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Bologna al ballottaggio: una sconfitta un po’ per tutti i partiti

Gli anni Duemila sono stati “bizzarri” per l’amministrazione bolognese. Dopo che il PCI-PDS-DS aveva ininterrottamente governato dal Dopoguerra al 1999, col 2000 si trova sulla poltrona di sindaco un candidato di centrodestra, Giorgio Guazzaloca. Questi verrà sostituito al termine del mandato da Sergio Cofferati, che forte del vento dei milioni in piazza con la Cgil contro l’articolo 18 pare risvegliare l’orgoglio di sinistra della città. Tuttavia un governo tutto piegato sulla rincorsa dei temi della sicurezza e della legalità, nonché una scarsa conoscenza del territorio, conducono Cofferati a non ricandidarsi per il secondo mandato dicendo che abbandonerà la politica. Poco dopo si candida ed entra al Parlamento europeo, ma questa è un’altra storia… La successiva amministrazione, nuovamente alla guida dell’ormai formatosi Partito Democratico, è a targa Flavio Del Bono. Professore universitario di scarsa caratura, si deve dimettere a breve per uno scandalo legato all’uso privato di fondi pubblici. Seguirà il commissariamento del Comune da parte della Prefetta Annamaria Cancellieri. Dopo questo periodo il PD torna a vincere con la prima amministrazione guidata da Merola. Poche pretese e pochi spunti, proponendosi come buona ordinaria amministrazione. Del suo mandato non si ricorderanno grandi cose, ma dopo una travagliata discussione interna il PD lo ricandida. Il dato di oggi starà facendo venire grandi mal di pancia e probabilmente produrrà notevoli strascichi.

Il PD bolognese paga in primo luogo l’ormai costante crollo dell’affluenza alle urne e un trend nazionale negativo (oltre ad altri vari fattori che non v’è spazio qui per analizzare). La venuta in città di Renzi di pochi giorni fa pare aver più fatto perdere che guadagnare voti a Merola, che ha infatti già esplicitato di non volerlo nuovamente in città per il ballottaggio. Non paiono comunque esserci troppi rischi rispetto al secondo turno per il PD, che si trova come sfidante la candidata leghista della coalizione di centro-destra. Non a caso il sindaco uscente chiama a una sorta di referendum per il secondo turno, sperando in un esito plebiscitario sulla spinta dell’antileghismo che lo rilegittimi. Un esito plausibile, a fronte del fatto che, nonostante le esultanze, anche la Lega Nord ha poco da esultare.

Perde voti rispetto al passato, e la candidata Lucia Bergonzoni porta a casa poco più del 22% (con la Lega di poco sopra il 10%). Considerando che questa è l’espressione del “centrodestra unito” che si era presentato nella contestatissima piazza dell’8 novembre scorso con Berlusconi, Salvini e Meloni sullo stesso palco, ben poca cosa. Evidentemente la campagna salviniana su Bologna, che ne ha fatto teatro per una partita esclusivamente nazionale, ha raccolto più cntestazioni che voti. E le immagini del 2 giugno, con Salvini attorniato da pochi seguaci e circondato da decine di blindati mentre in città contestazioni spontanee al suo comizio e barricate in Piazza Verdi ne contrastavano la presenza, non deve aver pagato. Alla faccia del “chi contesta Salvini gli fa un regalo”… La coalizione di centrodestra sconta anche una notevole erosione di voti da parte di una lista civica guidata da un ex-leghista, Manes Bernardini, che con una repentina virata al centro occupa uno spazio politico del 10%, il più alto risultato nazionale per una civica. A conti fatti il centrodestra cittadino raccoglie poco più del 30%, ossia il suo storico bacino elettorale.

I 5 Stelle perdono una grande occasione, nella città in cui il Movimento è nato. Il candidato Sindaco Massimo Bugani, espressione dell’apparato del non-Partito, è stato nominato non passando per le primarie online, e l’aver superato di poco il 15% segnala anche la scarsa capacità di proposta politica sulla città, di fronte a un panorama nazionale in cui invece i 5 Stelle ottengono buoni risultati in città come Roma e Torino. Sicuramente si misura una crescita costante del Movimento in città in termini di allargamento del bacino elettorale, ma non è riuscita una zampata all’interno di una campagna elettorale generalmente piatta.

Sul fronte della sinistra calano i voti assoluti così come le percentuali. Se nelle scorse elezioni la coalizione di sinistra (che appoggiava il PD) prese oltre il 10%, con quasi 20mila voti, a questa tornata i voti complessivi non arrivano a 17mila e le due liste presentatasi (una a sostegno del PD guidata dall’ex assessora al Welfare Amelia Frascaroli e l’altra, Coalizione Civica, con un progetto più indipendente che mette assieme Sinistra Italiana e altri pezzi di sinistra) non raggiungono il 10% (rispettivamente il 2,89% e il 7%), eleggendo i capolista delle due liste (Frascaroli e Federico Martelloni) oltre alla neo-consigliera Emily Clancy. A questi vanno aggiunti qualche migliaio di voti per i Verdi e il PCL.

Bologna è città che sta subendo numerosi cambiamenti: è divenuta città metropolitana nel 2015; sta avendo una complessiva ridefinizione del tessuto produttivo, con l’apertura di nuove fabbriche di multinazionali, l’aumento vertiginoso del turismo; i poteri cittadini sono mutati, con un vescovo molto protagonista nel dibattito con un taglio “sociale”, alcuni “poteri forti” che emergono allo scoperto, Questura e Prefettura con una crescente autonomia decisionale e politica, il nuovo corso in via di definizione del da poco eletto Rettore universitario, il riassetto all’interno dei Cda di grandi Fondazioni, banche e assicurazioni della città… In tutto questo la politica di palazzo, senza la capacità di proporre visioni di città né per lo più di interagire con le questioni sociali (oltre che sempre più disarmata dai tagli di budget), arranca al passo di altri soggetti.

All’interno di questo contesto la capacità dei movimenti cittadini nell’organizzare alcuni settori sociali, nel dettare una dura intransigenza nei confronti delle provocazioni razziste, nonché la presenza e il radicamento in zone crescenti della città, ha avuto il suo impatto. Sul dato elettorale si innesta infatti il peso dell’iniziativa antagonista in città. La Lega non sfonda in avanti nonostante una generale tenuta e una conferma del suo essere partito-guida del centro-destra. La scommessa frontale di un Salvini che ha incontrato in questi mesi migliaia di persone determinate a impedirne l agibilità politica in città, fino alla clamorosa negazione di Piazza Verdi, frutto della forza di radicamento dei percorsi antagonisti reali nella zona universitaria. In egual modo che nel passato, nei quartieri saranno le lotte sociali e non i cartelli imposti dai partiti a contrastare sullo stesso terreno l’agibilità politica di leghisti e destre xenofobe laddove aumentano le insicurezze economiche e i malumori di pancia delle classi povere. In questo contesto, il tentativo salviniano di ergersi a opposizione politica al governo Renzi in salsa reazionaria partendo dalla campagna su Bologna può dirsi sostanzialmente fallito, e ad imporlo è stata in primo luogo la costruzione di un corpo sociale massificato ed eterogeneo che converge nel ripudiare non solo gli accoliti razzisti, ma anche le logiche classiste imposte a man bassa dal governo. Una indicazione, incarnata nel percorso di Difendere Bologna che, per la sua efficacia e capacità di accogliere realtà politiche e sociali pure distanti, mostra una modalità di costruzione che potenzia i percorsi antagonisti nel territorio anziché rinchiudersi nelle date evento e nella sterile autonarrazione.

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