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La zona grigia siamo noi

di Gabriele Del Grande (Fortress Europe)

Guardate queste immagini. È quello che vedono ogni mattina centinaia di persone tra uno sbadiglio e l’altro mentre aprono le persiane delle proprie finestre, oppure la sera fumandosi una sigaretta affacciati al balcone. Un balcone come quello da cui le ho girate, al sesto piano di un palazzo in via Santa Maria Mazzarello, a Torino. Quello che si vede è il centro di identificazione e espulsione (Cie) della città. Dal primo aprile la stampa non può più entrare. Ma non c’era bisogno della censura per imporre il silenzio. Fa molto di più l’indifferenza. Quel sentimento per cui centinaia di comuni cittadini, decidono di voltarsi dall’altra parte. Di non vedere che le finestre di casa propria si affacciano su una grande gabbia di ferro dove decine e decine di uomini e donne sono tenuti in cattività, come animali allo zoo, rei di avere un documento scaduto. Basterebbe guardare con un po’ più di attenzione per vedere tutti i particolari. La distribuzione degli psicofarmaci, gli incendi, l’autolesionismo, i blitz all’alba per portare via di peso i reclusi da espellere, le sommosse, i tentativi di fuga, i pestaggi. Ma la gente preferisce girarsi dall’altra parte. E allora mi viene in mente Primo Levi e la zona grigia de I sommersi e i salvati. La zona grigia siamo noi.

 

La zona grigia è l’Italia degli indifferenti. Il terzo elemento tra vittime e carnefici, che dà corpo agli uni e alle altre. L’Italia che non vuole sapere, che si volta dall’altra parte, che rimane spettatrice senza assumersi le proprie responsabilità. Oggi come allora.

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