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Alfano ministro di polizia

Come se non bastasse, il ministro di polizia si è spinto più in là, superando se stesso; con involontario sarcasmo ha suggerito di marcare i manifestanti, uno per uno, imprimendo loro un numero sulla fronte; rendendo così possibile il riconoscimento degli eventuali autori di ogni misfatto.

Immediatamente, il sindaco di Roma, Ignazio Marino detto l’americano, gonfio di volontà d’impotenza, si è schierato con Angelino.

A seguire tutti i notabili del PD romano, inflessibili difensori della legalità e degli affari dell’industria del turismo.

Per ultimo oltreché ultimo, l’editorialista del CorSera, Antonio Polito – l’illuminato ascaro napoletano della buona borghesia lombardo veneta – ha aggiunto del suo alla proposta di Angelino Alfano; per non correre alcun rischio, va preventivamente sciolto ogni corteo che “non dia garanzie d’essere pacifico e senz’armi”. Questo divieto preventivo, di cui non si trova traccia in Costituzione, è tuttavia giustificato dal fine perseguito: la difesa di quel bene comune, il supremo, che è l’ordine pubblico.

L’osservatore partecipante – ma non troppo – è colpito dalla ipocrisia dei media e dalla irresponsabilità del ceto politico.

Angelino gioca a fare il nazista; se i manifestanti non giocheranno a fare gli ebrei – non resteranno inermi – il ministro di polizia rischia d’andare a sbattere; e farsi male.

—-

Alfano, ministro di polizia, non lo sa ma disarmare i gendarmi in servizio d’ordine pubblico è il migliore antidoto per contenere la violenza sociale.

Manifestare l’odio sociale contro il dominio assediando i luoghi dove si annida è un uso, un diritto consuetudinario, che precede addirittura la modernità.

Anche lungo la storia secolare del sistema capitalistico le manifestazioni di massa sotto i palazzi del potere hanno svolto un ruolo decisivo per l’emersione dei bisogni collettivi e la loro soddisfazione.
L’esercizio di questo diritto – che comporta la determinazione di mettere a rischio tutti insieme l’incolumità fisica – si è rivelato vitale per la trasformazione delle moltitudini in corpo politico organico.
L’assedio, il nudo assedio dei palazzi del potere, permette d’esprimere la violenza in forma potenziale, teatralizzandola; e,ad un tempo, consente alla folla di fondersi in popolo, alla protesta di massa di assumere la forma di potere costituente.

L’esperienza storica mostra,con bella evidenza, come ogni volta che i gendarmi non compromettono la libertà del corteo e si limitano ad una sobria presenza lungo il suo percorso, tutto si svolge senza incidenti o quasi.

Quando invece, mascherati come ladri, con elmi e scudi che dovrebbero terrorizzare ma che invece provocano irresistibilmente la mano del manifestante a cercare il sampietrino; quando si interpongono tra il corteo e l’obiettivo da raggiungere, con addosso le armi da fuoco che alludono al sangue e alla morte; quando accade tutto questo ecco che allora la violenza non solo è autodifesa legittima ma risulta soprattutto inevitabile.

Insomma, se i gendarmi rinunciano a scudi, elmi, granate lacrimogene, armi c’è da giurarci che i manifestanti faranno a meno di caschi, bastoni e petardi colorati.

Che le cose stiano proprio così, è una verità nota da tempo.

Forse Angelino, l’avvocato siciliano ministro di polizia non lo ricorda o non lo ha mai saputo – la crisi terminale della università italiana non ha aspettato la Gelmini – ma si pensi che in Inghilterra, all’inizio dell’Ottocento, per contenere la violenza dei manifestanti, il parlamento approvò una legge che vietava ai poliziotti di portare addosso delle armi durante il servizio d’ordine pubblico – provvedimento questo che conseguì perfettamente il suo scopo.

Alfano non lo ricorda o non lo ha mai saputo ma anche in Italia, negli anni sessanta, s’era posta una questione analoga.

Giorgio Napolitano, nella sua vita precedente, quando era ancora un deputato comunista, aveva proposto un disegno di legge che proibiva a carabinieri, poliziotti e finanzieri di portare addosso le armi da fuoco quando, durante i cortei, assicuravano l’ordine pubblico.

Vien da pensare, in termini controfattuali, quante vite umane sarebbero state risparmiate e quanti episodi tragici evitati se il parlamento italiano avesse approvato il disegno di legge proposto negli anni sessanta dal deputato comunista Giorgio Napolitano.

Purtroppo, come usa dirsi della primavera, Napolitano non è più quello di una volta – il trasformismo, vero vizio di cuore della statualità italiana, lo ha macinato rendendolo irriconoscibile.

 

Di Franco Piperno per Commonware

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