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Cemento, un’arma di costruzione di massa

L’analisi di Anselm Jappe su un materiale distruttivo e lato concreto della logica capitalista

di Maria Cariota, da Salviamo il Paesaggio

La gestione capitalista dello spazio, con l’ingiustizia che ne deriva, è stata spesso criticata, basti ricordare i nomi di Henri Lefebvre e David Harvey. Al contrario non sono molte le analisi critiche sulla questione dei materiali impiegati. È su questo tema, e più precisamente sul cemento, che si concentra l’ultimo saggio di Anselm Jappe.

Il cemento ha una storia millenaria e consiste in una semplice miscela di calce (calcare cotto in forno), sabbia, vari aggregati (pietre e mattoni frantumati) e acqua, che viene versata in stampi. Già in epoche lontane erano utilizzati leganti per combinare elementi di costruzione in modo stabile. Gli Egizi usavano malta di gesso (sabbia e acqua) per le mura e calce viva combinata con argilla per le piramidi. I Romani nel I secolo alla malta aggiunsero la pozzolana (aggregato vulcanico) e tegole triturate, ottenendo il caementum (“macerie”, “pietra grezza”); il Pantheon a Roma è costruito interamente con questo materiale.

L’innovazione che rese possibili costruzioni su larga scala fu quella del cemento armato, comparso a metà del XIX secolo, costituito da calcestruzzo (il mix di calce, sabbia, ghiaia e acqua) all’interno del quale viene annegata un’armatura metallica (ferro, acciaio). Tale tecnica sostituì i metodi di costruzione tradizionali e cambiò il volto del mondo. È stato l’uso massiccio del cemento nella sua forma rinforzata che lo ha portato ad essere “il materiale più distruttivo della terra” (definizione del Guardian).

Il cemento dura al massimo 50 anni

Oggi sappiamo che la maggior parte delle costruzioni in cemento armato dureranno al massimo cinquant’anni. Ce lo ho ricordato il ponte Morandi di Genova, crollato nel 2018, anche per inadempienze nella realizzazione della costosa manutenzione. Edifici, dighe, ponti, strade man mano si indeboliscono perché, a contatto con l’umidità, l’acciaio arrugginisce e si corrode (continui shock termici moltiplicano le fessurazioni dei rivestimenti aprendo vie per le infiltrazioni); inoltre minerale e metallo si comportano in modi differenti non avendo il medesimo coefficiente di dilatazione.

Jappe sottolinea il ruolo fondamentale del cemento armato nella scomparsa delle architetture tradizionali. Tempi ridotti di produzione, sostituzione di operai specializzati con manovali nella produzione e nella posa, materie prime poco costose e facilmente reperibili lo hanno via via reso un prodotto economico rispetto all’utilizzo di pietra e mattoni. Materiale sempre uniforme, adatto alla prefabbricazione e alla standardizzazione, si è prestato facilmente alla produzione industriale. Ha così cancellato l’arte di edificare locale, che, legata a molteplici tecniche e stili e a materiali presenti sul posto, garantiva la diversità delle architetture premoderne, in un mondo in cui per sapere dove ci si trovava non serviva guardare cartelli e mappe. Il cemento ha esteso il proprio monotono regno al mondo intero rendendo i luoghi omogenei. Tutto ciò con prestazioni per molti aspetti inferiori: sono state presto dimenticate le tecniche tradizionali di conservazione del calore e di raffreddamento dell’aria o le tecniche antisismiche premoderne.

L’abitazione popolare viene sostituita dall’abitazione di massa, a basso costo, che però non porta affatto ad una emancipazione delle classi lavoratrici. La “modernità” viene resa disponibile anche ai poveri, anche se con case invivibili, e qualsiasi obiezione era accantonata in nome dell’urgenza di costruire rapidamente e in grandi quantità per il massiccio afflusso di persone dalle campagne alle città e per i danni provocati dalla guerra.

Secondo Jappe il cemento armato esce dalla sua marginalità con il funzionalismo degli anni Venti, in particolare grazie a Le Corbusier, architetto particolarmente fedele a questo materiale e sostenitore della standardizzazione: il celebre architetto disprezza il popolo, che ritiene debba farsi guidare da un’élite tecnocratica; secondo lui la città, oltre che a misura di automobile, doveva essere una macchina per produrre un uomo condizionato, costantemente controllato; con sole linee rette, senza strade sinuose, senza spazi in cui le persone potevano incontrarsi, escludendo ogni possibilità di rivoluzione.

Cemento, risorsa energivora

Un capitolo del saggio è ovviamente dedicato all’impatto del cemento su salute e ambiente. È il materiale più impiegato sulla Terra dopo l’acqua e sono le quantità astronomiche a rendere il cemento devastante. Se l’industria del cemento fosse un paese, sarebbe il terzo più importante per emissioni di CO2, con 2 miliardi di tonnellate annue, dopo Stati Uniti e Cina (ogni tonnellata di cemento rilascia una tonnellata di CO2, a partire dalla cottura del cemento). Oltre ad essere molto energivora (per macinare pietre e calcinacci, scaldare argilla e calcare) la sua produzione consuma circa il 10% dell’acqua disponibile sul pianeta. Ogni anno nel mondo vengono estratti 40 miliardi di tonnellate di sabbia, in gran parte destinati al cemento: ovunque spiagge, corsi d’acqua, laghi vengono saccheggiati, foreste e terreni agricoli devastati per estrarre questo nuovo oro. In genere la sabbia del deserto non è utilizzabile perché i granelli, levigati dal vento anziché dall’acqua, sono troppo arrotondati per aggregarsi fra loro. La eccessiva cementificazione di terreni agricoli ed urbani soffoca habitat, annulla funzioni ecologiche, distrugge paesaggi, ci allontana sempre più dalla natura. A ciò si aggiungano gli affetti sulla salute: la silicosi – malattia polmonare – è provocata dalla prolungata inalazione di silice cristallina da parte di minatori e lavoratori.

Jappe evidenzia come il cemento abbia trasformato le costruzioni in merci, elementi ad obsolescenza programmata da disfare e rifare. L’autore definisce questo materiale come il lato concreto dell’astrazione capitalista, che sacrifica l’utilitas (le esigenze degli abitanti) alle logiche economiche, che mirano alla quantità senza distinzioni qualitative e che sono però riuscite a presentarsi, sia al centro sia alla periferia del mondo, come insuperabili e desiderabili.

Anselm Jappe, CEMENTO ARMA DI COSTRUZIONE DI MASSA, giugno 2022, traduzione di Carlo Milani, Elèuthera, pp 200.

ANSELM JAPPE (Bonn, 1962) è docente di Filosofia Estetica all’Accademia di Belle Arti di Roma.

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