattata. C’è chi non ci stupisce per il solito atteggiamento servile nei confronti di corso Vinzaglio, come la “giornalista” Irene Famà che, tra le altre cose, di recente ha avuto l’imbarazzante onere di presentare pubblicamente il “Il mondo al contrario” del generale Vannacci, senza sottrarsi da questo compito infame. Ma c’è anche chi ci preoccupa, come tutte le altre redazioni delle maggiori testate giornalistiche che, in una sorta di shitstorm, hanno pubblicato in fotocopia nel giro di pochi minuti l’articolo in maniera congiunta, quasi come se si trattasse di una decisione condivisa a monte per la precisione con la quale è uscita.
Continuiamo a chiederci se esista ancora a Torino qualche giornalista con un minimo di deontologia professionale.. a quanto pare ben pochi perché la maggioranza si è abituata a scodinzolare felicemente alle richieste del potere, ma si sa, difficilmente si morde la mano che porge la ciotola.
Di seguito pubblichiamo il commento a caldo degli avvocati che seguono il processo.
“Si tratta di un provvedimento in materia cautelare ormai superato, sotto il profilo indiziario, dalle prove raccolte nel corso del dibattito prossimo al termine, e, sotto il profilo delle esigenze cautelari, dalle immediate revoche delle misure cautelari operate dal tribunale dopo il deposito del dispositivo della Cassazione. Certamente stupiscono tanto l’estrema laconicità con cui gli ermellini condensano migliaia di pagine di atti d’indagine quanto la superficialità dei media che suggestivamente riportano il cenno alla lotta armata con cui la Cassazione definisce impropriamente gli scontri in cui alcuni degli imputati sono stati coinvolti.”
di seguito gli screenshot del copia incolla della notizia sui giornali:
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