Migranti e solidali continuano la lotta contro un’Europa sempre più fortezza
Continua la lotta delle migliaia di persone che stanno cercando di superare i blocchi delle polizie degli stati centrali e meridionali d’Europa, nel loro sforzo di raggiungere le regioni del nord del Vecchio Continente. La novità nel quadro è la decisione della Macedonia, che segue quella di Croazia, Slovenia e Serbia, di chiudere l’accesso al paese per tutti i profughi non in linea con i requisiti di Shenghen. Il blocco agli accessi in riferimento al campo profughi di Gevgelija costringe a rimanere ad Idomeni circa 15.000 migranti che non accennano però a smettere di dare battaglia, con le condizioni di vita nel campo aggravate anche dalla pioggia battente.
La polizia greca è dovuta intervenire con la forza per liberare i binari ferroviari occupati dai migranti al grido di “Aprite i confini!”, ma in tutto il paese ellenico è rivolta contro la Fortezza Europa. Cortei di migranti si sono svolti da Polycastro fino alla frontiera e da Schisto, dove si trova un campo d’accoglienza, verso la capitale Atene.
Nella stessa Atene sono state occupate la sede della UE e piazza Victoria in solidarietà alla lotta migrante; piazza Victoria era stata sgomberata due giorni fa da un intervento poliziesco che era seguito ad una serie di provocazioni di stampo fascista, e ospita ora tanti e tante solidali che al grido di RefugeesWelcome cercano dal basso di contestare le politiche nazionali ed europee.
La polizia greca ha inoltre annunciato l’inizio della operazioni di sgombero del campo di Idomeni, che rischierebbe di diventare una nuova Calais. Tuttora non è chiaro dove saranno portati i migranti lì presenti, considerato il fatto che l’accordo tra UE e Turchia sarà operativo solo se ratificato il prossimo 17 marzo.
Di fatto a livello politico si è messa quindi in campo la chiusura ufficiale della rotta balcanica, accelerata dopo l’accordo capestro strappato dalla Turchia ieri; Turchia che assorbirà centinaia di migliaia di migranti in cambio di altri miliardi di euro dell’UE, di una chiusura di entrambi gli occhi sul suo ruolo nella repressione dei Kurdi e delle libertà civili interne, dell’apertura delle procedure per l’ammissione della Turchia nell’UE.
Quest’ultimo punto è quello che più esemplifica la situazione, visto che l’attacco ai diritti delle persone e l’iper-nazionalismo xenofobo sembrano essere pratiche ormai comuni a tutte le elites politiche europee, le quali contemporaneamente proseguono l’attività bellica in Siria e Libia, rendendo lo slogan “Stop all wars” portato sui cartelli da tanti migranti in queste ore l’unico punto programmatico reale per i movimenti che necessariamente dovranno attivarsi su questo piano su scala transnazionale.
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