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Strage di Tucson: odio e angoscia nell’America profonda

[Notes from the States]

dal nostro corrispondente a New York City

Due giorni dopo la strage che ha fatto sei morti e 14 feriti, tra cui la deputata democratica Gabrielle Giffords, in gravi condizioni dopo essere stata colpita da un proiettile al cranio, i media statunitensi dividono a metà le proprie colonne: 50% dei commenti sulla personalità del presunto assassino e 50% sull’eventuale significato politico dell’accaduto. Questa mattina, alle 11.00 locali, le bandiere sono state collocate a mezz’asta in tutto il paese; se il presidente Obama non ha ancora rivolto un discorso televisivo alla nazione, alcuni suoi consiglieri scommettono che, secondo il cinico copione della politica istituzionale, ciò che è avvenuto produrrà un ritorno di consenso in favore dei democratici (come fu con la strage di Oklahoma City nel 1995, durante il primo mandato Clinton) e rappresenterà un problema per i repubblicani; in particolare, per il leader carismatico del Tea Party, Sarah Palin.

Che c’entra, tuttavia, l’ex candidata alla vice-presidenza per il partito repubblicano con Jared Lee Loughner, il 22enne che ha fatto fuoco 31 volte prima di essere disarmato dalle vittime, mentre cercava di riempire nuovamente il caricatore, ormai attorniato da cadaveri (tra cui una bambina di 9 anni)? Molti hanno parlato dei toni e dei linguaggi infuocati usati contro il governo, e dell’odio antidemocratico che avrebbe infine ispirato la mano dell’assassino. Anche se Sarah Palin non ha rilasciato commenti, i suoi portavoce, così come la maggioranza dei politici repubblicani, hanno respinto ogni accusa: come i media, hanno calcato la mano sulla natura “instabile” (e quindi, a quanto pare, “non politica”) della personalità di Loughner. Pochi mesi fa lo studente era stato espulso dalla sua università per comportamenti estranei al codice, attraverso una lettera in cui gli veniva imposto uno screening psichiatrico nel caso avesse voluto continuare gli studi. Secondo un compagno di classe, Steven Cates, lo studente aveva una grande passione per lo studio, e l’espulsione lo avrebbe terribilmente depresso. Tra le ragioni del provvedimento i comportamenti tenuti durante le lezioni, in cui spesso l’accusato rispondeva ad alta voce in mezzo all’aula alle domande dei professori, magari con frasi considerate non pertinenti o, a detta dei compagni, accompagnandole con strane risate.

Tuttavia, la lista delle caratteristiche che contribuiscono a fare del ragazzo un folle è essa stessa inquietante: “ogni giorno vestiva secondo uno stile diverso”, dice al New York Times un addetto dell’università; “i suoi genitori erano maleducati e scontrosi”, dicono i vicini; “esprimeva idee estremistiche”, dicono i professori. Che si trattasse di uno dei tanti “crazies” che affollano le città statunitensi o di una persona semplicemente fatta a suo modo, creare il mostro non basterà a spiegare il caso, come mostrano anzitutto le dichiarazioni dello sceriffo di Tucson, Clarence W. Dupnik: “La rabbia, l’odio e il fanatismo che si stanno espandendo in questo paese sono ormai scandalosi. E purtroppo l’Arizona è una sorta di capitale di tutto questo. Siamo diventati La Mecca del pregiudizio e del settarismo”. David Fitzsimmons, vignettista dell’Arizona Daily Star, ha dichiarato alla stampa: “Devo dirvi, come operatore dell’informazione che ha raccontato la politica di questo stato in questi anni, che ciò che è accaduto era inevitabile, nella mia prospettiva. La destra in Arizona – e parlo in senso molto ampio – è riuscita con successo ad incendiare con la rabbia e con l’odio l’intero stato”.

Sarah Palin e il Tea Party hanno fatto della retorica antidemocratica il loro strumento politico principale, puntando il dito in particolare contro le minoranze immigrate sudamericane, secondo loro vezzeggiate dai democratici, e contro la riforma sanitaria di Obama, accusata di produrre più tasse per i cittadini; in queste ore viene insistentemente citata dai media una mappa degli USA diffusa di recente proprio dalla Palin, dove tutti i distretti governati dai democratici (compreso quello della Giffords) venivano contrassegnati con dei reticolati. La deputata democratica era stata duramente attaccata, la primavera scorsa, per aver criticato la legge sull’immigrazione varata dall’Arizona nel luglio 2010, che permette alla polizia di identificare per strada i presunti clandestini attraverso i tratti somatici e il colore della pelle, e rende reato a tutti gli effetti l’immigrazione irregolare (ciò che non è nel resto degli USA, ed è invece in Italia; cfr. http://www.infoaut.org/articolo/che-guevara-a-stelle-e-strisce/). Lo scorso marzo, inoltre, il giorno dell’approvazione della riforma sanitaria, ignoti hanno esploso colpi d’arma da fuoco contro gli uffici della deputata nella città, distruggendone le vetrate. Già nell’agosto 2009 la polizia aveva disarmato un uomo che, nascondendo una pistola, partecipava a una protesta contro la deputata democratica (che è stata confermata, anche se con scarso margine, alle elezioni dello scorso 2 novembre).

Questo frequente ricorso alla violenza da parte della popolazione maggiormente orientata in senso tradizionalista, conservatore e repubblicano (una discussione sulla legge anti-immigrazione portò nella stessa zona, qualche mese fa, un uomo ad uccidere a colpi di fucile il vicino di casa sudamericano) non sono tuttavia legate soltanto al Tea Party e alla sua propaganda, come altre  notizie sui “segni di follia” dell’accusato lasciano trapelare. Tra i comportamenti stravaganti, infatti, conoscenti e impiegati dell’università citano non soltanto frasi come “Che ne pensi del colpo di stato che sta attuando il governo?” e ossessivi commenti sul rispetto della costituzione, ma anche osservazioni sull’assenza di valore reale del dollaro, e persino su un uso perverso della grammatica inglese, imposto dalle scuole e dai media. Concetti e discorsi pressoché incomprensibili, almeno se non li si colloca in un contesto ben preciso: l’ideologia delle milizie armate antigovernative presenti nel sud degli Stati Uniti.

In stati dove, come in Arizona, comprare una pistola o un fucile è più o meno semplice come fare il resto della spesa, creare una milizia non è molto più difficile che fondare una squadra di calcio; ed è così che il sud ha da sempre i suoi gruppi armati, invariabilmente di destra, tenuti sotto controllo e censiti dalle indagini dell’FBI, che si ritrovano periodicamente per riunioni ed esercitazioni militari, sulla base di nuovi o antichi giuramenti. Loro compito immaginario è scongiurare i tentativi dei banchieri e degli ebrei del nord di minare la costituzione, i suoi diritti e le sue libertà, o la riduzione della “razza bianca” e dei “protestanti anglosassoni” a una minoranza soggiogata dai neri o dai nuovi arrivati dell’America Latina. Se questi gruppi armati erano decine prima dell’elezione di Obama, sono quasi raddoppiati nei primi mesi del 2010: persino i Marines hanno svolto in un caso esercitazioni nelle foreste, quest’estate, per prepararsi ad eventuali scontri a fuoco. Si tratta di organizzazioni paramilitari dette di “autodifesa” dagli aderenti, pronte a insorgere contro il governo se il presidente nero volesse attentare alla costituzione dei padri, cercando di instaurare un regime socialista espressione dei non bianchi (neri e latinos) e dei non cristiani (ebrei) presenti nel paese.

Sarebbe sbagliato derubricare tale fenomeno a elemento folcloristico, quasi si trattasse dell’hobby pittoresco di qualche vecchietto che rimpiange le sparatorie con gli indiani raccontate da suo nonno. Dietro alla diffusione dell’idea che l’America – o, più precisamente, una certa idea di America – sia in pericolo (o in declino) c’è un vasto consenso popolare, dovuto al fatto che effettivamente, come ogni altro paese, anche gli Stati Uniti cambiano, anzitutto socialmente ed economicamente. Il governo federale (che, non va dimenticato, a suo tempo impose la sua sovranità sconfiggendo gli stati del sud, durante la guerra civile) è visto come un potere settentrionale culturalmente estraneo, e il patriottismo della gente comune è più rivolto all’appartenenza alla “Bible Belt” (la “cintura della Bibbia”, ossia la serie di stati del sud in parte al confine con il Messico, dove la religione cristiana è forte elemento d’identità) che a un potere centrale situato a nord, tra New York e Washington, percepito come moralmente e politicamente corrotto.

Le osservazioni sul dollaro come valuta corrente, espresse dall’attentatore di Tucson ai compagni di classe, sono la base di un’ideologia diffusa tra i gruppi armati, come ha spiegato al New York Times Mark Potoc, ricercatore sulla destra estrema al Southern Poverty Law Center. L’idea delle milizie è che una valuta come il dollaro, che da quasi mezzo secolo non è più legata all’oro, non abbia reale valore, e che la Federal Reserve di New York non sia nulla più che una sorta di istituto privato nelle mani di banchieri ed ebrei che controllano la finanza come parassiti, mentre i cittadini comuni si spezzano la schiena per lavorare. Anche la curiosa idea che i media e le scuole tentino di deturpare l’autentica grammatica inglese fa parte delle teorie cospirative delle milizie, che Loughner probabilmente conosceva non per appartenenza diretta, dice l’FBI, ma per suo interesse personale, maturato navigando in rete.

Se c’è quindi della follia, dell’odio e del fanatismo nell’azione dello studente dell’Arizona – o la depressione maturata in una serie di fallimenti personali – sembra trattarsi di un lato triste e oscuro che, come spesso accade, non può essere politicamente esorcizzato, confinandolo in un individuo. Non si tratta di appiccicare in modo semplicistico etichette magniloquenti a quella che è, in fin dei conti, “soltanto” l’ennesima strage statunitense; si tratta bensì di non cedere alla tentazione di pensare che il lutto e la morte violenta provengano, in una società che si pretende sana, da una marginalità aliena ed estranea perché “malata”. In altre parole – e approfondendo l’accostamento di psichiatria e politica involontariamente proposto dai media statunitensi in questi giorni – si tratta di non dimenticare che una reazione tipica degli individui qualificati come sani è oggettivare ciò che angoscia come altro da sé, definendolo come malato. Perché? Proprio perché, fino a prova contraria, proviene esattamente dal loro interno. Ed è così che, leggendo e rileggendo il ritratto del folle, l’individuo e la nazione restano costantemente prigionieri di sé stessi – procrastinando, inevitabilmente, anche l’angoscia da cui si vorrebbero liberare.

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