Brasile. La lotta per il biglietto a costo zero e l'(im)patto sociale
Il testo scioccante dell’opinionista Hildegard Angel, suggerendo come misura per ridurre il tasso di violenza nella città di Rio de Janeiro la diminuzione delle corse sulle linee degli autobus che collegano la zona nord della metropoli alle spiagge della zona sud, rivela una delle ragioni profonde del trasporto pubblico a pagamento.
Ritengo che la mobilità di lavoratori e lavoratrici e di consumatori e consumatrici verso i luoghi di produzione della ricchezza è la facciata pre-cosciente, ritenuta razionale, di una società che non condanna la propria violenza mascherata. Dico pre-cosciente perché i termini del discorso non sono mai chiari, si dice infatti che già il trasporto pubblico ha come finalità quella di garantire il diritto della popolazione di andare e venire. Una verità parziale, a essere ottimisti, perché il costo del biglietto e la scarsa offerta di trasporti nei quartieri periferici e in orari “improduttivi” mina questo diritto.
Credo allora che la ragione profonda dell’esistenza dei tornelli e dei biglietti, nonostante tutte le possibilità tecniche e politiche che consentirebbero la totale gratuità del trasporto pubblico, risieda nel controllo degli spostamenti della popolazione più povera. Per questo i poveri, neri e nere emarginati non hanno accesso agli stessi luoghi della classe dominante, dei padroni, dei proprietari. Queste sono parole dure e alcuni dicono che non hanno più senso, ma non sono d’accordo: il costo del trasporto è un elemento di controllo territoriale di classe.
Cosa significa per un giovane delle favelas osservare da vicino la vita di cui difficilmente godrà? Anche se non ha alcuna consapevolezza che tutto quel benessere esiste in ragione del suo lavoro, della sua ricchezza brutalmente espropriata, quanto il suo risentimento, la sua frustrazione entreranno in gioco come inneschi di remote pulsioni incoscienti e aggressive?
Ricordo il bellissimo libro “Patto Edipico e Patto Sociale” di Hélio Pellegrino, psicanalista e scrittore, figura importantissima per la psicanalisi e per la vita politica del paese nella quale si trovò profondamente impegnato e coinvoloto. A sinistra, ovviamente. E’ un libro del 1983 nel quale si descrive il cammino attraverso il quale un individuo sviluppa il proprio rapporto con la società con il riconoscimento (spesso doloroso) che si è costretti a rinunciare a rinunciare a parte dei nostri desideri per aver accesso a una realtà più ampia. Sulla scorta di questo duplice processo di esperienza e di inibizione del desiderio l’individuo si costituisce come soggetto, sviluppando i suoi tratti caratteristici, il suo modo di stare in una comunità alla ricerca di nuove forme di soddisfazione e di appartenenza.
Non posso proseguire questo ragionamento senza soffermarmi a descrivere i caratteri di questo primo patto, che è il patto edipico, pietra angolare del pensiero psicanalitico.
Inizialmente, nei primi anni di vita, questo processo si sviluppa nella relazione tra il bambino e la madre e il padre o chi svolge le loro funzioni di cura. Il bambino capirà – o sarà portato a capire – che dovrà rivolgere i propri desideri a oggetti che non infrangano le leggi fondamentali della nostra organizzazione sociale: il divieto dell’incesto e il suo esito violento, il parricidio. Per fare uno schema assolutamente semplificato che non tiene conto della complessità delle relazioni possiamo affermare che il bambino che desidera il genitore al quale è più attaccato entra in rivalità con l’altro genitore. Quest’altro genitore dovrà svolgere una ruolo di separazione e interdizione del desiderio vorace del bambino per il primo genitore. Stretto tra narcisismo e paura dell’abbandono il bambino accetta il divieto. Ma accetta perché si rende conto che avrà una serie di compensazioni le quali possono essere qui riassunte come l’ingresso nella sfera culturale e della società allargata. Certe restrizioni offrono la prospettiva di nuove soddisfazioni.
Hélio Pellegrino riteneva che questo primo patto, il patto edipico, non fosse sufficiente per organizzare la vita in collettività. Un secondo patto risulta necessario. Questo, per fortuna, è un po’ meno complicato da spiegare. Lui lo chiama patto sociale e riguarda il rapporto dell’individuo con la società attraverso il lavoro. In primo luogo questo patto è reso possibile dal patto precedente il cui esito positivo ci fa interiorizzare l’idea che quando c’è una legge giusta che organizza i nostri comportamenti le rinunce hanno un senso e porteranno a guadagni significativi. Non entriamo qui nella discussione su quanto queste rinunce, a allo stesso modo i guadagni, ci collocano in una posizione di disagio soggettivo, una impasse che Freud ha descritto in uno dei suoi libri più importanti.
Il patto è il seguente: dedicherò una parte considerevole della mia libido per scopi sublimati, in questo caso il lavoro. Sarà il mio contributo alla vita collettiva. In cambio confido che la collettività risarcisca questo mio sforzo offrendomi quelle cose di cui ho bisogno e desiderio per sopravvivere e godermi la vita. Qui subentra la critica di Hélio: il patto non è soddisfatto in questa società, nonostante lo prometta. La stragrande maggioranza della popolazione lavora e produce una ricchezza alla quale non ha accesso. Beni di ordine materiale come il denaro, un tetto, il cibo e possibilità di ordine soggettivo come l’amore, il senso di appartenenza, o il diritto alla città e la libertà di movimento.
Il capitalismo produce questo disagio tra i più poveri, il disagio dell’esclusione e della non appartenenza allo spazio – quello della metropoli – che esiste solo in ragione del loro contributo. Davanti a questa situazione Hélio descrive due possibili vie d’uscita: la prima è la più comune, la più tragica e la più nichilista. L’individuo rompe con la legge, non solo con la legge ingiusta ma con qualunque legge. O quasi con qualunque legge. Si vendica dell’ingiustizia per la via anti-sociale, attraverso il crimine. E’ questa la vendetta di cui Hildegard teme di rimanere vittima nelle sua spiaggia nella zona sud di Rio de Janeiro e che, senza saperlo, viene accentuata dalla proposta di Hildegard: più esclusione.
L’altra via d’uscita è quella del soggetto che, pur comprendendo l’impossibilità del rispetto del patto sotto il capitalismo, lavora per l’emancipazione in direzione di una società dove tale accordo collettivo possa trovare pieno rispetto. Forse le differenze si daranno nella qualità di come si trascorre il periodo di formazione del patto edipico? Il patto edipico a sua volta si realizzerà meglio o peggio in uno scenario nel quale la povertà e l’esclusione costringono la popolazione a livelli logaranti di sforzo, di rinuncia, di insoddisfazione?
Dal mio punto di vista lottare per il biglietto a costo zero significa lottare per una prospettiva di società nella quale le responsabilità siano equamente distribuite. Una prospettiva di società sulla via della correzione delle leggi impersonali del mercato poste sopra la vita, sopra il patto sociale. La lotta per il biglietto a costo zero rivela ciò che viene taciuto sul funzionamento brutale e quotidiano della città: lo sfruttamento del lavoro, l’ideologia dell’apartheid proprio della città capitalista nella quale la maggioranza della popolazione non può andare e venire quando e dove vuole. Il tornello è un muro, è una prigione. E’ una provocazione, come una prigione che genera un sacco di soldi per pochissimi.
Traduzione a cura di InfoAut
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