Iglesias – Minatori in rivolta
Dal giugno del ‘19, ovunque, folle esasperate saccheggiano i negozi e impongono ribassi sui generi alimentari, i contadini in molte regioni occupano le terre incolte, si dà l’avvio a una serie di scioperi.
Nel ’20, in pieno biennio rosso, lo sforzo dei sindacati socialisti raggiunge il culmine nel cercare di ottenere decisivi mutamenti tra operai e padronato.
E i sardi, con una predisposizione alla fiera ribellione, non accettano il linguaggio della paura e non consentono a chiunque di comprimere e calpestare i loro diritti.
Avevano mostrato chiare avvisaglie di quella dignitosa insubordinazione quando si erano opposti con determinazione, in occasione della rivolta de Su Connottu e dell’eccidio di Buggerru.
Adesso accade di nuovo
È l’8 maggio, loro, 8 minatori, sono riuniti davanti al palazzo della Sottoprefettura di Iglesias.
Sono pacati e rispettosi, ma sono tanti.
Chiedono la revoca del tesseramento dei generi alimentari. Ovvero di quella limitazione che, a partire dal novembre 1917, disponeva che ogni cittadino avesse diritto a 250 grammi di pane al giorno, 90 di pasta e 40 di riso. Il fabbisogno dell’esercito era infatti prioritario rispetto a quello della popolazione civile.
Loro chiedono, in buona sostanza, migliori condizioni salariali e di vita.
L’ingegner Andrea Binetti decide allora di decurtare parte del salario a un gruppo di operai, individuati tra quelli che hanno partecipato ai comizi. Un’azione dirompente che non insegue il mero risparmio di qualche lira in capo all’azienda ma è volta a ristabilire ruoli, tracciare confini e drenare entusiasmo dagli animi.
La situazione si prepara a degenerare.
La mattina dell’11 maggio, al primo turno delle 6, i minatori non si presentano nei pozzi, né a San Giovanni, né a Campo Pisano. Convogliano tutti a Monteponi, per poi dirigersi compatti verso il palazzo municipale, portando con loro l’ingegner Binetti suo malgrado.
Quando quella folla arriva davanti al municipio è composta da circa duemila persone, un migliaio di minatori e altrettanti manifestanti che si sono uniti a loro durante il tragitto.
E non si aspettano di trovare ad attenderli uno spiegamento di guardie regie che, per impedire la rivolta, sparano prima in aria e poi sulla folla.
Cinque operai abbandonano lì la loro vita, su quella piazza. Altri due, in condizioni gravissime, moriranno l’indomani.
Dopo i funerali, a carico del Comune, si ha una recrudescenza delle proteste affinché quelle sette vite non siano cadute invano. La Federazione dei Minatori presenta una proposta.
Finalmente il 9 dicembre quell’accordo va alla firma.
La memoria è un compito doloroso, perché rende fresca la violenza passata, inclusa la conta dei cadaveri sparsi sul campo, a cui si è dovuti ricorrere per raggiungere l’obiettivo.
Guarda “Iglesias 11 maggio 1920“:
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