È ufficiale: papà Francesco non è comunista. Che delusione!
) esulta: «Il Papa è nostro!»; la “sinistra”… anche. Ma cos’ha detto di così sorprendente il Santissimo? Per la verità nulla. Si è limitato a ripetere quanto aveva detto e scritto altre volte, in pratica in ogni occasione utile. Ecco comunque le sue parole: «Per me il cuore del Vangelo è nei poveri. È stato detto che l’opzione preferenziale per i poveri fa di me un comunista, ma non è così. Questa è una bandiera del Vangelo, non del comunismo. La povertà è senza ideologia. I poveri sono al centro dell’annuncio di Gesù, basta leggerlo».
In effetti, la bandiera del Comunismo (e quindi non sto parlando né di Stalin né di Mao né dei loro nipotini 2.0 che amano definirsi “comunisti”, per la gioia dei detrattori del Comunismo) non sono i poveri, la cui stessa esistenza legittima la funzione ideologica e sociale della Chiesa, come d’altra parte la legittima la presenza in gran copia in questo iniquo mondo dei peccatori (senza poveri, senza peccatori e senza disagiati sociali d’ogni sorta la Chiesa si troverebbe improvvisamente priva di clienti); la sua bandiera è piuttosto l’emancipazione dell’intera umanità attraverso l’emancipazione «degli ultimi», ossia delle classi subalterne. Emancipando se stesso, il proletariato emancipa l’intera umanità, disse una volta il “Papa Rosso” di Treviri. Personalmente sono diventato un militante della teoria critico-radicale il giorno in cui ho letto quella folgorante frase. E la cosa strana, e forse a suo modo perfino dialettica, è che quella potente tesi marxiana era citata in un libro che cercava di conciliare marxismo e cristianesimo, e che mi fu prestato proprio dal professore di religione – correva l’anno 1977, se ricordo bene. La tesi centrale del saggio, che probabilmente il simpatico professore in abito talare mi prestò per confondere ulteriormente le acque che si agitavano nella mia piccola mente, non mi convinse affatto, ma le parole del gran bevitore tedesco mi rimasero scolpite nel cervello, e a suo modo fecero un po’ di chiarezza nel caotico ancorché esiguo materiale grigio.
Non la cura dei poveri, dunque, ma il superamento delle condizioni sociali che generano sempre di nuovo sfruttamento, oppressione, alienazione, reificazione e ogni genere di miseria sociale (“materiale” e “spirituale”) è «l’opzione preferenziale» del Comunismo come movimento politico che agisce nella vigente società disumana . La cura e la compassione per i poveri (nel corpo e nello spirito) sono al centro delle ideologie “umanitarie” che non mettono radicalmente in questione lo status quo sociale; la lotta di classe per superare una volta per tutte il fondamento storico-sociale dell’indigenza sociale (“materiale” e “spirituale”) è il necessario corollario del Comunismo come «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente».
Diverse volte Francesco ha sostenuto l’esigenza di modificare radicalmente il nostro «immaginario» alienato e reificato, e si è scagliato contro la religione che ha nel denaro e nella merce le sue divinità. Egli auspica una vita più austera (per la gioia dei beati berlingueriani), più “francescana”, più incline a seguire la virtuosa strada indicata dai «veri valori», che poi sono quelli cattolici, si capisce. Anche qui, nulla di nuovo, e ciononostante il Papa è stato accusato di sinistrismo dai cultori di Benedetto XVI. Tanto per fare un esempio, la teologia cristiana del XIX secolo è profondamente segnata dall’anticapitalismo reazionario che esprimeva la paura dei ceti aristocratici di perdere definitivamente ogni potere e ogni prestigio sociale.
D’altra parte, scagliarsi contro i «nuovi e luccicanti idoli» mi sembra il minimo sindacale di ogni predica cristiana meritevole di essere ascoltata. Tanto più nel momento in cui la Chiesa si è trovata al centro di una grave crisi sistemica: «La prima conseguenza di Bergoglio è quella di aver rilanciato la Chiesa, attraverso se stesso, nel mondo. Di averla riportata al ruolo di soggetto del dibattito pubblico – politico, religioso e culturale – internazionale e di averne fatto di nuovo un attore geopolitico, ascoltato e influente: il caso più eclatante è quello della Siria ma ve ne sono altri. Sul piano interno, poi, il Papa ha avviato una riforma dell’istituzione ecclesiastica che dovrà essere perfezionata ma che per ora continua a portare avanti col suo stile» (L. Caracciolo, Le conseguenze di Papa Francesco, La stampa, 12 marzo 2014). La saggezza politico-ideologica della Chiesa non si discute, mentre fanno ridere quei sinistrorsi che pensano di poter tirare a loro profitto i santi paramenti del Papa venuto da lontano. Né fa ridere il guru-comico di Genova quando dice che «Bergoglio è il primo grillino della storia»: una così bassa opinione del Papa non l’ha concepita nemmeno il teologicamente pretenzioso Giuliano Ferrara!
A ben vedere, per riformare il nostro capitalistico «immaginario» occorre superare il vigente meccanismo sociale che tutto sfrutta, consuma, mercifica, inquina e disumanizza. Per mutuare Marx, Francesco vuole emancipare l’uomo dalla religione del denaro e della merce solo «affinché l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante», mentre si tratta di gettare via la catena capitalistica e cogliere i fiori vivi della Comunità Umana, oggi sempre più possibile e, al contempo, sempre più negata. È in questa presa di coscienza che, a mio avviso, si deve individuare la sola «rivoluzione culturale» in grado di ripristinare il Tempo della Speranza.
«Diceva Hélder Càmara, il “Vescovo delle favelas”: “Quando do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano Santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista”. Lo stesso potrebbe dire papa Francesco» (A. M. Cossiga, Il papa è comunista?, Limes, 11 marzo 2014). Il comunista, e qui mi si consenta un po’ di metafora spicciola, non intende sfamare i poveri (perché aggiungersi ai tanti buoni di cuore, laici e religiosi, che si affannano per alleviare le sofferenze dei nostri fratelli che soffrono?): egli vuole piuttosto abolire la povertà stessa. Ecco perché il comunista giudica come la peggiore politica possibile per i dominati la politica del male minore, la quale suggerisce al pensiero che solo il realismo, ossia l’accettazione di un mondo imperfetto, è in grado di promuovere utili cambiamenti. Ma si tratta di conquistare un mondo umano, semplicemente umano, non perfetto. Come si dice, la perfezione non è di questo mondo; l’umanità può esserlo.
Squilla il telefono. Ma è Lui! «Pronto? Ciao! Sono Francesco. Ci manca solo che dici che il Paradiso può discendere sulla Terra!» Certo Francy, lo dico: può! Ho scritto può, Santissimo: forse sono comunista, ma di certo non difetto di… realismo.
da: Sebastiano Isaia Nostromo
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