Bardonecchia, la Gendarmerie e noi
La Gendarmerie sconfina in Italia e fa irruzione nei locali dell’associazione Rainbow4Africa. Come successo oggi a Bardonecchia, anche a Ventimiglia la polizia francese si arroga, ormai da molto tempo a questa parte, il diritto di operare in territorio italiano. Il teatro è sempre una stazione ferroviaria. In questo caso, ormai lontano dai riflettori mediatici, lo sconfinamento di sovranità è invece pattuito e persino ben accetto. Nessuna levata di scudi, ma piena accettazione e collaborazione istituzionale.
Ora, le strilla per la lesa sovranità del nostro paese da parte di alcuni esponenti politici non sono quindi molto rilevanti né interessanti. Tuttavia, quello che sì è importante è che le persone si sentano in dovere di incazzarsi con il governo francese. Non bisognerebbe contenere questa tendenza, per quanto embrionale possa essere, e che, peraltro, potrebbe anche essere portatrice di quella tanto agognata convergenza di interessi materiali tra persone italiane e migranti. La Francia, in blocco con la Germania e altri paesi dell’Europa continentale, fa leva sulle ingiuste dissimetrie del Regolamento di Dublino per fermare in Italia le migliaia di migranti che riescono a sbarcare sulle nostre coste. Prima che arrivino “a casa loro”. Stessa sorte per la Grecia e per tutti i territori che costituiscono il limes di questa Brave New Europe, impresa politica multinazionale rigorosamente bianca.
Infatti, moltissime di queste persone emigrate, forse la maggior parte, non vogliono certo restare. Si provi a chiedere. Eppure non possono andarsene, non legalmente perlomeno. E allora si muore travolti dai treni a Ventimiglia o assiderati sulle Alpi in Valsusa, in tragici tentativi di attraversare confini sempre più militarizzati e brutali. Oppure, desolante e deprimente alternativa, si resta imbrigliati nel sistema violentemente disciplinare della cosidetta accoglienza, che sembra fatto apposta per rendere impossibile, con precisione scientifica, evntuali forme di ibridazione con la popolazione italiana. Insomma, trattasi di un mero bacino di forza-lavoro gratuita o a bassissimo costo, da pagare rigorosamente in nero, che non fa che incrementare le tensioni razzisteggianti che caratterizzano le società europee sempre più chiuse e risentite.
La verità è che, quando le frontiere esternalizzate in Libia e in Turchia (della cui esistenza siamo vergognosamente corresponsabili, non dimentichiamo) non tengono, è l’Italia stessa a dover assumere lo scomodo ruolo di carceriere dei migranti. Penso e spero che questo nessuno se lo voglia accollare, se non ovviamente i pochi che hanno qualcosa da guadagnarci sopra. E allora basta con la buona accoglienza, la gestione umanitaria e tutto l’armamentario discorsivo della sinistra governista, quella per cui non bisogna mai rompere ma sempre mediare. È funzionale allo scopo assegnato. Ribadiamolo forte e chiaro: il problema è la frontiera.
L’atteggiamento della Francia è infame e inaccettabile e, per quanto pericoloso possa essere in potenza un simile discorso, evidentemente suscettibile di una possibile, ma non certa, deriva nazionalista, bisognerebbe comunque riuscire a padroneggiarlo. Per risignificarlo in un modo totalmente altro, ovviamente, e affinché possa aprire su situazioni inedite e favorevoli. Si può e si deve, a meno che non ci si accontenti di parlare solamente a se stessi. Dopotutto, quello che si esprime è un concetto giusto, comprensibile e plausibilmente anche maggioritario, forse: “Almeno lasciate che le persone vadano a cercar fortuna dove preferiscono, così come già fanno le migliaia di giovani emigranti italiani.” Ah no, pardon, si dice expats, mica migranti.
I.B.
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