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Guerra alla guerra: come organizzarci nelle scuole?

Dal 2 al 7 settembre si terrà in Val Susa, a Venaus, un campeggio studentesco in cui studenti e studentesse si confronteranno in vista dell’autunno. In questo contesto è stata indetta l’assemblea del 3 settembre alle ore 9:30 “Come organizzarci contro la guerra nella scuole?”. Di seguito l’indizione.

da KSA Torino

Guerra e crisi sociale: il capitalismo occidentale sta mostrando in maniera sempre più evidente la sua necessità di praticare forzature e innovazioni per sopperire alla crisi del sistema, e lo fa dando vita a un’economia di guerra e a ristrutturazioni che cambieranno in breve tempo tutti i luoghi produttivi e riproduttivi in cui siamo costretti a vivere già in condizioni miserevoli.
In un panorama di grande confusione e incertezza, è necessario ricostruire un punto di vista riconoscibile di contrapposizione, individuando le contraddizioni che viviamo ogni giorno sulla nostra pelle per dare spazio ad ampi momenti di rifiuto esplicito.

Le superpotenze che guidano e comandano i processi economici globali, USA in primis, si trovano in difficoltà e cercano vie di uscita. Le politiche di riarmo in Europa – e dunque in Italia – prefigurano una ristrutturazione dell’economia a partire dall’Industria bellica, mentre intorno a noi la guerra viene normalizzata e legittimata dalla politica, dai media e anche dalle nostre scuole, in cui viene costruita la formazione ideologica necessaria allo sforzo della ristrutturazione, componente baricentrale dell’infrastruttura dell’industria bellica per poter tenere colpo a possibili (e probabili) emersioni popolari. Dalla guerra in Ucraina al genocidio del popolo palestinese, emerge l’insostenibilità del sistema politico occidentale che non si preoccupa più di indossare la maschera della democrazia.
Leggiamo perciò la necessità impellente di aprire possibilità di inserimento per costruire contro-percorsi che sappiano rompere questa dicotomia utile solo a chi ci vuole proni ai propri progetti di devastazione.

Qualcosa comincia a ribollire sotto la crosta della frammentazione: forme di rifiuto si manifestano incerte in cerca di una valvola di sfogo che le permetta di esprimersi concretamente.
Nei contesti che attraversiamo occorre ripartire dalla concretezza del rifiuto per sabotare e opporsi realmente alla ristrutturazione, definendo con l’esperienza pratiche di conflitto riproducibili per bloccare sul nascere la guerra. Occorre scommettere sul mondo giovanile, costruire una proposta capace di soddisfare i bisogni basilari di studenti e studentesse e sviluppare una rottura immediata là dove i processi di sfruttamento e indottrinamento si danno, per la costruzione di una contro-soggettività che rifondi immaginari, metodi, forme e parole d’ordine di odio verso l’occidente e il sistema capitalistico della guerra, con le mani sporche di sangue.

Riteniamo necessario un confronto tra le realtà interne alle scuole al fine di poter allargare lo sguardo: la conversione bellica, all’interno dei luoghi della formazione, si posiziona in un quadro più ampio e un’adeguata opposizione ad essa deve sapersi rendere organica a una dimensione sociale trasversale. L’obiettivo oggi è costruire delle lotte nei territori che non si muovano nella contingenza ma che sappiano articolare un’opposizione diffusa alla guerra, che sappia riportare al centro delle lotte sociali la loro intrinseca interconnessione, riuscendo a confluire in un fronte unito capace di dare battaglia al loro futuro fatto di bombe e iper sfruttamento.
L’appuntamento lanciato dalla piattaforma Guerra alla Guerra ne è un primo tentativo, e ora più che mai è necessario un protagonismo giovanile che sappia farsi collante sociale per mantenere insieme una dimensione popolare che sia in grado di incidere materialmente sulla catena di montaggio della macchina della guerra del capitale.
Guardiamo al rifiuto latente che inizia a manifestarsi negli istituti tecnico-professionali e nei licei, per comprendere quali pratiche saranno in grado di potenziare tali dimensioni e in che modo queste ultime si rapporteranno tra loro.

Dotiamoci di strumenti per avviare processi che vertano verso la ricomposizione di un’identità collettiva, costruendo un agenda politica di intenti condivisa, a partire dalla data di novembre, per poter immaginare e costruire futuri radicalmente altri dallo stato di cose presenti.

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