Stralci di Inchiesta (19) – Dossier su Airbnb, mercato immobiliare, diritto alla città
Che impatto ha l’azienda americana sulle trasformazioni delle città e delle economie?
Avevamo già affrontato in un’altra puntata di Stralci di Inchiesta i processi di estrazione di valore e di accumulazione originaria condotti da Airbnb nel suo relazionarsi con gli ambienti urbani.
Diverse le domande muovevano la nostra indagine: su cosa fonda il suo successo un portale ormai arci-noto a tutti noi come Airbnb? Qual è la sua retorica, la sua mission? Quali i vantaggi che porta, quali le ricchezza che distribuisce, e soprattutto a chi? Come impatta sulla definizione delle città e dell’industria del turismo?
Proviamo a continuare la nostra riflessione con una serie di considerazioni inframezzate da spezzoni di un’intervista ad un operatore nel settore dell’intermediazione immobiliare bolognese, che oltre a sviluppare i nodi che riguardano la sua professione ragiona anche del ruolo del portale di Brian Chesky. Qui potete trovare il pdf con l’intervista originale.
Retoriche e mission
Airbnb è prima di tutto un brand che valorizza la sua esistenza in un’ottica quasi di soft power, per usare una metafora tratta dal campo delle relazioni internazionali. Utilizza cioè una retorica win-win, dove cioè tutti gli attori che partecipano al giochino dell’affitto hanno un guadagno: il portale con le commissioni, chi mette in affitto che trova un guadagno che prima non aveva, chi affitta che riesce ad avere spesso delle sistemazioni molto più convenienti rispetto al classico hotel.
Airbnb si definisce non soltanto come un portale che realizza dei profitti, bensì come uno che pubblicizza un modo rivoluzionario di intendere il turismo in maniera più umana e sostenibile. Oltre all’enfasi sulle relazioni umane che affittare sul portale innesca superando la freddezza gretta e commerciale dei classici hotel, Airbnb si ammanta anche di retoriche green (affittare case già abitate favorirebbe il risparmio energetico, come risulta dai suoi studi) e antidiscriminazione religiosa e/o razziale.
Inoltre, cerca dove possibile di offrire piccoli regali ai suoi host registrati, come ad esempio il rilevatore di fumo da inserire nelle stanze messe in affitto o i coupon-sconto per chi invita altre persone ad entrare nella rete di Airbnb e diventare host, aumentando cosi la rete e quindi i guadagni del portale.
Il problema è che Airbnb non è in alcun modo responsabile di questo spin-off positivo della classica pratica di locazione: i profitti per chi affitta derivano dalle abilità relazionali di chi lo ospita nel consigliargli il giusto ristorante, nel fargli trovare una bella colazione, nel dargli le giuste indicazioni sui luoghi più belli della città da visitare. Nell’offrire, insomma, un “posto più interessante di un hotel”, come riporta il report annuale sull’attività italiana.
Un meccanismo che mette a valore le relazioni che erano già state intuite da portali come Couchsurfing, che proprio sullo scambio non mediato avevano costruito la loro fortuna, combinando una attitudine un po’ hippie a necessari risparmi monetari. Airbnb ha solo trovato una posizione dominante nel mercato, e la sta sfruttando al meglio, estraendo valore da relazioni sociali che si potrebbero sviluppare anche indipendentemente da esso, accumulando denaro in maniera parassitaria su azioni umane compiute da altri, come del resto fanno altri portali del cosiddetto platform capitalism (Uber per dirne uno) sempre meno da definire di sharing economy dato che ci sono guadagni che divisi non lo sono per nulla.
Il nostro intervistato ben descrive questa dinamica di “creazione di un nuovo mercato” da parte della multinazionale americana, mettendola in relazione con le dinamiche del mercato immobiliare:
“Son cambiate tante cose dopo AirBnb, soprattutto negli affitti ma anche per le vendite. Avendo una potenzialità di guadagno prima inespressa (nel senso che proprio non c’era) i soggetti che investono vedono una potenzialità ulteriore. Ha contribuito a sollevare il numero di compravendite. Chi era riluttante a comprare a fronte del continuativo calo dei prezzi, intuendo la possibilità di mettere a reddito con forme innovative come Bad & Breakfast ecc… sono tornati ad acquistare, a esser più protagonisti mettendo delle cose in moto. Sul settore delle locazioni ha rappresentato un aumento importante. A Bologna c’è stata una contrazione sul numero di immobili importante rispetto alla disponibilità di affitti tradizionali. Una serie di figure con la possibilità di dedicare una percentuale (anche infima) del proprio tempo alla gestione di un BnB l’ha fatto, profilando una rendita molto più alta (credo nell’ordine dell’1 a 5 o dell’1 a 4 rispetto al classico contratto d’affitto 4+4). Un appartamento standard sul mercato ti permette di realizzare 6-700 euro al mese, mentre un appartamento con due camere può realizzare per ciascuna delle due camere potenzialmente 50 euro a notte per ciascuna stanza /quindi potenzialmente 3000 euro al mese). Questo chiaramente influenza in maniera drastica il mercato.”
Airbnb, sostituendosi in maniera forte ai classici operatori di intermediazione immobiliare, sembra anche aver trasformato o iniziato a trasformare la professione stessa, accentuandola in maniera ulteriore in senso iper-competitivo di quanto già non fosse in precedenza. Per una breve descrizione dei volumi di affari e della “ideologia” del lavoratore del settore:
“[..] Siamo comunque in un settore lavorativo che è permeato dai miti dell’affare, dell’uomo che si fa da solo. E’ un mercato in cui i profitti sono potenzilamente enormi. Chiaro, i titolari hanno delle spese di gestione dell’impresa, però un’attività strutturata ha volumi a livello economico davvero notevoli. A livello standard un’agenzia quando opera nelle condizioni migliori preleva circa un 3% del valore compra-venduto da parte dell’acquirente, e una percentuale simile (o un po’ inferiore, dell’1-2%) dal venditore. Il che vuol dire che su un bene venduto di 100 mila euro tendenzialmente un’agenzia va a prelevare 5-6 mila euro. Su oggetti piccoli la percentuale è più alta. Non è che c’è una regola, tutto è demandato alle parti, ma questa è più o meno la media. Non esistono tariffari standard, in quanto “contrario al principio della libera concorrenza”. Comunque sono percentuali importanti, è tutto valore aggiunto. E’ chiaro che un’azienda ha la pubblicità, dei dipendenti, i locali in cui esercita, però per il resto ad esempio molti lavoratori (come me) non hanno nemmeno un fisso mensile se non come avviamento, quindi non hanno gran costi fissi. Anche in un mercato stanco (passato da 860 mila immobili compravenduti nel 2007 a 400 mila nel 2013, oggi siamo ai 500 mila, che probabilmente è la dimensione “naturale” per questo mercato). Il medio del compravenduto è 180-200 mila euro, e su questo si prendono 7-10 mila euro. L’imprenditore, com l’abizione che ogni lavoratore che ha venda un immobile al mese (poi ovviamente varia molto a seconda del modello aziendale… Tipo TempoCasa ha un turnover del 300% annuo, reclutano solo persone sotto i 26 anni, sostanzialmente branchi di ragazzini che vengono presi, messi in un tritacarne a farsi le scarpe a vicenda, mandati in giro nei modi più pressanti con la spinta dell’efficienza… questi diventano dei truffatori in erba… Si spinge quel limite: l’importante è il risultato.[..]”
Un soggetto politico?
Airbnb, a quasi 10 anni dalla sua fondazione, diventato la seconda catena mondiale di hotel dopo il Marriott, sembra sempre di più agire da attore politico vero e proprio, sfruttando la conoscenza delle economie dei paesi in cui opera per ottenerne vantaggio. Se Airbnb non paga le tasse in paesi come l’Italia, è perché sa che è difficile che si sviluppi una causa e un vero confronto tra lei e le istituzioni. Come reagirebbero le migliaia e migliaia di persone che possedendo magari solo la casa dove abitano – per giunta in regime di mutuo – non potessero più beneficiare di condizioni vantaggiose per il suo affitto temporaneo? E come avrebbero reagito negozianti e commercianti che beneficiano dell’indotto derivante dalla maggiore presenza di turisti?
Non a caso prima del referendum del 4 dicembre fu lo stesso Renzi a imporre l’eliminazione della tassa Airbnb poi riproposta nello scorso maggio. Una mossa che non gli fece vincere la consultazione, ma rendeva bene l’idea dell’importanza del reddito da affitto breve per chi è in condizioni economiche non rosee. Inoltre il provvedimento rischiava di scatenare anche problemi a livello istituzionale: se una grande città potrebbe avere qualcosa da obiettare rispetto all’impatto di Airbnb sulla sua industria del turismo, piccoli comuni vedono in Airbnb una possibilità enorme di promuovere l’economia del proprio territorio attraverso un aumento delle proprie strutture ricettive. Basta vedere le nuove politiche di Airbnb per la valorizzazione dei piccoli borghi per farsene un’idea.
La stessa riproposizione del provvedimento che imporrebbe ad Airbnb di agire da sostituto d’imposta, e quindi di raccogliere le tasse da girare poi allo stato, non sembra essere stato accolto con particolare timore dal sito, dato che la sua forza contrattuale si fonda proprio sull’essere catalizzatore di un forte consenso da parte di chi lo utilizza in entrambi i sensi. Alcuni accordi raggiunti tra Airbnb e alcune amministrazioni comunali, su temi come il pagamento delle tasse di soggiorno ai comuni, sembrano piuttosto mostrare un tiro alla fune in corso dove Airbnb non sembra senza dubbio contendente di minore vigore rispetto allo Stato.
Teniamo conto di una cosa: il provvedimento stesso proposto dal governo, per come definito, rischia di diventare anche strumento di selezione di classe nel ripartire i guadagni e i vantaggi. Molti degli affittuari su Airbnb sono infatti persone che mettono a disposizione la propria casa o una stanza di essa a cifre molto concorrenziali, in cambio di un servizio non paragonabile a quello di un hotel vero e proprio.
Se uno affitta a 10 e passerà da spendere in tasse da 2 a 4 si produrrà un effetto di minore utilizzo del portale, che se non attaccherà in maniera decisiva i profitti di Airbnb sicuramente ridurrà le possibilità di poter guadagnare qualcosa da parte di chi ha un altro lavoro o che affitta solo una stanzina a prezzi bassi, espellendo una quota rilevante di host dal mercato. Nelle parole del nostro intervistato:
“Il tessuto urbano è cambiato, nel centro è sempre più difficile che delle persone vadano a vivere in pianta stabile. Finché ci sarà un margine di profitto così importante rispetto a quello della locazione immobiliare c’è da pensare che questo trend continui. Le famiglie vengono espulse dal centro cittadino (a meno che non abbiano la possibilità di acquistare). Ma comunque nell’ottica di un proprietario che o ha la disponibilità di gestione del B&B (che non è scontato, se solo hai un lavoro stabile è difficile) o intuisce la possibilità di farlo diventare un lavoro per tirarne fuori un reddito, o ancora chi magari ha altre occupazioni e lo affida a qualche soggetto aziendale che lo mette a reddito. E’ una tendenza che non è destinata a rallentare, il mercato del centro cittadino dal punto di vista delle locazioni è destinato venir occupato da queste forme di messa a reddito dell’immobile. Dipenderà da quanto rimarrà conveniente farlo.”
Airbnb, le città e il diritto all’abitare
A guadagnare da queste nuove politiche sarà soltanto chi può affittare appartamenti interi o chi può dedicarsi alla cura e alla promozione in maniera totale: chi ne ha più bisogno guadagnerà di meno, e viceversa. Non si risolverà il problema della concorrenza sollevato dagli hotel, che tuttora non capiscono che la forza di Airbnb non è solo il prezzo, ma anche la valorizzazione dell’esperienza. Non a caso è proprio “Esperienze” il nome che Airbnb ha dato ad una nuova opportunità promossa dal sito, quella di affittare/pagare anche appunto delle esperienze (gastronomiche, culturali, trekking etc) oltre alla casa, in una mossa chiaramente rivolta all’ampliare il suo ruolo di intermediazione.
Un passaggio quindi che sembra replicare in maniera opposta una concezione del diritto all’abitare non limitato alla sola casa, ma mirato ad uno sguardo complessivo sulla città e sui suoi flussi, sulla sua cultura..ovviamente mettendolo a valore. Ma anche alterandone i connotati: la possibilità di enormi guadagni offerta da Airbnb induce sempre meno proprietari ad affittare per lunghi periodi, preferendo le locazioni brevi a quelle lunghe effettuate a studenti o famiglie dal reddito neanche necessario a sostenere un mutuo.
Queste fasce sociali sono cosi spinte ad andare nelle zone più periferiche, svuotando contemporaneamente i centri cittadini che diventano vetrine ad appannaggio di negozianti e commercianti, perdendo però contemporaneamente lo spirito che li ha resi vivi e attraenti, musealizzandoli. Oppure, diventando elemento fondamentale da tenere in conto nei ragionamenti di sviluppo del turismo dei vari assessorati, può influenzare lo sviluppo delle opere infrastrutturali e quindi la distribuzione delle risorse nei bilanci, come possiamo vedere in lavori come questo.
In ogni caso Airbnb riesce ad impattare su una delle variabili più importanti da prendere in considerazione per capire come si muovono i flussi economici attraverso gli spazi urbani, e come li ridefiniscono, ovvero il mercato immobiliare. Per il nostro intervistato, esso agisce come un polmone: a fase di contrazione seguono fasi di espansione, che seguono i ritmi della finanza alternandosi in un movimento continuo.
“[..] la percezione della città cambia molto: ci sono zone che vengono definite in maniera diversa da come comunemente lo sono, il mercato immobiliare si configura con caratteristiche diverse da quelle con cui uno è abituato a vivere la città. Uno è privilegiato nel capire quelli che sono, quantomeno a livello statistico, i grandi flussi di capitali – parliamo di un mercato che muove moltissimo, basta pensare a tutto quello che si muove attorno al mercato immobiliare… Quando il mercato immobiliare si muove traina molto altro. Basta pensare a come l’acquisto di una casa condizioni l’intera vita di una persona, basta pensare a un mutuo di trent’anni, a cosa implica in termini di organizzazione della vita. Ci si accorge che con le lenti del mercato immobiliare si ha uno spaccato delle tendenze. Oggi, nel contesto di una timida ripresa rispetto a due anni fa (c’è più vitalità nel numero delle compravendite, di scuro molta di più rispetto agli anni neri 2008-2014, quando si era fermato quasi tutto – penso non sia un caso che la crisi sia in qualche modo partita proprio dal mercato immobiliare). Adesso c’è un vivacità che prima non c’era. Il mercato immobiliare si concentra nei centri nei periodi più lenti, e si espande alle periferie nei momenti più floridi. Le compravendite nei periodi di “crisi” si indirizzano al centro perché è più facile lì trovar soddisfatte le proprie esigenze a un costo minore rispetto a prima. Per quel che ho potuto vedere il mercato immobiliare è come un polmone, e oggi siamo in una fase espansiva: aumentando il numero delle compravendite nei centri si inizia a intuire un aumento dei prezzi che espellono verso le periferie quei soggetti che, rispetto all’aspettativa di una vita in affitto preferiscono impegnarsi con un mutuo e, “”approfittando”” dei tassi – dopo le continue iniezioni nel sistema bancario – molto favorevoli, il denaro costa poco oggi, e scelgono di diventare proprietari. E ora si inizia ad assistere a un’espansione verso mercati più periferici. [..]”
E’ proprio l’intreccio tra finanza, processi di speculazione, ruolo delle amministrazioni locali che definisce il campo di battaglia, come nell’esempio di Bologna:
“[..] chi fa mediazione al 95% intermedia beni di privati su piccola scala. Non si riesce a intuire i grandi trend. Al limite con la grande cantieristica, che talvolta si intercetta, si capiscono più cose. Ma questi sono stati decimati negli ultimi anni. Bisogna adottare una prospettiva diversa. A Bologna, per capirci, assistiamo a fenomeni molto legati al territorio. Prendiamo il centro all’interno delle mura, che ha le sue dinamiche, come secondo esempio la Bolognina, e poi uno storico quartiere residenziale e più ricercato come Murri o la fascia pede-collinare, come San Mamolo. Le dinamiche e gli attori che incidono sono diversi. Il centro è agito da una serie di condizionamenti. In centro agiscono soprattutto i privati piuttosto che i costruttori perché lì non si costruisce più. E’ sempre rimasto vivace come mercato, ed è mosso da esigenze diverse dai quartieri residenziali. E’ di difficile approdo per gli investitori perché ha prezzi alti, e si è mosso a partire dai privati. Ma non riesco a intuire un macro-fenomeno di attori forti: questa vivacità ha corrisposto a una frammentazione del mercato. Dall’altro lato la Bolognina è stata teatro di interventi speculativi massicci. E’ difficile trovare la figura aziendale, sono più magari privati che professionalmente si approcciano al mercato immobiliare mettendo a reddito. Si son sviluppati una serie di fenomeni inoltre che non hanno a che vedere col mercato immobiliare in sé, ma più con l’organizzazione della città. La composizione sociale della Bolognina (come i moltissimi migranti) ha creato le condizioni – a partire dalle politiche che sono state fatte, l’allarme sicurezza diffuso – per una forte svalutazione. Il tutto sommato a una contrazione id mercato che ha fatto calare i prezzi di un 30-40% rispetto al 2007, per dare un’idea delle proporzioni. In territori oggetto di campagne che han creato allarme, si produce ulteriore svalutazione, un mercato ideale per i soggetti speculativi, agli investitori per acquistare.”
Quanto successo negli ultimi anni a Barcellona, in un processo che vedeva confrontarsi un boom negli sfratti, l’emergere di movimenti per il diritto all’abitare, dinamiche di gentrificazione, insorgenza degli operatori del turismo tradizionali, ha fatto emergere come Airbnb stia innescando dinamiche sociali per nulla di basso rilievo, che mettono in discussione l’urbanistica e i flussi umani delle metropoli, ridefinendo gli stessi concetti di centro e periferia.
Da questo possiamo anche argomentare che l’idea di Airbnb come un portale del turismo low cost, favorevole principalmente a host e viaggiatori di posizione sociale bassa o medio-bassa è assolutamente fuorviante: sul sito si trovano ville con piscina come stanze condivise nella periferie più “problematiche”, host che hanno dieci case e host che affittano la propria stanza andando a dormire una notte dalla propria fidanzata. Airbnb guadagna da ognuna di queste transazioni, non incentiva alcun tipo di turismo particolare, se non quello che gli porta guadagno. Cioè tutti…
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