Amministrative2016 e Rete: un cambio di paradigma?
Tutta l’infrastruttura capillare di pagine, blog, gruppi di comunità di quartiere come social streets o di porzioni di residenti, pagine “indignate” d’ogni tipo basati sulla creazione dello scandalo, del video-shock sembra aver determinato un paradigma nuovo nel quale ogni tipo di potere è molto più facilmente attaccabile e denigrabile attraverso la Rete. Paradossalmente, se la Raggi sarà abile nel costruire una comunicazione politica social basata sul soddisfacimento dei bisogni più “bassi” della società (molti fanno l’esempio delle buche stradali, ad esempio) avrà molto più margine di manovra e tenuta rispetto ad una esibizione di nuovismo destinata a lasciare solo macerie.
Le retoriche del complottismo, quelle che arrivano fino alle scie chimiche per intenderci, quelle diffuse attraverso meme e brevi video d’urto da parte di migliaia e migliaia di netizens sembrano avere sempre più impatto e potenza di quelle che appellano ad una pacifica stabilità. A non averlo clamorosamente capito è ad esempio l’ex sindaco Fassino stesso, quando non si capacita che l’operato buono (sic!) della sua giunta sia stato giudicato inadeguato per garantirgli un nuovo mandato, ignorando completamente – più o meno volontariamente – il tema della questione: la rottura da parte dello sciame diffuso della Rete del giochino rottamatore renziano.
In poche parole, sembra che la Rete abbia in qualche modo iniziato a giocare un ruolo di sostegno ad ogni tipo di outsider capace di rompere il recinto mediatico costruito dalla predominanza assoluta della televisione, da un lato spingendo grazie all’enorme quantità di informazioni (vere o false, ma qui non è importante soffermarsi perché non è questo il punto) verso l’astensione, dall’altro polarizzando verso chi si opponeva allo status quo. Si badi che questo scenario non è assolutamente favorevole al segmento sociale-politico di cui facciamo parte: non è tanto il cambio tra una controparte e l’altro quello che ci interessa in maniera determinante, ma la crescita della capacità politica del movimento di imporsi nella società e di realizzare ovunque possibili istituti di contropotere.
Queste elezioni sembrano così aver sottolineato come nella competizione politica, ai tempi del web 2.0, l’unica cosa importante sia riuscire a proporsi come il nuovo e/o comunque come anti-sistema, anche se del sistema se ne fa parte eccome: il caso di De Magistris a Napoli, l’auto-narrazione della sua figura costruita in campagna elettorale tutta contro Renzi e “l’apparato di potere” , è ben esplicativo di questa argomentazione. Lo stesso Renzi ha candidato a Milano Sala con la precisa immagine dell’uomo del fare di Expo, capace di superare la vecchia politica attraverso una nuova energia riformatrice: peccato che lo stesso invecchiamento del personaggio mediatico Renzi abbia rischiato di far perdere il PD anche lì!
La questione andrebbe indagata anche dal punto di vista sociologico: la moltiplicazione dei meccanismi di fruizione di contenuti mediali come ha influito sulla dimensione di dibattito inter-familiare, ad esempio? La teoria della cosiddetta “maggioranza silenziosa” per la quale l’esercito di individui over-60, consumatori intensivi di televisione, sia determinante nello strutturare l’esito delle elezioni, come si modifica di fronte alla presenza di nuclei dove genitori e figli hanno differenti fonti di informazione e quindi maggiore probabilità di influenzarsi reciprocamente nel quotidiano dibattito?
L’errore di Renzi è stato non solo quello già sottolineato di personalizzare in maniera folle questo voto, ma anche quello di essersi continuato a percepire come elemento di novità mentre la percezione sociale mediatica di massa lo collocava già inesorabilmente nel ghetto delle figure del “potere” piuttosto che in quelle della rottamazione innovatrice.
In ogni competizione elettorale è inoltre saltato con ancora maggiore evidenza il binomio destra-sinistra, che aveva strutturato la politica italiana fino al 2013 e che con queste elezioni è andato definitivamente in pezzi. Si parla di sistema tripolare, ma in realtà il quadro è quello di una frammentazione nel quale più che un chiaro posizionamento ideologico sembra contare la capacità di esporre trasversalità nel proprio agire politico in modo da evitare il proprio incasellamento.
Il gioco è però problematico, dato che chiunque è potenzialmente vincitore e sconfitto da questo meccanismo. Ragione per cui per il Movimento 5 Stelle questo strombazzato successo potrebbe segnare anche l’inizio della fine: non solo per la distanza che si verrà senza alcun dubbio a creare tra le promesse di rinnovamento e la realtà dei fatti, ma per la difficoltà di poter respingere i colpi di quella macchina del fango permanente che è diventata la Rete verso chi si trova in posizione decisionale.
E’ proprio il concetto di stabilità che sembra essere messo definitivamente in crisi da questa nuova relazione tra media e potere: non a caso il Sole24Ore, ancora sotto shock per i risultati di Roma Torino e Napoli, ha consigliato in maniera neanche poco velata a Renzi di cambiare quantomeno la legge elettorale, il famigerato Italicum, dato che probabilmente quel sistema ora come ora assicurerebbe al Movimento Cinque Stelle, a meno di terremoti, una probabile vittoria elettorale e la conseguente maggioranza parlamentare nel 2018.
Alcune considerazioni possono essere utili anche in riferimento alla nostra opzione, quella di movimentazione sociale antagonista a partire dagli effetti materiali della crisi: probabilmente la questione degli immaginari e quella della lotta contingente sui bisogni andrebbero rimesse a verifica nei loro intrecci.
All’innegabile necessità di un nuovo immaginario, di un nuovo discorso forte capace di attrarre e creare schieramenti, non può non essere affiancato un duro lavoro nei territori capace di creare radicamento a partire dalla lotta sui bisogni. Il rischio è quello di divenire completamente succubi dell’idea di dover ricercare un’esplosione tutta mediatico-sensazionalistica che poi si è incapaci di gestire e che può diventare decisamente ostile alla legittimità e alla tenuta di quanto costruito dalle lotte nel giro di un breve periodo di like, condivisioni e video che sconvolgono il web.
Altro tema è quello delle periferie: sono state proprio queste a decidere l’esito elettorale e lì probabilmente si gioca la partita decisiva, più che nelle zone centrali dove le fasce garantite e alcuni scampoli di ceto medio non proletarizzati in senso definitivo sembrano sempre più sostenere con le unghie il Partito Democratico Le contestazione a Merola e a Orfini in parchi e mercati delle rispettive città e l’iper-mediatizzazione di queste sono un segno di un rifiuto e di una condizione di precarietà e difficoltà esistenziale che non possono che essere i terreni da cui partire e dove costruire percorsi di massa di attacco verso il potere reale, spegnendo le sirene leghiste e a cinquestelle che hanno dimostrato potenziale di attrazione.
In questo senso emerge la necessità di un’analisi più profonda, di un’inchiesta continua in questi territori, che non può non essere oggetto di dibattito sul terreno della comunicazione politica: fogli di quartiere, inserimento in gruppi facebook, presenza nei luoghi di ritrovo come piazze, mercati, parchi non sono più da considerare un surplus di azione militante ma vere e propri pratiche politiche da portare avanti, tenendo conto che la realtà è quella di una sostanziale impossibilità riformatrice da parte di qualunque sindaco/a di qualsiasi partito di fronte a tagliole come il Patto di Stabilità e le politiche di austerity del Governo e dell’UE: radicarsi allora lì, in forma stabile, attraverso le lotte e le pratiche di polarizzazione sociale diventa allora prevenire le possibilità di una esplosione sociale reale di rifiuto per potersi li inserire allo stesso tempo come novità ma anche come stabile e affidabile prospettiva politica.
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