Sulla sparatoria di Castelvolturno: se il problema è l’accoglienza
In realtà, stando alle dichiarazioni degli stessi due aggressori, il vigilante si sarebbe avvicinato ai due ragazzi chiedendo se un pacco che stavano trasportando fosse stato rubato e allo scoppio di una lite il figlio sarebbe intervenuto sparando.
La notizia della sparatoria ha comunque scatenato la comprensibile rabbia di decine di altri migranti, che sono scesi in strada per protestare e hanno dato alle fiamme alcune automobili, fronteggiando per diverse ore la polizia che ha poi duramente sedato la rivolta.
Ma, al di là della ricostruzione esatta dei fatti, non c’è bisogno di scomodare grandi opinionisti di fronte alla reazione dei migranti: non è certo un mistero che allo sfruttamento molto spesso si sommino vessazioni e forme di razzismo più o meno strisciante, che a volte, come accaduto ieri, sfociano in aggressioni e violenze vere e proprie.
Nel migliore dei casi (sic) le cronache di oggi parlano di “difficile convivenza” cui sono costretti gli abitanti della zona, mentre il sindaco del paesino coinvolto accusa senza mezzi termini l'”abbandono” del territorio da parte delle forze dell’ordine, liquidando così tutta la questione con l’invocazione di una maggiore militarizzazione del territorio. Ciliegina sulla torta la dichiarazione del ministro dell’Interno Alfano, per il quale l’episodio è occasione per rimarcare ancora una volta la necessità di regolare i flussi migratori: “L’Italia è un Paese accogliente ma certo non può accogliere tutti”.
Non abbiamo letto nessuna dichiarazione di solidarietà ai due ragazzi feriti, nè di condanna del gesto da parte dei politicanti o scribacchini di turno, sempre pronti invece a sollevare un pandemonio ogni qual volta hanno l’opportunità di commentare qualche fatto di cronaca con del becero razzismo. Sviare completamente l’ordine del discorso invocando politiche securitarie vuol dire non solo strumentalizzare la faccenda ma avallare e giustificare implicitamemte il gesto dei due aggressori.
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